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LA MOSTRA DEL MEIS ANCHE IN DIGITALE

"Matrimonio ebraico,
speranza e responsabilità"

Da oggi in rete la trasposizione digitale della mostra del Meis “Mazal Tov! Il matrimonio ebraico”, curata da Sharon Reichel e rav Amedeo Spagnoletto. Al centro un passaggio fondamentale della vita ebraica fondato su “precetti e riti del passato”, che “è l’emblema della continuità” e “affonda le sue radici nella Bibbia”. Eppure, al tempo stesso, “convive con un presente vibrante, dialoga con la cultura nella quale è immerso, segna la nascita di una nuova famiglia”. Un equilibrio e una complessità ben illustrate da Mazal Tov!: oltre a un virtual tour è possibile approfondire diversi aspetti del rito, dal contratto di nozze (ketubbah) a cosa rappresenti la simbolica rottura del bicchiere. Oltre a ciò, a portata di click ci sono filmati inediti, una photogallery dedicata ai matrimoni degli ebrei italiani dalla fine dell’Ottocento e molto altro ancora.
“Dopo aver ospitato la scorsa estate così tanti visitatori pieni di interesse e curiosità abbiamo deciso di rendere ‘Mazal Tov!’ una mostra virtuale e permanente destinata a tutti: da chi vuole scoprire di più sui riti e le tradizioni dopo aver letto un libro o visto un film, agli studenti che vogliono avere una piattaforma dalla quale partire per le proprie ricerche fino a chi voleva vederla dal vivo ma non ci è riuscito” sottolinea rav Spagnoletto, che del Meis è il direttore. Ne è scaturito un allestimento in presenza e ora anche online che, chiosano i curatori, “racchiude in sé il passato e il presente, riti millenari e pratiche moderne”.


 

Il nuovo spazio digitale è stato svelato nel corso di un incontro svoltosi nell’auditorium del Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per le scienze del Matrimonio e della Famiglia. “Siamo convinti che il dialogo, come la pace, si costruisca ogni giorno. Non con proclami e grandi dichiarazioni, ma condividendo momenti veri come questo” ha esordito Milena Santerini, vicepreside dell’istituto e coordinatrice nazionale per la lotta contro l’antisemitismo, che ha introdotto e coordinato l’evento. In questo senso, il suo pensiero, il matrimonio e la famiglia sono temi “che possono aiutare la comprensione reciproca, perché evocano immagini di vita, felicità, futuro”. Sulla stessa lunghezza d’onda monsignor Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia accademia per la vita, che ha parlato di “relazionalità indispensabile fra le diverse tradizioni religiose” e auspicato di andare avanti in questo cammino “con altri incontri”. Confronti necessari e con un rapporto stretto con l’attualità, ha evidenziato il rav Riccardo Di Segni. A titolo di esempio il rabbino capo ha citato la recente sentenza della Corte costituzionale sul doppio cognome. Un possibile spunto, tra i tanti, per parlare “di patrilinearità e matrilinearità”. Con quest’ultima che, come noto, è da sempre un cardine dell’ebraismo.  
 

Philippe Bordeyne, preside dell’istituto, si è poi soffermato “sulla ricchezza spirituale e culturale” dell’identità ebraica. La presentazione della mostra del Meis si inserirebbe quindi “nel solco della nostra convinta adesione all’ideale di un dialogo da svolgersi a tutto campo”. Per Raphael Schutz, ambasciatore israeliano presso la Santa Sede, Mazal tov! rappresenta “un contributo prezioso sulla strada della reciproca conoscenza”. Ambrogio Spreafico, vescovo di Frosinone-Veroli-Ferentino e membro del Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso, ne loda l’articolazione perché “sta a ricordarci che gli ebrei sono una realtà vivente, non soltanto una testimonianza del passato”. Ruth Dureghello, la presidente degli ebrei romani, associa il matrimonio al concetto di responsabilità. Un passo, una scelta, dove “ciascuno sposo ha ben chiaro di dover assumere un ruolo”. Responsabilità che è anche una delle parole chiave del Dialogo: molto, il suo messaggio, resta ancora da fare.
“Nelle differenze – ricorda – è possibile ritrovare anche le comunanze”. 

(Nelle immagini: la mostra Mazal Tov!; i curatori; gli intervenuti al convegno)

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LA CERIMONIA AL TEMPIO BETH SHMUEL 

Ebrei di Libia assassinati dal nazifascismo:
memoria dei nomi, impegni per il futuro

Per non vedere i corpi, i cadaveri accatastati, ha fatto l’unica scelta possibile: si è coperta gli occhi. Allegra Guetta Naim, 94 anni splendidamente portati, mima con le mani quel gesto. Un orrore impressosi nella mente quello di cui fu testimone bambina a Giado, quando di anni ne aveva soltanto 14. Lì, nel campo libico costruito dai fascisti per gli ebrei della Cirenaica, ha perso il padre. E con lui l’innocenza. Ma non la voglia di battersi e ricostruirsi un futuro anche nel segno – e qui sul suo volto appare un sorriso sempre più largo – di una copiosa discendenza di figli, nipoti, pronipoti. “Amore, felicità, pace”: questo, in collegamento da Israele, il suo triplice augurio.
Il suo intervento ha rappresentato uno dei momenti più intensi della celebrazione di Yom HaShoah svoltasi nelle scorse ore al Tempio Beth Shmuel a Roma, la prima iniziativa mai organizzata in questa data in memoria degli ebrei libici perseguitati e uccisi “a Giado, Sidi Azaz, Buerat El Hsum, Buq Buq, Auschwitz, Reichenau e Bergen Belsen”. Merito di Astrel, l’Associazione Salvaguardia Trasmissione Retaggio Ebrei di Libia, e del suo presidente David Gerbi che l’ha ideata.

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L'attacco al Kotel e la definizione di antisemitismo
Il gravissimo episodio, sabato 24 aprile a Gerusalemme, dell’attacco di gruppi palestinesi contro il Kotel è il punto di arrivo, per ora, di un’offensiva islamista che dura ormai da tempo e che ha prodotto uccisioni e ferimenti di cittadini israeliani, in particolare a Gerusalemme, e che si esprime tra l’altro nella pretesa di impedire agli ebrei di pregare sul Monte del Tempio. Episodi del genere vanno considerati atti di antisemitismo perché tali sono quei comportamenti che non si limitano a una critica politica di questo o quel comportamento di Israele. 
Valentino Baldacci
Serenità e pace interiore
“Goral echad lA’ ve goral echad la ‘Azazel – Uno destinato al Signore e uno destinato ad’ Azazel” (Vayikrà 16;8).
Nella prima parte della nostra parashà si descrive la cerimonia che il Cohen gadol svolgeva nel giorno più sacro del calendario ebraico: Yom Kippur. La parte culminante di questa cerimonia era l’estrazione a sorte di due capri che dovevano essere perfettamente uguali, i quali erano destinati uno all’offerta sacrificale, quindi al Signore, mentre l’altro ad ‘Azazel. Non è chiara la seconda destinazione ma sicuramente il secondo capro non subiva una sorte piacevole.
 
Rav Alberto Sermoneta
Somiglianze e differenze
Dato che ai cortei del 25 aprile si grida tutto e il contrario di tutto sarebbe logico aspettarsi che chiunque si possa riconoscere da qualche parte, o nel tutto o nel contrario di tutto. Tra centinaia o migliaia di persone sole o in gruppi, dietro a striscioni, stendardi, bandiere di ogni genere, tra canti e slogan di tutti i tipi, chi non saprebbe trovare un suo posticino? Chi non potrebbe addurre qualche valida motivazione per essere lì? E invece in Italia l’idea stessa di Resistenza, per quanto stiracchiata, decontestualizzata e usata talvolta più o meno come jolly, riesce ancora a dar fastidio a molti.
Anna Segre
Nazioni e civiltà
Oriana Fallaci, nel libro “La rabbia e l’orgoglio”, per dimostrare la supposta superiorità della civiltà occidentale rispetto al mondo arabo elencava decantandoli i suoi filosofi, gli artisti, gli scienziati, i musicisti e le loro numerose invenzioni. Al contrario, secondo questa visione distorta, all’altra cultura, quella araba, rimanevano solo Maometto e Averroè. Se il grado di civiltà di una determinata nazione davvero si misura con il numero di artisti e filosofi – inutile dire che la storia ha dimostrato più spesso il contrario – sarei curioso di sapere come può collocarsi l’attuale Russia.
 
Francesco Moises Bassano
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