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Roberto
Della Rocca,
rabbino
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I segni di lutto per la distruzione del
Tempio che manifestiamo nelle tre settimane precedenti al 9 di Av, sono
progressivamente stringenti, sino ad attenuarsi già nel pomeriggio
dello stesso Tisha' be Av e a trasformarsi in consolazione a metà del
giorno successivo alla tragedia. Non succede così, invece, quando muore
un congiunto dove le manifestazioni di lutto hanno inizio solo dopo la
sepoltura con i sette dì, i trenta giorni e i dodici mesi. Come se il
lutto collettivo per la distruzione del Tempio debba manifestarsi prima
della tragedia, per sottolineare e per riflettere piuttosto sulle cause
che hanno portato alla distruzione e all'esilio del popolo ebraico. Ma
vi è anche un'altra significativa differenza tra quella che sono le
modalità del lutto pubblico e quelle del lutto privato. Si piange una
persona dopo che lascia questo mondo perché siamo impotenti: dopo la
morte dell’individuo non possiamo fare niente per riportarlo in vita.
Viceversa, dobbiamo vivere con la certezza che il nostro esilio avrà
termine e che rivedremo Yerushalaim ricostruita presto e ai nostri
giorni.
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Dario
Calimani,
anglista
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Lo sforzo, in questi giorni, è mantenere in
esercizio lo spirito critico, tentato di annullarsi di fronte agli
attacchi di antisemitismo, quelli della feccia, quelli più o meno
subliminali della stampa, quelli dell’intellettuale che abusa del
titolo. Sembra che a nessuno interessi chiedersi quale sia il fine
ultimo al quale tendono tutto l’impegno e la strategia di Hamas. Di
fronte alla speranza che Israele voglia restituire i territori occupati
in cambio della pace, una vocina dentro ti dice che se l’obiettivo
dichiarato di quel governo terrorista è la distruzione di Israele, la
restituzione non rientra nei suoi interessi; anzi, l’occupazione è
l’alibi che gli serve, assieme al lancio di missili, per mantenere viva
la tensione. Ma la feccia, la stampa, l’intellettuale non pensano.
Lasciano lavorare le viscere, messe in abile subbuglio da Hamas.
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Le scritte dell'odio
e un silenzio "pesante" |
Svastiche, scritte antisemite, parole di
odio. Sui muri di Roma, non nuovi a queste iniziative, il rancore e il
veleno antisemita tornano a manifestarsi con modalità inquietanti.
“Svastiche sui negozi, raid antisemita nel cuore di Roma”, titola il
Messaggero. Sui quotidiani, tra gli altri, le reazioni del presidente
della Comunità ebraica Riccardo Pacifici e dell’assessore alle
relazioni esterne Ruben Della Rocca. Una ferma condanna dell’accaduto è
arrivata anche dal primo ministro Matteo Renzi, dal sindaco Ignazio
Marino e da esponenti delle diverse forze politiche. Sul dorso romano
di Repubblica, intervistato da Rory Cappelli, Pacifici afferma: “È
innegabile che le scritte di questa notte abbiano una matrice e abbiano
una firma, ed è anche abbastanza chiaro chi possano essere i mandanti.
È un mondo dell’estrema destra che soffia sul fuoco perché ha tutto da
guadagnare da un ipotetico scontro tra il mondo ebraico e quello
islamico”. In un editoriale sulla prima pagina del Corriere Paolo Conti
sottolinea la risposta compatta di istituzioni e società civile
ravvisando però, proprio nell’assenza di una condanna da parte
islamica, la lacuna più “pesante”. Scrive Conti: “Manca all’appello (lo
ha ricordato giorni fa Pierluigi Battista) la solidarietà e il sostegno
di quel mondo islamico, ben radicato qui a Roma, al quale — per una di
quelle coincidenze piene di significato — si è rivolto proprio ieri
Renzo Gattegna, presidente dell’Unione delle comunità ebraiche
Italiane, per la conclusione del periodo di digiuno del Ramadan.
Gattegna, nel suo messaggio, sottolinea che ‘ebrei e musulmani devono
camminare al fianco e insieme contribuire al progresso della società
italiana’. Parole di straordinaria civiltà, soprattutto in queste ore
tragiche per il Medio Oriente: una mano tesa verso il dialogo e il
superamento delle divisioni. Ma il dialogo è, appunto, un dialogo
quando a parlare e a tendersi la mano sono due interlocutori”. Domani
alle 21, davanti alla sede del Foglio, presidio di solidarietà per
Tsahal e tutti i cristiani perseguitati dall’integralismo islamico. Una
manifestazione che ha l’obiettivo di “illuminare l’aria appestata dalla
cultura di guerra del jihad” e “dalla spettrale invasione dei
tagliagole”. Oggi, formulando un invito, il direttore Giuliano Ferrara
sottolinea: “Pochi o molti che saremo, saremo quelli che hanno espresso
questo rifiuto, che non vogliono confusione ideologica e maleducazione
intellettuale, che intendono trasmettere ai giovani europei armati di
kefiah e di cattive idee, e di indifferenza verso i martiri, una cosa
nuova e bella”. Sembrano arenarsi, almeno al momento, le possibilità di
una tregua tra Israele e Hamas. Il fallimento dell’azione diplomatica
di Kerry, accusato dal primo ministro Netanyahu di aver ceduto alle
richieste del gruppo terrorista, emerge con nuova evidenza. Dopo
l’attacco con colpi di mortaio che ha portato all’uccisione di alcuni
cittadini israeliani nella regione di Eshkol il premier ha affermato:
“Dobbiamo prepararci a una lunga campagna, andremo avanti fino a quando
la missione sarà compiuta”. Sempre da Israele arriva l’accusa ad Hamas
di sparare sulla popolazione civile per incrementare il numero delle
vittime. Tra gli episodi contestati il bombardamento di un ospedale e
quello di un’area giochi di un parco profughi in cui sono morti otto
bambini. Ne scrivono, tra gli altri, Davide Frattini sul Corriere e
Maurizio Molinari sulla Stampa. Le cronache di questi giorni
ripropongono con forza il dramma degli abitanti di Gaza utilizzata
dalla leadership di Hamas come scudo umano permanente. Sul Corriere
un’insidiosa valutazione di Sergio Romano che, pur riconoscendo
l’esistenza di questa minaccia, inserisce nello stesso ragionamento
situazioni del tutto differenti come la conquista di villaggi arabi da
parte dell’esercito israeliano nel 1948 e la presenza di insediamenti
in Cisgiordania. “L’uso militare dei civili nelle guerre asimmetriche”,
il titolo della sua riflessione.
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#IsraeleDifendeLaPace Domande e risposte |
Domande chiare e risposte chiare e
autorevoli, punto per punto, ai complessi problemi della crisi
mediorientale. Aggiornamenti costanti ora per ora. L'impegno di fare
chiarezza sui diversi nodi del conflitto in corso tra lo Stato di
Israele e i terroristi di Hamas.
Sul portale dell'ebraismo italiano www.moked.it il lancio di una nuova
area informativa dedicata dalla redazione a notizie, schede,
dichiarazioni sugli ultimi sviluppi relativi all'operazione delle
forze di sicurezza israeliane nella Striscia di Gaza. Tutti i cittadini
che ritengono di poter aggiungere un contributo positivo per arricchire
il notiziario possono mettersi in contatto scrivendo a desk@ucei.it.
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#ISRAELEDIFENDELAPACE
– INFORMAZIONE
Ferrara:
“Reagire si può, si deve. Per i cristiani e per Israele”
“Reagire
si può. E si deve”. Le idee sono chiare e la determinazione è quella di
sempre. L’Elefantino del giornalismo italiano chiama tutti a raccolta
domani sera per sostenere le ragioni di Tsahal le forze di difesa di
Israele, impegnate in una dura lotta contro le organizzazioni
terroristiche che occupano Gaza e massacrano le popolazioni civili
israeliana e palestinese, ma anche per sensibilizzare gli italiani
sulla difficile situazione delle popolazioni cristiane minacciate in
molte aree dove domina il potere degli islamici integralisti.
L’appuntamento è per le 21, sul Lungotevere Sanzio, a pochi passi da
Ponte Sisto, proprio davanti alla redazione del suo giornale, il
Foglio. L’invito è aperto a tutti, lettori e non lettori, ebrei e non
ebrei, comuni cittadini e leader politici.
Giuliano Ferrara dal suo studio dà le spalle ai platani del Lungotevere
e si concede, nelle ore di fuoco che preludono la chiusura di un
giornale quotidiano, une breve pausa per spiegare il significato della
sua iniziativa.
“In questi giorni – commenta - sento più che mai il bisogno di parlare
chiaro. Israele usa le armi per difendere la propria popolazione
civile, Hamas usa la propria popolazione civile per difendere le
proprie armi”.
L’impegno a comprendere e
a spiegare le ragioni di Israele è forte e ben evidenziato da quanto il
Foglio pubblica in questi giorni. Ma la manifestazione di piazza a cosa
serve?
“Sul conflitto in corso ci sono molti malintesi. È vero che la
sproporzione delle forze colpisce, intimidisce, favorisce la favola
umanitaria. Israele è grande in confronto alla Striscia di Gaza, pur
essendo un paese piccolo. È più ricco, più popoloso, più attrezzato
militarmente e tecnologicamente. A sentire alcuni le parti in causa si
spartiscono torti e ragioni, sarebbero quasi sullo stesso piano. Ma non
è così. Hamas, l’organizzazione terrorista che controlla la Striscia di
Gaza e predica l’annientamento dell’entità sionista, usa il proprio
popolo, e in particolare donne bambini vecchi e ammalati, per tutelare
i tunnel e gli impianti missilistici e i depositi di armi negli
ospedali e nelle scuole. Israele si difende. Serve un gesto chiaro e
forte per dire assieme che a questo gioco di confondere le
responsabilità non ci stiamo. Che stiamo dalla parte di Israele”.
Dopo tanti giorni di
combattimenti, di fronte al dileguarsi delle speranza di una tregua,
molti sono preoccupati per l’emergenza umanitaria che incombe su Gaza…
“Questo buonismo di maniera non è umano e nemmeno umanitario. La
ricerca di un compromesso politico e militare, le richieste e le
realizzazioni di tregue umanitarie, sono benvenute. Nel vasto e fosco
orizzonte della politica mondiale, e del ruolo tragico in essa
rivestito dalla questione israelo-palestinese, stanno molte emozioni e
molte opinioni, anche di segno diverso e opposto: ma non si può
accettare che il mondo, nell’ora in cui l’ordine mondiale è devastato
dalla riluttanza e dal disimpegno del capo degli Stati Uniti d’America
e dall’impotenza dell’Unione europea, si dichiari, Judenmüde: stanco
degli ebrei”.
L’appello del Foglio
guarda più in là, non si ferma all’orizzonte del Medio Oriente.
“Non si può accettare di rubricare come una serie di episodi locali la
sequenza di stragi di cristiani, l’intolleranza violenta nei confronti
della loro libertà di culto, il succedersi di rapimenti, stupri,
assassinii di chi porta la croce come vessillo di umanità, di gioia e
di pace. Per chi ha il coraggio di parlare è ora di dire basta”.
Le due situazioni sono
dunque strettamente collegate?
“Gli uccisi di confessione cristiana, le famiglie sradicate e cacciate
dalle antiche terre in cui hanno sempre praticato il loro culto, sono
testimonianze di un mondo che va a rotoli: nessuno può presumere di
salvarsi e di salvarlo da solo. Questo solo vogliamo dire in una notte
romana non qualsiasi: ci sono cose che non possono esser accettate, e
tra queste la virulenta campagna umanitaria che nasconde malamente
impulsi ferocemente antisionisti e antisemiti, e l’altrettanto violenta
indifferenza verso il mondo cristiano attaccato. Chi sta alla radice
della fede in Cristo, come disse papa Ratzinger del sovrano
particolarismo ebraico, e chi sta ben fermo in quella fede messianica
nella resurrezione, e tutti noi che non ci muoviamo dal rispetto di
comportamento e di idee laiche verso le basi del modo di vivere e amare
che ha anche una caratura ‘occidentale’, tutti dobbiamo unirci anche
solo simbolicamente, anche solo per una notte, e agitare mille torce
per illuminare l’aria appestata dalla cultura di guerra del jihad e
dalla spettrale invasione dei tagliagole”.
Tanti lettori del Foglio
di fronte a questa iniziativa hanno già dato messaggi positivi. Ti
attendi molta rispondenza?
“Pochi o molti che saremo, saremo quelli che hanno espresso questo
rifiuto, che non vogliono confusione ideologica e maleducazione
intellettuale, che intendono trasmettere ai giovani europei armati di
kefiah e di cattive idee, e di indifferenza verso i martiri, una cosa
nuova e bella”.
In campo ebraico, in
Italia e nel mondo, si registrano interpretazioni discordanti riguardo
all’atteggiamento dei media di fronte alla crisi. Permane una certa
dose di malafede e si superficialità nel giudizio. Ma secondo alcuni rispetto agli scorsi anni
si può registrare un progresso, una maturazione. Le ragioni di Israele
emergerebbero con maggiore chiarezza e al lettore la situazione
verrebbe spiegata con maggiore onestà. Ti sembra, al di là di quanto
pubblicato dal Foglio, un’analisi condivisibile?
“Non saprei dirti quanto sia un’impressione fondata. Forse un progresso
c’è, ma non me ne sento sicuro. Diciamo che sicuramente possiamo
tramutare queste idee in un augurio. Il giorno che questo avvenisse
sarebbe un bel giorno”.
Questa è una strana
estate, molto tesa, dolorosa. E anche nuvolosa.
“Certo – ride Ferrara – ma ho letto attentamente le previsioni. Forse
pioverà domani fino al tardi pomeriggio. Ma il cielo dovrebbe tornare
sereno subito prima del nostro incontro. L’appuntamento è per le 21”.
gv
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QUI
TORINO
Una
serata per stare uniti
Si
è trattato di una la serata che ha raccolto numerosi rappresentanti di
istituzioni e organizzazioni ebraiche a intervenire al dibattito, e
dichiaratamente senza alcun intento politico. L’incontro “Sotto
attacco: quale futuro per Israele” è stato un’occasione di riflessione
e scambio di opinioni, per condividere stati d’animo, emozioni, e
soprattutto per restare insieme, uniti. Il centro sociale della
Comunità si è così rapidamente riempito e trepidazione, angoscia e
speranze quotidiane sono state il tema comune dei vari interventi. Dai
rappresentanti comunitari al vicepresidente dell’Unione delle Comunità
Ebraiche Italiane Giulio Disegni, da Claudia De Benedetti, dell’Agenzia
Ebraica a rav Alberto Somekh, le varie voci che si sono alternate hanno
condiviso una grande preoccupazione per le deficienze dell’informazione
e la comune volontà di fare tutto il possibile per aiutare, appoggiare
e sostenere chi nel conflitto è coinvolto direttamente.
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Gli
Stati Uniti e Gaza |
La
Guerra che Israele sta conducendo nella striscia di Gaza rischia di
guastare le relazioni cordiali fra Israele e gli Stati Uniti. Questa
conseguenza era prevedibile alla luce della posizione
dell’amministrazione attuale degli Stati Uniti nei confronti del Medio
Oriente.
In Egitto Washington era dalla parte di Morsi, leader dei Fratelli
Musulmani, e non da quella di Abdel Fatah el-Sisi, attuale Presidente.
In Israele i Fratelli Mussulmani sono considerati come estremisti
islamici fondamentalisti, mentre si nutre simpatia per el-Sisi,
moderato e pro-occidentale. Ma egli non è stato invitato a Parigi, come
del resto neanche Israele e Abu Mazen, che sono al centro della disputa.
Sergio Minerbi, diplomatico
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Armiamoci
e partite |
“A
sindaco, stai a fa’ er frocio col culo dell’artri!”. Con questa battuta
fulminante se ne uscì anni fa – nel corso di una Giunta – un
indimenticato assessore del Comune di Roma. A lui ho pensato leggendo
l’editoriale di Ernesto Galli Della Loggia sul Corriere di ieri. Il
succo del ragionamento è questo: la civiltà occidentale, ormai
secolarizzata, ha paura di dichiararsi cristiana e dunque reagisce con
indifferenza ai massacri di cristiani in giro per il mondo. Poiché non
crede più in nessuna trascendenza, ha paura della morte, e quindi non
sa più neanche fare la guerra.
Tobia Zevi, Associazione Hans Jonas
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Storie
- I curriculum ripuliti |
Il
progetto del razzo statunitense Saturn V, che nel luglio del 1969
lanciò sulla Luna la navicella spaziale Apollo 11, fu elaborato e
diretto dal barone nazista Wernher Magnus Maximilian von Braun,
l’inventore dei razzi V1 e V2, che colpirono Londra e il Belgio
nell’autunno del 1944.
La storia di von Braun e del gruppo di scienziati nazisti (fisici,
chimici, medici) assoldati nell’immediato dopoguerra nell’esercito
degli Stati Uniti è stata ricostruita in un libro da poco uscito,
firmato da Annie Jacobsen, reporter del Los Angeles Times Magazine.
Mario Avagliano
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