Il Cremlino, la guerra
e l’antisemitismo di Stato

È stato costretto a scusarsi Aleksey Pavlov, alto funzionario per la sicurezza russa, per aver accusato in un editoriale il movimento ebraico Chabad-Lubavitch di essere un “culto neopagano” che mira al “dominio globale”. Ma questo articolo recente rappresenta comunque un ulteriore segnale di allarme per la sicurezza dell’ebraismo russo, già in grande difficoltà dopo l’invasione dell’Ucraina. “Un attacco del governo russo contro Chabad, così come gli attacchi contro l’Agenzia Ebraica, sono atti antisemiti contro tutti noi” ha dichiarato rav Pinchas Goldschmidt, costretto a lasciare Mosca e il ruolo di rabbino capo non avendo appoggiato l’aggressione decisa dal Cremlino. Il rabbino capo russo, rav Berel Lazar, parte di Chabad, considerato molto vicino al presidente Vladimir Putin, ha definito l’editoriale di Pavlov “un pezzo di volgare antisemitismo”. Un altro rappresentante del movimento, rav Baruch Gorin, ha espresso sui media tutta la sua preoccupazione. In particolare ha evidenziato il pericolo che, al di là dei già minacciosi pregiudizi antiebraici, si ritorni a una politica antisemita di Stato. Una pratica ben nota nella Russia sovietica. “Negli ultimi decenni ci siamo abituati al fatto che questo non fosse il caso, che l’antisemitismo fosse stato cancellato dalla mappa politica della Russia, che non ci fosse antisemitismo ufficiale o una discriminazione contro gli ebrei”, la riflessione di Gorin.
Il movimento Chabad in Russia, pur evitando di sostenere l’invasione, è stato molto cauto nelle sue condanne a Mosca. Per lo più in questi mesi ha fatto sentire la sua voce con appelli alla pace. Con l’arenarsi dell’aggressione però, ricordava il Times of Israel, nel discorso pubblico russo, anche nei media statali, si è tornati a sentire una certa retorica antisemita. Un cambiamento preoccupante in un Paese con una lunga tradizione di oppressione degli ebrei.
A nome del governo sono arrivate le scuse e il chiarimento che Pavlov parlava a titolo personale, indice della volontà di non associare l’antisemitismo al Cremlino. Ma l’episodio rimane un monito evidente. “Ora siamo sotto pressione e ci chiediamo se ciò che è stato pubblicato sul giornale – l’intervento di un alto funzionario della sicurezza – rappresenti l’inizio di un’ondata ufficiale di antisemitismo. Penso che sarebbe la fine della presenza ebraica in Russia. L’antisemitismo ufficiale spingerebbe ogni ebreo russo a lasciare il Paese”. Oltre 26000 eleggibili per la legge del Ritorno hanno scelto di fare l’aliyah da inizio anno. E altre 35mila domande sono in attesa di essere elaborate, spiegava in ottobre l’Agenzia ebraica. “Ho ottenuto un passaporto israeliano molti anni fa perché ho sempre saputo che qualcosa del genere era possibile. Ho sempre saputo che i giorni bui dell’Unione Sovietica sarebbero tornati” le parole ai media di Anna Klatis, professoressa di giornalismo all’Università statale di Mosca, emigrata a Gerusalemme con sua figlia di 16 anni a febbraio.