Il Salone del Libro di Torino ha aperto i battenti con la sua trentacinquesima edizione. “Attraverso lo specchio” il tema della rassegna che mette al centro la grande letteratura italiana e straniera. Numerosi anche quest'anno gli incontri a tema ebraico.
“Ancora una volta, per cinque giorni e cinque notti, il Salone trasformerà Torino nel centro mondiale della cultura” le parole del direttore uscente Nicola Lagioia, salutato da un lungo applauso durante la cerimonia inaugurale. Questa sarà la sua ultima edizione, poi la guida passerà ad Annalena Benini, scelta dopo un travagliato percorso di selezione. “La promozione culturale è una battaglia di civiltà che appartiene a tutti e tutte. È una partita in cui chiunque può giocare, senza colori e partiti politici. Si vince solo insieme”, il messaggio di Lagioia. Al suo fianco, a tagliare il nastro inaugurale, c'erano tra gli altri il ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano, il presidente del Senato Ignazio La Russa, il sindaco di Torino Stefano Lo Russo e il presidente del Piemonte Alberto Cirio.
Al Salone, come da tradizione, è presente il giornale dell’ebraismo italiano Pagine Ebraiche, che quest’anno collabora anche all’organizzazione di un evento a cura della casa editrice Giuntina insieme alla Comunità ebraica torinese: la presentazione del libro La matta di piazza Giudia di Gaetano Petraglia, dedicato a una figura esemplare ma ancora poco nota nella Roma ebraica degli anni più bui. L’appuntamento è per domenica 21 maggio, alle 11.45, in Sala Indaco. Con l’autore dialogheranno il direttore della redazione Guido Vitale e la psicoterapeuta Caterina Di Chio.
Molti gli appuntamenti che in questa trentacinquesima edizione vedono il mondo ebraico e Israele protagonisti. A partire dalla giornata inaugurale con il dialogo di queste ore tra la Testimone della Shoah Tatiana Bucci, sopravvissuta assieme alla sorella Andra ad Auschwitz, e il conduttore televisivo Pif. A seguire, sempre nel segno della Memoria, l’incontro “Alla fine vince sempre l’oblio?”. Un confronto a più voci (Arena Piemonte, padiglione 2, 17.30) sul ruolo delle pietre d’inciampo e del racconto delle microstorie del passato nella memoria collettiva. A confrontarsi sul tema Michela Cella, Anna Foa, Roberto Mastroianni, Andrea Ripetta e Adachiara Zevi, per un’iniziativa promossa da Anpi, Comunità ebraica di Torino, Comitato Resistenza e Costituzione del Consiglio regionale piemontese e Museo Diffuso della Resistenza. Genere molto diverso quello invece trattato dalla scrittrice israeliana Sarah Blau che presenta (ore 17.00, Sala Bianca) il suo Le altre (Piemme), thriller psicologico ambientato nella città simbolo del volto più avveniristico di Israele: Tel Aviv. Un incontro promosso dall’ambasciata d’Israele in Italia.
Venerdì tre appuntamenti guardano da prospettive diverse al periodo della Shoah. Il primo è promosso dal Centro internazionale Primo Levi di Torino (ore 10.30, Sala Bianca) con la presentazione di due volumi dedicati all’opera dello scrittore e Testimone torinese – Il primo Atlante e Storie naturali – e la creazione del Primo Levi LAB a Torino, per accogliere chiunque nel mondo desideri conoscerlo, leggerlo, studiarlo.
Il secondo appuntamento si intitola “Fare Memoria oggi” (Sala Azzurra, ore 13.15), un dialogo tra il direttore del Memoriale e museo di Auschwitz-Birkenau Piotr Cywiński, il presidente della Fondazione Gariwo Gabriele Nissim e gli scrittori Francesco Cataluccio e Wlodek Goldkorn sul tema appunto della trasmissione della Memoria alle nuove generazioni e delle sfide per il futuro, anche alla luce della scomparsa dei Testimoni.
Attorno a una storia singola della Shoah si sviluppa invece La piuma del ghetto (Gallucci) di Antonello Capurso. Quella del campione di pugilato Leone Efrati, che nel 1938 arrivò a un passo dal titolo mondale nei pesi piuma, ma fu cancellato dal fascismo perché ebreo. Tornato a Roma nel periodo della persecuzione, fu consegnato ai nazisti e deportato. A dialogare su questa figura e sul libro di Capurso, assieme all’autore, Chiara Appendino e Claudia Abbina.
Domenica, oltre all’appuntamento organizzato con Pagine Ebraiche, la Comunità ebraica di Torino – nel solco del Salone – organizza la presentazione di Un posto sotto questo cielo di Daniele Scalise, romanzo dedicato al caso di Edgardo Mortara. A dialogare con l’autore nel centro sociale comunitario (ore 18.00, Piazzetta Primo Levi), Elèna Mortara, docente dell’Università di Roma Tor Vergata, il presidente della Comunità Dario Disegni e il presidente dell’Associazione Italia-Israele di Torino Dario Peirone.
Lunedì invece, nell’area dei professionali del salone del Libro, sarà presentato (ore 16.30, Sala Gialla) Remembr-House/Case di memoria, progetto europeo realizzato dalla Fondazione Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah – MEIS assieme alla Fondazione 1563 per l’Arte e la Cultura della Compagnia di San Paolo. L’incontro sarà a cura di Sara Gomel, con la presentazione dei percorsi formativi e di un kit didattico di educazione civica sul tema dei diritti a partire dalle carte dell’Archivio Storico della Compagnia di San Paolo.
Tradurre per informare, l'impegno delle tirocinanti
Sono arrivate a Torino questa mattina e stanno già esplorando il Salone del Libro, appena inaugurato. Sono Sofia Busatto, Alida Caccia, Diana Drudi, Margherita Francese e Marta Gustinucci, tra le ultime studentesse dell’Università di Trieste che hanno svolto o stanno svolgendo il tirocinio nella redazione giornalistica dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane. È anche grazie a loro che la newsletter Sheva/Pagine Ebraiche International ogni settimana prende forma e raggiunge lettori nelle lingue più diverse, e sono loro che durante tutto il corso dell’anno, senza fermarsi per sessioni d’esami e vacanze estive, supportano la redazione nella gestione di testi internazionali. La sezione di Studi in Lingue Moderne per Interpreti e Traduttori, che offre corsi di laurea triennale in Comunicazione Interlinguistica Applicata da diversi anni, ha registrato l’UCEI come ente accreditato e autorizzato quindi a completare la formazione dei suoi studenti, un passaggio a cui è arrivata quest’anno anche la facoltà di studi umanistici della stessa università. Grazie alla oramai tradizionale e ben collaudata collaborazione con l’organizzazione del Salone del Libro sono stati concessi loro accrediti “pro”, con la registrazione come traduttrici grazie al lavoro svolto per le testate UCEI. È una qualifica necessaria per partecipare ad AutoreInvisibile – il programma, ideato e curato da Ilide Carmignani – che offre incontri dedicati alla traduzione, a partire dalla rassegna “Lo scrittore e il suo doppio”, che porta alcuni dei nomi più prestigiosi della letteratura internazionale a confrontarsi con i loro traduttori italiani.
Uno dei momenti più apprezzabili della recente incoronazione di Re Carlo III d’Inghilterra nell’abbazia di Westminster si è verificato quando il nuovo re è stato insediato su un tronetto che guardava l’altare, pur dando le spalle al pubblico. Il simbolismo è profondo ed evidente. Il capo designato (sia pur per diritto di successione) della chiesa anglicana risponde alla Divinità anziché prenderne il posto. Non mi risulta che i suoi colleghi di altre chiese si comportino con la stessa umiltà. L’insediamento dei papi di Roma avviene coram populo: del resto, vengono indicati come vicari della Divinità in terra. Facendo tutte le debite differenze (lehavdil elef alfè havdalot!), analoga distinzione si impone fra i “temples” conservative e riformati e i Battè ha-Kenesset ortodossi. I primi, in un’ottica di pretesa inclusività che li ha portati ad abolire il matroneo e ad abbandonare in toto o in parte l’ebraico come lingua della Tefillah, hanno sovvertito la tradizionale collocazione dell’ufficiante che guarda verso l’Aron ha-Qodesh ruotandola di 180°: egli svolge la sua funzione rivolto verso il pubblico. Proprio come i preti della religione maggioritaria.
I Decisori delle ultime generazioni ammoniscono contro l’attitudine a modificare gli usi consolidati del Bet ha-Kenesset. Scrive il Chatam Sofèr: “I dispositivi del Bet ha-Kenesset devono rimanere in eterno come sono sempre stati fino a oggi e guai a chi pretende di cambiarli” (Resp. Orach Chayim n. 28, cit. in Resp. Tzitz Eli’ezer 9,17,3). Fin dai tempi della Mishnah l’ufficiante è chiamato: “Colui che passa (‘ovèr) davanti alla Tevah”, ovvero “che scende (yorèd)”, in base al versetto: “Dal profondo Ti invoco” (Tehillim 130,1). È l’antico uso di Eretz Israel così codificato da Maimonide, Hilkhot Tefillah 11, 4: “Allorché lo Sheliach Tzibbur (lett. “delegato della Comunità”) sta in piedi per la Tefillah, si situa per terra davanti alla Tevah rivolto verso il Qodesh come il resto del popolo”.
L’Ospedale Israelitico di Roma ha un nuovo direttore generale: si tratta di Roberto Cupellaro, manager laziale con all’attivo vari incarichi in Italia e all’estero. Ad annunciarlo è stato il presidente del cda del nosocomio ebraico, Antonio Spizzichino, in una nota in cui indica nel neo dg “la persona in grado di proseguire e implementare la strategia sanitaria” della struttura. Nato a Latina 58 anni fa, studi universitari alla Sapienza e master in Bocconi, Cupellaro subentra a Giovanni Naccarato. “È per me oggi un grande onore e onere assumere l’incarico conferitomi dal Consiglio di Amministrazione. Desidero ringraziare per la fiducia accordata e sono pronto a mettere a disposizione tutte le mie competenze ed esperienze maturate al servizio dell’Ospedale Israelitico, un’istituzione storica ed eccellenza riconosciuta nel panorama sanitario”, le prime parole del neo direttore generale.
Nel pomeriggio è in programma intanto un nuovo incontro del ciclo “Tra corpo e spirito” promosso dall’Israelitico stesso, dal Pitigliani e dall’Ufficio Rabbinico della Comunità ebraica.
Scomparso nel 2021, Dani Karavan è stato uno dei più grandi artisti israeliani. Vincitore dell’Israel Prize, è stato il padre tra gli altri del rilievo murale dell’aula della Knesset, di piazza Habima a Tel Aviv, della Via dei diritti umani a Norimberga, del monumento commemorativo per Walter Benjamin a Portbou. A ricordarne il lascito una serata evento al Centro Pecci di Prato, promossa dall’Associazione di amicizia Italia-Israele di Firenze, Prato, Pistoia con il patrocinio dell’Ambasciata d’Israele in Italia, dell’Accademia delle Arti del Disegno di Firenze, della Fondazione Giovanni Michelucci di Fiesole e della Comunità ebraica fiorentina. Nell’occasione sono stati presentati due film documentari dedicati all’artista, rispettivamente di Barak Heyman, autore di fatto dell’ultimo ritratto di Karavan nel 2020, e di Massimo Luconi, che l’ha seguito oltre vent’anni fa in occasione di alcuni suoi interventi artistici per la Collezione Gori alla Fattoria di Celle. Molto intenso, è stato ricordato, il suo legame con la Toscana. Nel 1978 Karavan ha infatti curato due Ambienti per la pace, congiungendo virtualmente il Forte di Belvedere a Firenze e il Castello dell’Imperatore a Prato. Nel 1999 ha poi realizzato una serie di esposizioni collegate tra Firenze, Prato, Pistoia e Celle per sottolineare lo stretto rapporto personale con questa parte della regione, iniziato con un soggiorno di studi all’accademia di Belle Arti di Firenze e approfondito attraverso l’interesse dichiarato per la ricchezza umanistica del Rinascimento e per l’opera di Arnolfo di Cambio, Filippo Brunelleschi e Leon Battista Alberti, così come nell’amicizia pluridecennale con il collezionista Giuliano Gori.