Senso unico

Uno dei momenti più apprezzabili della recente incoronazione di Re Carlo III d’Inghilterra nell’abbazia di Westminster si è verificato quando il nuovo re è stato insediato su un tronetto che guardava l’altare, pur dando le spalle al pubblico. Il simbolismo è profondo ed evidente. Il capo designato (sia pur per diritto di successione) della chiesa anglicana risponde alla Divinità anziché prenderne il posto. Non mi risulta che i suoi colleghi di altre chiese si comportino con la stessa umiltà. L’insediamento dei papi di Roma avviene coram populo: del resto, vengono indicati come vicari della Divinità in terra. Facendo tutte le debite differenze (lehavdil elef alfè havdalot!), analoga distinzione si impone fra i “temples” conservative e riformati e i Battè ha-Kenesset ortodossi. I primi, in un’ottica di pretesa inclusività che li ha portati ad abolire il matroneo e ad abbandonare in toto o in parte l’ebraico come lingua della Tefillah, hanno sovvertito la tradizionale collocazione dell’ufficiante che guarda verso l’Aron ha-Qodesh ruotandola di 180°: egli svolge la sua funzione rivolto verso il pubblico. Proprio come i preti della religione maggioritaria.
I Decisori delle ultime generazioni ammoniscono contro l’attitudine a modificare gli usi consolidati del Bet ha-Kenesset. Scrive il Chatam Sofèr: “I dispositivi del Bet ha-Kenesset devono rimanere in eterno come sono sempre stati fino a oggi e guai a chi pretende di cambiarli” (Resp. Orach Chayim n. 28, cit. in Resp. Tzitz Eli’ezer 9,17,3). Fin dai tempi della Mishnah l’ufficiante è chiamato: “Colui che passa (‘ovèr) davanti alla Tevah”, ovvero “che scende (yorèd)”, in base al versetto: “Dal profondo Ti invoco” (Tehillim 130,1). È l’antico uso di Eretz Israel così codificato da Maimonide, Hilkhot Tefillah 11, 4: “Allorché lo Sheliach Tzibbur (lett. “delegato della Comunità”) sta in piedi per la Tefillah, si situa per terra davanti alla Tevah rivolto verso il Qodesh come il resto del popolo”. La sua fonte è una Tosseftà (testo parallelo e coevo della Mishnah), Meghillah, 3,21: “Il Chazan ha-Kenesset è rivolto verso il Qodesh e così tutto il popolo è rivolto verso il Qodesh, come è detto: ‘E si radunò tutta la Comunità in direzione dell’apertura della Tenda della Radunanza’” (Wayqrà 8,4). Sul ruolo del Chazan ha-Kenesset in quei tempi antichi si discute, ma il senso generale è chiaro. Per Qodesh (lett. “luogo sacro”) si intende la Tevah, che a sua volta è collocata nella direzione di Yerushalaim, come disse il re Shelomoh allorché inaugurò il primo Santuario: dovunque gli Ebrei si troveranno, “Ti pregheranno rivolti verso la loro terra” (1Melakhim 8,48 – Cfr. I. Elbogen, Ha-Tefillah be-Israel, p. 372).
Per quanto concerne la Tevah, c’è chi la identifica con l’Aron ha-Qodesh e così si comportano gli ashkenaziti. Questi collocano il Chazan per la Tefillah dinanzi a un semplice leggio posto di fronte all’Aron ha-Qodesh “per terra”, come dice Maimonide, cioè allo stesso livello della Comunità. Altri pensano invece che la Tevah sia da identificarsi con il tavolo per la lettura della Torah (Bimah), che secondo tutti va posto preferibilmente al centro della sala per ragioni acustiche (Resp. Iggherot Moshe O.Ch. 2, 41-42). Da qui l’uso delle sinagoghe sefardite e italiane in cui il Chazan prega dalla stessa postazione di chi legge la Parashah. Da notarsi che i Decisori ashkenaziti sono per lo più contrari a “spostare” il Chazan della Tefillah sulla Bimah anche se lo scopo è quello di vederlo e udirlo meglio. L’acustica e la visibilità sono rilevanti solo per la lettura della Torah, mentre per la Tefillah prevale la logica della semplice rappresentanza della Comunità davanti al S.B.
Può apparire poco dignitoso che l’ufficiante volti le spalle alla Comunità e quindi essere considerato poco popolare. Ma certamente questa prassi assume una valenza di grande vitalità per almeno quattro punti di forza. 1) Come già accennato, il rapporto con D. non può essere quello della sostituzione, ma della sottomissione. Chi trascura il Qodesh per compiacere la Comunità non solo volge le spalle a D., ma pretende anche di prenderne il posto, nella logica di chi si arroga il diritto di cambiarne le Leggi a proprio uso e consumo. Al contrario chi si volge verso D. si assume la piena responsabilità di seguirne i comandamenti e accetta di rispondere costantemente del proprio comportamento. 2) Anche il rapporto dell’ufficiante con la Comunità deve essere improntato ad autentica democrazia, nella misura in cui egli “non si separa dal gruppo” (cfr. Avot 2,4) solo per il fatto di rappresentarli nella Tefillah, ma al contrario si allinea con tutti gli altri. Ciò sarebbe sovvertito qualora li fronteggiasse, di fatto creando una contrapposizione. Inoltre 3) se l’ufficiante si dispone di fronte alla Comunità che rappresenta crea con essi un circuito chiuso, per sua natura limitato e impenetrabile dall’esterno. Molto diverso l’effetto di circuito aperto che si realizza nel caso che il Chazan si metta dalla parte del pubblico. Qui lo spirito aleggia davanti a tutti, in una manifestazione di totale libertà dai vincoli terreni che deve caratterizzare il nostro rapporto con il S.B. soprattutto nei luoghi e nei momenti in cui recitiamo la Tefillah. Infine 4) Eretz Israel riveste un’importanza imprescindibile nella visione dell’ebraismo tradizionale e proprio il “delegato della Comunità” non può esimersene nell’istante in cui parla a D. Che il S.B. ci dia il merito di tornare presto redenti a Tziyon!

Rav Alberto Moshe Somekh