IL LIBRO DI BONI E COEN SULL'ATTENTATO ALLA SINAGOGA 

9 ottobre, il ricordo e la ferita
Il racconto dei testimoni

In un libro di imminente uscita Massimiliano Boni e Roberto Coen si pongono una domanda lacerante: l’attentato al Tempio Maggiore di Roma del 9 ottobre 1982 fu davvero “una ferita italiana” come spesso si sente dire? Un interrogativo pertinente e sempre più ineludibile in ragione dei silenzi e delle omertà che ancora gravitano attorno a quegli eventi, rendendo faticosa la ricerca di verità, responsabilità e giustizia. Ma anche del lungo percorso necessario affinché il nome del piccolo Stefano Gaj Taché fosse inserito nell’elenco delle vittime italiane del terrorismo commemorate ogni anno dal Quirinale. Un atto che soltanto la sensibilità del Presidente Napolitano ha permesso di compiere, colmando un’incomprensibile e dolorosa lacuna che si protraeva da tempo. L’Italia, insomma, ha fatto i conti con quanto accaduto in quel giorno di festa oltraggiato dalla barbarie? Cosa è stato elaborato rispetto a quei fatti? Nel sentire comune Stefano è quel “bambino italiano” evocato in un indimenticabile intervento da Sergio Mattarella?
Una ferita italiana?, in arrivo nelle librerie a inizio ottobre con l’editore Salomone Belforte, è il risultato di numerosi incontri. E di un costante confronto in cui essenziale risalta l’apporto di feriti e testimoni. Un’opera collettiva perché, sottolineano gli autori, “unitario” sono lo spirito e l’intento. Tra le sue pagine trovano così evidenza, illuminando di consapevolezza il lettore, le voci di ieri e quelle di oggi. Un mosaico fondamentale per far luce su vari punti, sollevare temi e questioni. Dopo quarant’anni infatti, come giustamente si puntualizza in apertura, “si ha il diritto di ottenere delle risposte”.

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L'INTRODUZIONE DI ALBERTO CAVAGLION 

L’Italia del 1982 e le voci del dissenso

A firmare la prefazione del libro di Boni e Coen è Alberto Cavaglion, che ne parla come di “un atto di riparazione” necessario. Un testo, nel suo insieme, dal grande valore e significato.
Evidenzia lo studioso piemontese come quel periodo storico, la primavera-estate del 1982, rappresenti uno spartiacque nella storia del Paese e della sua minoranza ebraica. Una fase “che ha chiuso un sanguinoso periodo di lotte politiche, pieno di angoscia e di sgomento, che vorremmo rimuovere”. Ma ciò, in ragione di quel tragico 9 ottobre, non è possibile. Soprattutto “dopo che è stata tolta la copertura del segreto di Stato e dopo che sono state rese pubbliche alcune immagini degli istanti che immediatamente seguono l’attentato”. Scatti che si uniscono alle testimonianze di quelle ore drammatiche, in un’Italia attraversata da un clima d’odio putrido. Nel segno anche di una propaganda anti-israeliana dilagante da cui era scaturito, alcuni mesi prima, il sinistro episodio della bara vuota depositata davanti al Tempio Maggiore. Non molti, nell’opinione pubblica, ebbero la forza di protestare. Di levare il loro sdegno in modo chiaro.

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LA PRESENTAZIONE DEL LIBRO IL SILENZIO CHE URLA  

Gadiel, la testimonianza del coraggio

Un lungo e sofferto lavoro di introspezione ha portato Gadiel Gaj Taché alla scelta di scrivere un libro sul 9 ottobre 1982. Sul segno che ha lasciato in lui e nella sua famiglia, privata dell’affetto del fratellino Stefano. E sul trauma, sulla ferita aperta di tutta una comunità. Il silenzio che urla, pubblicato dall’editore Giuntina, è un libro che scuote. Non l’unico libro scritto sul 9 ottobre ma senz’altro un libro “unico”, come è stato evidenziato durante una serata sui temi che quest’opera solleva svoltasi nella sede della Camera di Commercio al Tempio di Vibia Sabina e Adriano. L’iniziativa, organizzata dal Centro di Cultura Ebraica della Comunità di Roma, è stata per Gadiel un’ulteriore opportunità di elaborazione. Ma anche un momento in cui gli altri ospiti intervenuti hanno potuto aprire capitoli importanti di riflessione. Dai tanti nodi irrisolti a livello di responsabilità, sicurezza e repressione della minaccia terroristica alla “pandemia” di un antisemitismo spesso declinato anche nella variante dell’odio contro Israele che quel giorno, all’uscita del Tempio Maggiore, uccise il piccolo Stefano e ferì altre 40 persone.

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LA COMMEMORAZIONE IN ISRAELE CON IL PRESIDENTE DEL CIO THOMAS BACH

"Monaco '72, pagina più buia delle Olimpiadi"

Per il presidente del Comitato Olimpico Internazionale Thomas Bach non ci sono dubbi: Monaco 1972 rappresenta il momento più buio della storia delle Olimpiadi. “Tutto ciò che rappresentano i Giochi è andato in frantumi 50 anni fa con l’orribile attacco alla squadra olimpica israeliana”, le sue parole, pronunciate simbolicamente in Israele. Qui, a Tel Aviv, si è tenuta una cerimonia per commemorare, nella data ebraica, le undici vittime israeliane della strage compiuta nel 1972 da un commando di terroristi palestinesi. Undici atleti “brutalmente assassinati a sangue freddo da un’organizzazione terroristica palestinese solo perché ebrei, solo perché israeliani”, ha ricordato il Presidente d’Israele, Isaac Herzog, durante la commemorazione. “In quel momento – ha aggiunto – la torcia olimpica si è spenta e la bandiera a cinque anelli si è macchiata di sangue”. Per troppo tempo, ha ammesso Bach, ex olimpionico tedesco, il Cio e la Germania hanno tenuto un colpevole silenzio sulla vicenda. “Per questo dolore e per questa angoscia, che abbiamo causato, sono veramente dispiaciuto”, il suo rammarico.

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IL MESSAGGIO INVIATO AL SINDACO DI GENOVA 

Le istituzioni e lo spessore mancante

Le sconcertanti affermazioni dell’assessore comunale Lorenza Rosso nella sinagoga di Genova hanno suscitato molte reazioni. Riportiamo di seguito un messaggio inviato dalla presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Noemi Di Segni al sindaco del capoluogo ligure Marco Bucci:

Era il 14 ottobre 2018 quando a Genova si è celebrata la Giornata Europea della Cultura Ebraica, dopo il tragico e sconvolgente crollo del Ponte Morandi. Ero nella sinagoga e in apertura della Giornata anche lei signor sindaco ha portato i suoi saluti istituzionali, presente a questo importante appuntamento delle Comunità ebraiche con la cittadinanza, convivendo lo spazio che ci accomuna in centinaia di posti in tutta Italia.
In quell’occasione mi sono rivola a lei nel mio discorso di saluto, quale primo cittadino della città, esprimendole il dolore e la partecipazione dell’intero ebraismo italiano e promettendo per parte nostra di fare ogni possibile sforzo per sostenere le infinite necessità che la tragedia avrebbe generato. Abbiamo quindi costituito un fondo dedicato, con i contributi di tutte le Comunità, destinandolo al pagamento di borse di studio per gli orfani che avrebbero avuto bisogno di continuare a studiare, realizzando il loro sogno di maturare e proseguire il percorso di crescita personale professionale nonostante il lutto per la perdita dei loro cari. Domenica 18, volutamente in occasione della Giornata Europea della Cultura Ebraica, la Comunità ebraica di Genova ha assegnato le singole borse in una cerimonia riservata e rispettosa del privato delle persone coinvolte, consegnando le somme destinate a queste famiglie.

Noemi Di Segni, Presidente UCEI

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LA PRESENTAZIONE A TORINO 

Saluzzo e gli ebrei, la ferita della guerra

Si intitola Ebrei a Saluzzo: 1938 – 1945 (Fusta Editore) l'ultimo lavoro della professoressa Adriana Muncinelli, da anni impegnata a raccontare le vicende della piccola realtà ebraica saluzzese. Il volume è stato presentato nella biblioteca della Comunità ebraica di Torino attraverso la voce di due storici e docenti, Fabio Levi e David Sorani, in dialogo con l’autrice. Un libro di storie di persone comuni e di grandi eventi della Storia, una documentazione importante che passerà alle generazioni future, un lavoro compiuto con la professionalità del ricercatore e dello storico ma anche con il sentimento, con l’indignazione nei confronti dei vigliacchi e dei malvagi, ma anche con umana simpatia verso le vittime.

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I 60 anni del Tempio di Livorno
A 60 anni dalla sua inaugurazione, avvenuta il 23 settembre 1962, il Tempio di piazza Benamozegh (talvolta indicato, per genuina ignoranza, da taluni come la “Moschea degli ebrei”…) continua ad incuriosire chi lo veda per la prima volta o dopo una lunga assenza. Ovvio che questa struttura ancora oggi assai moderna, a suo tempo citata dalle maggiori riviste internazionali di architettura e opera dell’architetto Angelo Di Castro, provochi anche opposti pareri estetici ma, indubbiamente, spicca nel tempo per la sua originalità. 
Gadi Polacco
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