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22 agosto 2014 - 26 Av 5774 | |||||||||||||||||||||
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#israeledifendelapace - l'analisi Il Medio Oriente è uno L'illustre demografo e politologo Sergio Della Pergola analizza per il lettori del giornale dell'ebraismo italiano Pagine Ebraiche l'incandescente situazione sullo scenario mediorientale. Ecco un'anticipazione di estrema attualità tratta dall'analisi che apparirà sul numero di settembre. Nella catastrofe del reportage mediatico e dell'analisi politica di queste ultime settimane sull'affare di Gaza, un elemento saliente è la malevola e non casuale omissione della connessione che esiste fra i diversi conflitti ora in corso nel Medio Oriente. Tipicamente l'annunciatrice televisiva, magari dopo aver parlato a lungo del massacro di cinquemila Yazidi in Iraq e dell'autobomba scoppiata con cento vittime al centro di Aleppo, quando dice: "E passiamo ora alla crisi in Medio Oriente" si riferisce esclusivamente agli sviluppi a Gaza (e di sfuggita in Israele) e ignora che Damasco si trova a 40 chilometri dal confine israeliano, mentre sulla parte orientale della stessa Siria si consolida l'ISIS, ossia Da'ash, ovvero il Califfato islamico. Sono davvero strabilianti anche gli appelli dei governi dei paesi occidentali per la salvezza dei cristiani massacrati e perseguitati in Iraq e per il ristabilimento della pace a Gaza, come se si trattasse di due mondi conflittuali differenti e non del tutto contestuali. Straordinarie sono anche le espressioni di quegli alti dirigenti della Chiesa di Roma che lanciano quotidiani appelli alla pace negando che quella attuale possa essere una guerra di religione ("perché i gruppi integralisti non appartengono a nessuna religione"). È dunque necessario cercare di fare un po' di ordine in questa congerie di avvenimenti, con tanti buoni e tanti cattivi, veri o falsi, in cui nella prevalente rappresentazione di giornalisti e intellettuali Israele sta dalla parte dei cattivi. Quando si considerano i fatti e le forze in campo, tutto ciò non può essere considerato frutto di ingenuità e suggerisce invece il senso di una certa perversa complicità. Al livello più semplice di popolarizzazione, e rinunciando a qualche finezza da specialisti, diciamo che nel corso di queste settimane si affrontano in uno degli epicentri della violenza mondiale otto forze principali diverse di cui è importante comprendere i mutui rapporti e conflitti. Quattro sono i maggiori attori islamici: (1) Il complesso sciita, risorto con la rivoluzione iraniana del 1979, fondamentalista per natura, dittatoriale e in cerca di soluzioni nucleari, incentrato a Teheran, grande sostenitore dell'alleata Siria di Assad e di Hizbollah in Libano; (2) Il complesso sunnita cosiddetto moderato include l'Arabia Saudita, l'Egitto, la Giordania, gli Emirati del Golfo con l'eccezione di Qatar, e anche l'Autorità Palestinese in Cisgiordania – per quello che conta; (3) Il complesso islamico sunnita fondamentalista include l'ISIS-Da'ash-Califfato in via di consolidamento, i movimenti Jihadisti, e Hamas a Gaza – diviso dal Jihad da minuscole sfumature tattiche; (4) Un altro complesso islamico sunnita duro più occasionale che organico accorpa la Turchia, candidata all'Europa, e il Qatar, sede della sorprendente TV Al Jazeera e dei campionati del mondo di calcio 2022, in teoria paesi moderati e modernizzati, oggi più vicini agli estremisti per via della loro aspirazione a un ruolo politico internazionale. L'incompatibilità fra sunniti e sciiti è talmente profonda che Hamas (sunnita) e Hizbollah (sciita) non hanno finora coordinato la loro azione di fronte al comune aborrito nemico Israele, e in Siria combattono l'uno contro l'altro. In Medio Oriente giocano anche tre grandi attori esterni: (5) Gli Stati Uniti sotto Obama sembrano aver perso la strada maestra della strategia politica. Il presidente Bush figlio era dotato di medio intelletto e proponeva una rozza dottrina di esportazione della democrazia americana al Medio Oriente. La dottrina è fallita, ma almeno aveva il pregio di esistere e di essere ingenuamente idealista. Oggi Obama non ha una dottrina (oltre al "non far sciocchezze"): dopo il corteggiamento dei Fratelli Musulmani ritenuti voce più autentica dell'islamismo e la riduzione della propria presenza militare, gli USA devono ora patteggiare l'assenso dell'Iran e bombardare gli estremisti sunniti in un Iraq che speravano di aver sgomberato. (6) L'Unione Europea, a differenza degli USA, non ha al proprio attivo nemmeno l'abbozzo di una sia pure ingenua dottrina morale e porta avanti soprattutto gli interessi disparati legati alle precarie bilance dei pagamenti dei diversi paesi membri. Soprattutto l'Europa cristiana ha chiuso gli occhi a lungo e ipocritamente sulla tragedia dei correligionari in Medio Oriente, massacrati e espulsi dai vari regimi fondamentalisti islamici. (7) La Russia, paese dai drammatici squilibri interni, gioca abilmente a rimpiattino con gli attori occidentali, mette i bastoni fra le ruote del consenso globale cercando di riguadagnare le posizioni perdute con la scomparsa dell'Unione Sovietica. Ed è inevitabile notare che mentre si parla del nuovo ordine del 21° secolo, la Turchia e la Russia, paesi entrambi guidati da leader autoritari e privi di freni inibitori, cercano di ricostruirsi spazi politici analoghi all'Impero Ottomano e dell'Impero Zarista del 19° secolo. In questo grande gioco di tutti contro tutti, l'attore più debole, evanescente e anemico è tristemente l'Unione Europea. E infine c'è l'ottavo attore. Qui parrebbe naturale riferirsi a Israele, piccola e anomala realtà, forte moralmente, economicamente e militarmente. Guardando al Medio Oriente più dall'alto, tuttavia, l'ottavo attore è semmai il complesso di tutti quei gruppi nazionali e religiosi che l'Islam considera estranei e diversi: dunque gli Ebrei, ma insieme a loro anche i Cristiani nelle loro molte denominazioni, i Curdi e altre minoranze come gli Yazidi fino ad oggi totalmente ignorati e ora tragicamente alla ribalta. La posizione strategica di questi gruppi è molto simile: non solo l'ovvia necessità di sopravvivere di fronte all'intolleranza, alla violenza e alla repressione islamica ma anche un'aspirazione a pieno diritto di sovranità in un Medio Oriente che essi hanno abitato da ben prima che l'Islam nascesse nel 7° secolo. Corrispettivamente, la mediatica e la politica globale ignorano o fanno finta di ignorare l'analogia di interessi e di esperienze del complesso Ebrei-Cristiani-Curdi-Altri e li tratta con sfacciata doppiezza. Così, dopo il massacro delle minoranze in Iraq, le persone più illuminate reclamano a gran voce il bombardamento americano di ISIS; mentre le stesse persone illuminate condannano il bombardamento israeliano di Hamas che ha regolarmente massacrato e espulso i propri cristiani da Gaza e condivide con ISIS la stessa testa, lo stesso sangue, e soprattutto gli stessi finanziamenti. Se per caso Israele non avesse avuto la cupola di ferro, secondo il piano originale di Hamas le strade di Tel Aviv, di Ashdod e di Beersheva sarebbero oggi come quelle di Gaza e di Aleppo. Chi allora in occidente avrebbe protestato o perfino inviato una delegazione umanitaria? Forse l'Italia con il viceministro degli esteri Lapo Pistelli, in questi giorni molto attivo nell'alleviare i disagi in Medio Oriente? Certo, denunciare l'ottusa ignoranza e la perversa malafede della mediatica e della politica e vantare le ragioni di Israele non basta. Da parte di Israele vi sono molte importanti lezioni politiche da trarre e da applicare. "Israele farà da sé" è una parafrasi del detto di Carlo Alberto di Savoia, e andrebbe poi visto bene che cosa davvero avvenne dopo quella frase famosa. L'insufficienza di tale approccio è palese. Israele deve uscire dal proprio isolamento cercando con tutte le proprie risorse di costruire alleanze: innanzitutto con i compagni di percorso e di destino cristiani e curdi; poi con le componenti islamiche moderate con le quali esistono in definitiva molti interessi comuni, anche in Cisgiordania; e infine con quelle componenti non mediorientali che hanno interesse ad ascoltare. Lo stato d'Israele – fatto irreversibile per diritto e non per grazia – deve imparare a spiegarsi meglio. Israele non può avere solamente una politica di difesa ma deve anche sviluppare una proposta per la costruzione che dovrà seguire alla guerra. Deve collaborare a una coraggiosa politica di frontiere, di convivenze e di scambi. Deve anche prestare maggiore attenzione alle sciagure e alle necessità dei vicini, perfino quelle create dalla volontaria e conscia partecipazione di tanti palestinesi ai piani di un manipolo di dirigenti maniacalmente estremisti. Il Medio Oriente è uno e Israele non può vivervi 100 anni di solitudine. Sergio Della Pergola, Gerusalemme |
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