Se non leggi correttamente questo messaggio, clicca qui   21 Novembre 2022 - 26 Cheshvan 5783

TENSIONI NEI COLLOQUI TRA IL LEADER DEL LIKUD E GLI ALLEATI DI COALIZIONE

Dalle Finanze alla Difesa, Netanyahu
e la mediazione sui ministeri contesi

A tre settimane dal voto e con una vittoria chiara in tasca, la coalizione di destra in Israele non riesce ancora a trovare un accordo. Anzi, le cronache parlano di una crescente tensione tra le diverse parti in gioco sulla distribuzione degli incarichi nel prossimo governo. In particolare tra il Premier incaricato Benjamin Netanyahu e i leader dell'estrema destra Bezalel Smotrich e Itamar Ben Gvir. Quest'ultimo, capo del partito Otzma Yehudit (Potere ebraico), ha dichiarato nelle scorse ore di voler interrompere i negoziati con Netanyahu. Oggetto dello scontro, alcune posizioni ministeriali. Ben Gvir ha già in tasca il dicastero della Pubblica Sicurezza, area in cui ha annunciato modifiche sostanziali: su tutte, conferire al ministro il pieno controllo sulle politiche della polizia israeliana, responsabilità che attualmente spetta al commissario. A ricoprire questo ruolo oggi è Kobi Shabtai, scelto nel 2020 dall'allora governo Netanyahu. Lo stesso Shabtai lo scorso anno accusò Ben Gvir di voler incitare alla violenza nelle città miste e tra i due, riportano i media, non corre buon sangue. Il primo, in caso di riforma, si troverebbe a diventare un sottoposto del secondo. Oltre a questo, il leader di Otzma Yehudit ha chiesto per il suo partito anche il ministero responsabile delle periferie, dell'area del Negev, nel sud, e della Galilea, nel nord. In particolare Galilea e Negev “hanno una popolazione prevalentemente araba - spiega il sito d'informazione ynet - e Ben Gvir ha promesso, durante la sua campagna elettorale, di 'restituire la sovranità' e di aumentare la polizia in entrambe queste zone”. Il Likud di Netanyahu avrebbe acconsentito nel concedere il ministero per poi fare dietrofront, l'accusa di Otzma Yehudit che ha così interrotto i colloqui. 
Oltre a Ben Gvir, anche Smotrich non è soddisfatto dei negoziati con Netanyahu. Il leader del Sionismo religioso chiede per sé in alternativa o il portafoglio delle Finanze o quello della Difesa. Il primo è però in cima alle richieste di Aryeh Deri, numero uno del partito haredi Shas. 

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LE PREOCCUPAZIONI DELLA COMUNITÀ EBRAICA RUSSA

Il Cremlino e l’antisemitismo di Stato

È stato costretto a scusarsi Aleksey Pavlov, alto funzionario per la sicurezza russa, per aver accusato in un editoriale il movimento ebraico Chabad-Lubavitch di essere un “culto neopagano” che mira al “dominio globale”. Ma questo articolo recente rappresenta comunque un ulteriore segnale di allarme per la sicurezza dell’ebraismo russo, già in grande difficoltà dopo l’invasione dell’Ucraina. “Un attacco del governo russo contro Chabad, così come gli attacchi contro l’Agenzia Ebraica, sono atti antisemiti contro tutti noi” ha dichiarato rav Pinchas Goldschmidt, costretto a lasciare Mosca e il ruolo di rabbino capo non avendo appoggiato l’aggressione decisa dal Cremlino. Il rabbino capo russo, rav Berel Lazar, parte di Chabad, considerato molto vicino al presidente Vladimir Putin, ha definito l’editoriale di Pavlov “un pezzo di volgare antisemitismo”. Un altro rappresentante del movimento, rav Baruch Gorin, ha espresso sui media tutta la sua preoccupazione. In particolare ha evidenziato il pericolo che, al di là dei già minacciosi pregiudizi antiebraici, si ritorni a una politica antisemita di Stato. Una pratica ben nota nella Russia sovietica. “Negli ultimi decenni ci siamo abituati al fatto che questo non fosse il caso, che l’antisemitismo fosse stato cancellato dalla mappa politica della Russia, che non ci fosse antisemitismo ufficiale o una discriminazione contro gli ebrei”, la riflessione di Gorin.
Il movimento Chabad in Russia, pur evitando di sostenere l’invasione, è stato molto cauto nelle sue condanne a Mosca. Per lo più in questi mesi ha fatto sentire la sua voce con appelli alla pace. Con l’arenarsi dell’aggressione però, ricordava il Times of Israel, nel discorso pubblico russo, anche nei media statali, si è tornati a sentire una certa retorica antisemita. Un cambiamento preoccupante in un Paese con una lunga tradizione di oppressione degli ebrei.

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L'ACCORDO CHE HA COLLEGATO GLI AEROPORTI DI ISRAELE E QATAR  

Da Tel Aviv a Doha, i tifosi israeliani
al Mondiale delle polemiche

Allo stato attuale delle cose Israele e Qatar sono ben lontane dallo stipulare intese sulla falsariga degli “Accordi di Abramo” che, a partire dal settembre del 2020, hanno portato un vento nuovo nella regione mediorientale. Ridefinendone in parte gli equilibri con alcuni Paesi del Golfo.
Ciò nonostante l’inizio del Mondiale di calcio, globalmente contestato a causa dalla scarsa attenzione ai diritti umani che permea la società qatariota, ha portato qualche interessante novità. Come la partenza del primo volo di linea che, sotto l’egida di Cipro, ha messo in comunicazione diretta gli aeroporti di Tel Aviv e Doha. Un tramite per il primo blocco di tifosi israeliani attesi in Qatar in queste settimane. Si calcola che, dall’inizio alla fine del torneo, ne arriveranno all’incirca diecimila. La loro presenza è il risultato di una mediazione concertata di recente insieme alla Fifa. 

Una partecipazione comunque a rischio: il Qatar è infatti un Paese che, oltre a negare diritti e libertà tra le più elementari, presenta pericoli anche a livello di incolumità fisica. Non a caso una campagna del ministero degli Affari Esteri mette in guardia i propri connazionali da una eccessiva “esposizione”, chiedendo che non siano ostentati simboli che richiamino troppo vistosamente la propria identità e nazionalità. Un’avvertenza da leggere anche alla luce della cospicua presenza di tifosi iraniani al seguito della propria squadra, in una realtà che mantiene da sempre rapporti stretti con il regime di Teheran, i terroristi di Hamas e altre forze nella galassia del radicalismo islamico.
Nel corso del Mondiale sarà comunque attivo un servizio di ristorazione casher, sotto la supervisione del rabbino capo ashkenazita di Istanbul Mendy Chitrik (che riveste anche l’incarico di presidente dell’Alleanza dei Rabbini nei Paesi islamici). “La Coppa del Mondo ha la finalità di far incontrare persone di nazioni, culture e religioni differenti. L’obiettivo è che ciascuno si senta come a casa” le parole del rabbino newyorkese Marc Schneier nell’annunciare il varo di questa iniziativa. Secondo rav Schneier il governo del Qatar, nell’offrire questa opportunità, starebbe compiendo “una mitzvah”. Nelle ultime ore è circolata la notizia di una possibile sospensione del servizio da parte delle autorità locali. Rav Chitrik, raggiunto da Pagine Ebraiche, smentisce questa ricostruzione.

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LA RASSEGNA MILANESE

Bookcity e le identità in dialogo

Tra le discussioni più presenti nel dibattito israeliano c'è quello sulle identità, ha raccontato alla platea del teatro Franco Parenti di Milano lo scrittore e regista teatrale Roy Chen. In perfetto italiano ha spiegato che lui stesso ogni mattina si sveglia sentendosi sempre diverso. “Una volta mi sveglio e mi sento israeliano, una mattina ebreo, una mattina cittadino del mondo. E - ha aggiunto con ironia - ci sono giorni in cui mi sveglio antisemita perché penso che dovrò lavorare con gli attori a teatro”. Al di là delle battute, Chen ha però evidenziato come il tema sulla convivenza di molteplici identità sia un elemento chiave della società israeliana. Ed è stato anche il motore per scrivere il suo libro Anime (Giuntina), presentato a Bookcity insieme ai suoi traduttori Bianca Ambrosio e Shulim Vogelman. Dal palco i tre, accompagnati da intermezzi musicali, hanno portato i presenti tra le pagine di Anime: un viaggio temporale nella storia ebraica, dal Ghetto di Venezia alle strade del Marocco, tra identità e mondi molto diversi tra loro. A volte in conflitto, a volte in sintonia. Un tema, quelle delle identità a confronto, toccato anche in molti altri appuntamenti di questa undicesima edizione di Bookcity, conclusasi domenica tra la soddisfazione degli organizzatori per la grande partecipazione di pubblico e autori.

LA PRESENTAZIONE A CASALE MONFERRATO

I giovani e la Memoria dei luoghi,
una testimonianza personale

“Ogni 27 gennaio, il Giorno della Memoria, ci chiediamo come fare perché questa ricorrenza diventi un momento che vada oltre la semplice celebrazione. Le parole si consumano e l’impegno a mantenere viva la memoria è anche trovare il modo di trasmettere quei valori con parole che possano capire anche le nuove generazioni”. Parte da qui Daria Carmi, in rappresentanza della Comunità ebraica di Casale, per introdurre Elena Bissaca, esperta in sociologia della memoria e autrice di Chiedimi Dove andiamo (Manni Editore). Un volume che racconta i suoi 15 anni di esperienza come accompagnatrice dei ragazzi ad Auschwitz. Le domande di Massimo Biglia, chiamato a condurre l’incontro in Sala Carmi, vanno oltre il testo e stimolano un’interessante analisi sui giovani e sul loro rapporto con un luogo che non lascia mai indifferenti.

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La rubrica “Opinioni a confronto” raccoglie interventi di singoli autori ed è pubblicata a cura della redazione, sulla base delle linee guida indicate dall’editore e nell’ambito delle competenze della direzione giornalistica e della direzione editoriale. 
È compito dell'UCEI incoraggiare la conoscenza delle realtà ebraiche e favorire un ampio ed equilibrato confronto sui diversi temi di interesse per l’ebraismo italiano: i commenti che appaiono in questa rubrica non possono in alcun modo essere intesi come una presa di posizione ufficiale dell’ebraismo italiano o dei suoi organi di rappresentanza, ma solo come la autonoma espressione del pensiero di chi li firma.

Il ministro e le leggi razziste   

Il ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara ha scritto al direttore di Repubblica una lettera, intitolata “L’orrore delle leggi razziste”, in occasione dell’anniversario del Regio decreto legge n. 1728 del 17 novembre 1938, che conteneva i provvedimenti “per la difesa della razza italiana”.
Il ministro scrive cose molto condivisibili su quella “scelta scellerata” voluta dal fascismo e approvata dal re d’Italia. Su quelle cose condivisibili sarebbe pleonastico commentare.
Vi è però nella lettera una frase che, a parere di chi scrive, merita un commento: “Sappiamo, proprio grazie agli studi di genetica, che non esistono razze umane biologicamente superiori o inferiori.” Questa frase è, non errata, ma reticente. In effetti, dagli studi di genetica sappiamo qualcosa di molto più significativo, cioè che le “razze umane” proprio non esistono.
Vale la pena di consigliare agli interessati all’argomento quanto scrivono Luigi Luca Cavalli-Sforza, Paolo Menozzi e Alberto Piazza, i più noti esperti di genetica umana italiani, e tra i più importanti nel mondo nella loro “Introduzione a concetti, dati e metodi”, che costituisce il primo capitolo del poderoso studio Storia e Geografia dei geni umani (Princeton University Press 1994 per l’edizione inglese, Adelphi 1997 per l’edizione italiana).
Impossibile riassumere le argomentazioni lì riportate sul “fallimento scientifico del concetto di razza nell’uomo”, ma un breve passaggio è possibile citarlo.
"Il concetto di razza nella specie umana non ha ottenuto alcun consenso dal punto di vista scientifico, e non è probabilmente destinato ad averne, poiché la variazione esistente nella specie umana è graduale. Si potrebbe obiettare che gli stereotipi razziali hanno una certa consistenza, tale da permettere anche all’uomo comune di classificare gli individui. Tuttavia gli stereotipi più diffusi, tutti basati sul colore della pelle, sul colore e l’aspetto dei capelli e sui tratti facciali, riflettono differenze superficiali che non sono confermate da analisi più appropriate fatte su caratteri genetici (molto più attendibili); l’origine di tali differenze è relativamente recente ed è dovuta soprattutto all’effetto del clima e forse della selezione sessuale. Un’analisi statistica multivariata - che richiede attenzione e competenza - permette di identificare «raggruppamenti» di popolazioni e ordinarli secondo una gerarchia che crediamo possa rappresentare la storia delle fissioni durante l’espansione in tutto il mondo dell’uomo anatomicamente moderno. A nessun livello si possono identificare questi raggruppamenti con le razze, dal momento che ogni livello di raggruppamento riflette una fissione diversa e non c’è alcuna ragione biologica per preferirne una in particolare. I livelli successivi di raggruppamento si dispongono in una sequenza regolare e nessuna discontinuità può indurci a considerare un certo livello piuttosto che un altro come una soglia ragionevole, anche se arbitraria, per distinguere «razze»". (Op. cit. p. 34)
In pratica quello di “razza”, applicato alla specie umana, è un concetto scientificamente inconsistente, e lo dimostra il fatto che “Come era già chiaro a Darwin, il tentativo di classificare la specie umana in razze è stato in realtà uno sforzo inutile: le razze umane sono entità ancora molto instabili nelle mani dei tassonomisti moderni, che ne definiscono da 3 a 60 o più, diverse” (Op. cit. p. 33).
Vi è chi propone di eliminare del tutto il termine “razza” parlando di individui umani (e certamente deve scomparire da leggi e testi ufficiali, e anche dalle cronache giornalistiche), ma, se lo si usa in un contesto storico (perché storicamente tale concetto è stato effettivamente utilizzato), va posto tra virgolette per segnalare che non si parla di un fatto, ma di un’idea, inconsistente e dannosa. 

Sandro Servi

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Muri che si alzano

Stiamo innalzando nelle nostre teste nuovi muri. Non so se siano più solidi di quelli costruiti in precedenza. So però che i muri nella mente non sono smontabili solo con la forza delle cose. Ci vuole la forza delle idee. Ma quella in grado di abbattere i muri è decisamente eclissata.

David Bidussa

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