Il ministro e le leggi razziste

Il ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara ha scritto al direttore di Repubblica una lettera, intitolata “L’orrore delle leggi razziste”, in occasione dell’anniversario del Regio decreto legge n. 1728 del 17 novembre 1938, che conteneva i provvedimenti “per la difesa della razza italiana”.
Il ministro scrive cose molto condivisibili su quella “scelta scellerata” voluta dal fascismo e approvata dal re d’Italia. Su quelle cose condivisibili sarebbe pleonastico commentare.
Vi è però nella lettera una frase che, a parere di chi scrive, merita un commento: “Sappiamo, proprio grazie agli studi di genetica, che non esistono razze umane biologicamente superiori o inferiori.” Questa frase è, non errata, ma reticente. In effetti, dagli studi di genetica sappiamo qualcosa di molto più significativo, cioè che le “razze umane” proprio non esistono.
Vale la pena di consigliare agli interessati all’argomento quanto scrivono Luigi Luca Cavalli-Sforza, Paolo Menozzi e Alberto Piazza, i più noti esperti di genetica umana italiani, e tra i più importanti nel mondo nella loro “Introduzione a concetti, dati e metodi”, che costituisce il primo capitolo del poderoso studio Storia e Geografia dei geni umani (Princeton University Press 1994 per l’edizione inglese, Adelphi 1997 per l’edizione italiana).
Impossibile riassumere le argomentazioni lì riportate sul “fallimento scientifico del concetto di razza nell’uomo”, ma un breve passaggio è possibile citarlo.
Il concetto di razza nella specie umana non ha ottenuto alcun consenso dal punto di vista scientifico, e non è probabilmente destinato ad averne, poiché la variazione esistente nella specie umana è graduale. Si potrebbe obiettare che gli stereotipi razziali hanno una certa consistenza, tale da permettere anche all’uomo comune di classificare gli individui. Tuttavia gli stereotipi più diffusi, tutti basati sul colore della pelle, sul colore e l’aspetto dei capelli e sui tratti facciali, riflettono differenze superficiali che non sono confermate da analisi più appropriate fatte su caratteri genetici (molto più attendibili); l’origine di tali differenze è relativamente recente ed è dovuta soprattutto all’effetto del clima e forse della selezione sessuale. Un’analisi statistica multivariata – che richiede attenzione e competenza – permette di identificare «raggruppamenti» di popolazioni e ordinarli secondo una gerarchia che crediamo possa rappresentare la storia delle fissioni durante l’espansione in tutto il mondo dell’uomo anatomicamente moderno. A nessun livello si possono identificare questi raggruppamenti con le razze, dal momento che ogni livello di raggruppamento riflette una fissione diversa e non c’è alcuna ragione biologica per preferirne una in particolare. I livelli successivi di raggruppamento si dispongono in una sequenza regolare e nessuna discontinuità può indurci a considerare un certo livello piuttosto che un altro come una soglia ragionevole, anche se arbitraria, per distinguere «razze». (Op. cit. p. 34)
In pratica quello di “razza”, applicato alla specie umana, è un concetto scientificamente inconsistente, e lo dimostra il fatto che “Come era già chiaro a Darwin, il tentativo di classificare la specie umana in razze è stato in realtà uno sforzo inutile: le razze umane sono entità ancora molto instabili nelle mani dei tassonomisti moderni, che ne definiscono da 3 a 60 o più, diverse” (Op. cit. p. 33).
Vi è chi propone di eliminare del tutto il termine “razza” parlando di individui umani (e certamente deve scomparire da leggi e testi ufficiali, e anche dalle cronache giornalistiche), ma, se lo si usa in un contesto storico (perché storicamente tale concetto è stato effettivamente utilizzato), va posto tra virgolette per segnalare che non si parla di un fatto, ma di un’idea, inconsistente e dannosa.

Sandro Servi