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21 gennaio 2015 - 1 Shevat 5775
PAGINE EBRAICHE 24


ALEF / TAV DAVAR PILPUL

alef/tav
David
Sciunnach,
rabbino
“… perché Io ho reso insensibile il suo cuore…” (Shemòt 10, 1). Il Grande Rabbì Yehudà Lieb Alter di Gur, conosciuto per il suo commento come Sèfàt ‘Emèt, ci dice a proposito di questo verso: Il Santo Benedetto Egli Sia sembra onorarsi del fatto che Egli stesso dia forza al malvagio faraone per agire contro Lui e contro il popolo d’Israele. È questa una cosa incredibile, il fatto che venga concesso all’uomo di utilizzare quelle forze che egli riceve dalla Provvidenza contro la Provvidenza stessa. Una tolleranza del genere può esservi solo nel Creatore, nessuna creatura umana ha la capacità di comprendere.
 
David
Assael,
ricercatore
Giusto evidenziare i punti di conflitto e i rischi che si portano dietro. Ma, mi pare corretto, se non altro per alimentare una flebile fiammella di speranza, riportare anche i pochi, pochissimi episodi opposti. Una delle vittime dell’Hypercasher (il supermercato nel quale è avvenuto di uno degli attentati parigini), Yoav Hattab, era un ebreo di origini tunisine. Così, sabato sera, a Tunisi, ebrei, musulmani e cristiani, si sono riuniti per omaggiare il connazionale, ora sepolto a Gerusalemme. Zion Cohen, 22 anni, dice: “Noi siamo come una famiglia. Vogliamo dimostrare che la Tunisia è la terra di tutte le fedi e che i tunisini sono tutti fratelli, siano essi musulmani, ebrei, cristiani o atei”. Posizioni che smentiscono l’idea, ai miei occhi superficiale, dello scontro di civiltà.
 
 
 
Il luoghi della Memoria
Quanto, del corale sentimento di solidarietà emerso dopo gli attacchi di Parigi, si sarebbe manifestato se l’eccidio avesse riguardato solo gli ebrei? E quanto pregiudizio rimane vivo nella società italiana? Ruotano attorno a questi interrogativi “le domande scomode sull’antisemitismo” proposte oggi ai lettori del Corriere della sera da Riccardo Franco Levi e Alberto Melloni in vista del Giorno della Memoria.
Scrivono gli estensori dell’articolo: “Come ha ricordato il ministro Giannini parlando agli studenti italiani ad Auschwitz pochi giorni fa, pur nel riconoscimento di quel luogo quale primo ed universale simbolo dell’orrore della Shoah, altri sono i luoghi, altre sono le date che parlano e devono parlare alle giovani generazioni della persecuzione contro gli ebrei italiani: l’aula della Camera dei deputati dove il 14 dicembre del 1938 furono all’unanimità approvate le leggi antiebraiche; il Ghetto di Roma dove avvenne il rastrellamento degli ebrei del 16 ottobre 1943; il Binario 21 della stazione Centrale di Milano da dove partivano i vagoni per la deportazione; il campo di Fossoli, ultima tappa prima di Auschwitz, la Risiera di San Sabba a Trieste, l’unico campo di sterminio in terra italiana”.
Qui, non meno che ad Auschwitz – il loro appello – “è e sarà bene portare gli studenti per far toccar loro con mano la realtà e la radice profondamente italiane delle persecuzioni contro gli ebrei”.

Tel Aviv, attentato sul bus 40. Cresce di ora in ora il numero di feriti, di cui alcuni in gravi condizioni, nella nuova azione terroristica condotta ai danni della popolazione civile israeliana. L’attentatore, un cittadino palestinese di Tulkarem, è salito sul bus linea 40 e si è scagliato contro la folla brandendo un coltello. Catturato dalla polizia, è stato immediatamente sottoposto a interrogatorio. Lo riferisce la stampa online israeliana.
 
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  davar
QUI TORINO - La mostra "i mondi di primo levi"
Una strenua trasparenza
A Torino il carro ferroviario adibito alle merci che risale all’inizio del Novecento aspetta sotto la pioggia, in piazza Castello, davanti a Palazzo Madama. È ancora coperto e verrà svelato ai visitatori solo questa sera, quando la mostra “I mondi di Primo Levi – Una strenua chiarezza” sarà inaugurata ufficialmente. Allestita nella Corte Medievale su progetto dell’architetto Gianfranco Cavaglià e curata da Fabio Levi e Peppino Ortoleva, la mostra offre al pubblico in una organizzazione non cronologica documenti, oggetti, immagini, citazioni, ricreando in tappe tematiche, quelli che sono i diversi mondi dello scrittore torinese. Promossa dal Centro Studi Primo Levi in occasione del settantesimo anniversario della liberazione di Auschwitz, la mostra resterà a Torino fino al 6 aprile, per poi iniziare il suo viaggio per le numerose destinazioni già previste, sia in Italia che all’estero.
Passando da un mondo all’altro, da una fotografia inedita – e sono tante le immagini mai viste di Primo Levi, che lo ritraggono in mille situazioni anche familiari – a un testo, dalla ricostruzione del suo tavolo di chimico alla farfalla di filo di rame che si offre per la prima volta agli occhi del pubblico, risuona costantemente nelle orecchie la voce dello scrittore, che giunge dai diversi schermi che grazie alla perizia di Ars Media riproducano a ciclo continuo frammenti di interviste, ragionamenti, racconti.
Primo Levi ha raccontato con “strenua chiarezza” la verità sul mondo capovolto del Lager, percorrendo un itinerario lungo quarant’anni che lo ha portato a indagare i recessi più dolorosi e insondabili del XX secolo; ha saputo offrire ai lettori di tutto il mondo storie straordinarie fra realtà e fantascienza, e ha intrecciato la sua esperienza di chimico montatore di molecole con quella dello scrittore che compone universi montando una sull’altra le parole. E ha mostrato ai suoi lettori quanto il lavoro, anche nella società contemporanea, possa costituire una risorsa decisiva per la felicità degli esseri umani. Sono tante le sfaccettature di quella che era una persona schiva e solo apparentemente semplice, raccontate con perizia e attenzione dai curatori.
La conferenza stampa è stata aperta dal direttore di Palazzo Madama, Enrica Pagella, che ha come prima cosa ringraziato il Centro studi, che ha reso possibile una mostra che si è detta “orgogliosa di poter ospitare” mentre Ernesto Ferrero, che del Centro internazionale di studi Primo Levi è il presidente, ha voluto ricordare ai presenti l’importanza e il valore degli scritti, quanto mai attuali, e l’opportunità, offerta da questa mostra, di scoprire e riscoprire, e soprattutto di rileggere Levi. Ha poi preso la parola il sindaco, Piero Fassino, che ha voluto ringraziare il Centro studi ma anche tutte le persone coinvolte in un lavoro che è stato corale, condiviso e partecipe, “spinto da quel motore instancabile che è il direttore del Centro studi, Fabio Levi”. Ha poi citato un brano da I sommersi e i salvati, dal capitolo intitolato “Violenza inutile”, collegandosi all’attualità e ricordando come la piazza su cui si affaccia Palazzo Madama si sia riempita di migliaia di persone in seguito agli attentati che a Parigi hanno decimato la redazione del settimanale satirico Charlie Hebdo e ucciso quattro clienti, ebrei, di un supermercato casher, intenti alle ultime spese prima del sabato.
Ha concluso la conferenza stampa Fabio Levi, che ha voluto portare l’attenzione sui pannelli che chiudono il percorso della mostra. L’ultimo, in particolare, riporta una citazione da Racconti e saggi: “Prego il lettore di non andare in cerca di messaggi. È un termine che detesto perché mi mette in crisi, perché mi pone indosso panni che non sono i miei, che anzi appartengono a un tipo umano di cui diffido: il profeta, il vate, il veggente. Tale non sono; sono un uomo normale di buona memoria che è incappato in un vortice, che ne è uscito più per fortuna che per virtù, e che da allora conserva una certa curiosità per i vortici, grandi e piccoli, metaforici e materiali.”

Ada Treves twitter @atrevesmoked


Alla mostra il numero di febbraio di Pagine Ebraiche, in distribuzione nei prossimi giorni, dedica ampio spazio. Anticipiamo qui alcuni estratti dell’intervista a uno dei curatori, il professor Peppino Ortoleva.

Una strenua chiarezza
“È una mostra concepita per raccontare i mondi di Primo Levi con quella semplicità e quella chiarezza per cui, come ha scritto più volte lo scrittore torinese, è doveroso lottare. Una mostra pensata per viaggiare, per essere itinerante e per arrivare, con un linguaggio che deve necessariamente essere diverso da quello della letteratura, ai visitatori che muovendosi in un luogo fisico avranno delle esperienze reali, e – auspicabilmente – arriveranno a provare delle emozioni.”
Così il professor Peppino Ortoleva, che di “I mondi di Primo Levi – Una strenua chiarezza” è curatore insieme a Fabio Levi, direttore del Centro internazionale di studi Primo Levi di Torino racconta quali idee hanno guidato il ragionamento che sottende a un montaggio attento, delicato, tutto volto a rispettare “uno dei più grandi e celebri testimoni di quella che lui non ha mai chiamato Shoah”.
Studioso di storia e teoria dei mezzi di comunicazione, Ortoleva tiene a sottolineare come non si tratti di una mostra sulla vita di Primo Levi, non su di lui come scrittore, né di una mostra su Auschwitz. “La cosa davvero eccezionale, che abbiamo cercato di evidenziare in tutto il percorso della mostra, è come abbia saputo evocare e costruire una serie di mondi, ed è intorno a questi aspetti anche diversissimi tra loro che abbiamo montato le diverse tappe. (…)
Tutto lo spazio è articolato in un percorso in cui si incontrano illustrazioni inedite, videoistallazioni, oggetti d’epoca, sculture, audiovisivi, pannelli esplicativi cui si aggiungono materiali che offrono anche a studenti e insegnanti innumerevoli occasioni di riflessione. sulla letteratura e sulla vita.
(…)
Elemento conclusivo di quello che si configura come un vero e proprio viaggio nei mondi di Primo Levi, un video restituisce, solo dopo aver visitato tutta la mostra, quell’elemento cronologico che i curatori hanno accuratamente evitato di utilizzare sino all’ultimo schermo, dove scorre una cronologia della vita e delle opere di Primo Levi. I titoli di coda.

da Pagine Ebraiche, febbraio 2015


qui torino
La musica di Primo Levi
Il pubblico delle grandi occasioni ha riempito, mercoledì sera, la sala del conservatorio di Torino per un concerto dal programma particolare, parte della programmazione prevista per il giorno della Memoria ma soprattutto anticipazione delle giornate che la città dedica a Primo Levi a partire da oggi, con l’inaugurazione della mostra a lui dedicata. Organizzato dal Centro internazionale di studi Primo Levi in collaborazione con il Conservatorio Giuseppe Verdi, il programma ha visto alternarsi in scena alcuni pianisti, due soprano, un tenore e dodici sassofonisti, allievi dell’istituzione musicale, che hanno eseguito quella musica che lo scrittore ha citato come importanti per la sua vita in un’intervista radiofonica del 1982. Le parole di Levi, cui ha dato voce Valter Malosti, l’attore che dirige la scuola del Teatro Stabile di Torino, si sono così alternate alla musica, spesso filo conduttore tra generazioni, come nel caso della canzone tradizionale piemontese che gli cantava sua madre e di Offenbach, memoria paterna. La musica dei balilla, con il ricordo del fastidio della divisa “che tirava da tutte le parti” e le prime sgradite imposizioni, è così stata seguita dal Das Horst-Wessel-Lied, inno del partito nazista e il suono di una fisarmonica ha ricreato, insieme alle parole di Levi, quei surreali momenti in cui i deportati venivano accolti dalle note dell’orchestra di Auschwitz, con la tristemente nota “Rosamunda”. La canzone che cantavano i soldati russi dopo la guerra, mentre rientravano dal fronte, i Quadri di un’esposizione di Mussorgskji hanno lasciato il posto a un sorprendente ensamble di 12 sassofoni che ha proposto alcuni inediti arrangiamenti. Grande è stato il successo di una selezione di brani da Un americano a Parigi di George Gershwin, memoria serena degli anni “in cui tutto sembrava aver trovato il suo posto”, e di Colonel Boogey dal film “Il ponte sul fiume Kwai”, ma ad emozionare il pubblico è stato soprattutto quell’Amado mio (cantato da Rita Hayworth in “Gilda” di Charles Vidor) colonna sonora del fidanzamento di Primo Levi con Lucia Morpurgo, che nel ‘47 sarebbe diventata sua moglie.
israele
Terrore a Tel Aviv, Netanyahu:

"Abu Mazen responsabile"
L’attacco di Tel Aviv è la diretta conseguenza della velenosa campagna di incitamento del presidente Abu Mazen contro gli ebrei e il loro Stato. Lo stesso terrorismo cerca di colpirci a Parigi, Bruxelles e ovunque”. Così il presidente israeliano Benjamin Netanyahu ha commentato la nuova azione perpetrata nelle scorse ore dal terrorismo palestinese ai danni della popolazione civile con l’assalto, da parte di un 23enne residente a Tulkarem, in Cisgiordania, dei passeggeri di un bus urbano.

Armato di coltello, Hamza Matrouk si è scagliato contro la folla che assiepava il mezzo, stipato di pendolari che si recavano al lavoro nell’ora di punta del traffico mattutino. Numerosi i feriti, tra cui almeno quattro sarebbero in gravi condizioni. La sua azione è stata interrotta grazie all’intervento delle forze di polizia, che lo hanno messo in condizione di non nuocere al termine di uno scontro a fuoco.

Arrestato e sottoposto immediatamente a interrogatorio, Matrouk ha giustificato i suoi crimini come vendetta “alle operazioni militari condotte da Israele a Gaza la scorsa estate”. Negli stessi minuti parole di apprezzamento per l’attacco venivano espresse dalla leadership del movimento terrorista di Hamas. “Una mattina di Resistenza, una mattina per la nazione”, il commento del portavoce Hawzi Barhoum. Izzat al-Rishq, parte del gruppo dirigente che è ospitato in Qatar, ha definito l’attacco “eroico” e “coraggioso”.
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qui roma - il workshop del Cdec
La Memoria diventa digitale
Un’occasione di confronto sulle nuove avanguardie e le tecnologie fondamentali per il lavoro nei musei, archivi e biblioteche. È la sfida dell’International Workshop “Linked Open Data & The Jewish Cultural Heritage” organizzato dalla Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea con la società regesta.exe (che sviluppa tecnologie al fine di valorizzare i beni culturali) e l’Istituto di Informatica e Telematica del CNR. L’evento è stato reso possibile grazie al patrocinio di Camera dei Deputati, Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, W3C Italia, ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, Fondazione del Museo della Shoah e Comitato di Coordinamento per le Celebrazioni in Ricordo della Shoah e con il sostegno de Gli amici della Fondazione Cdec.
Dopo le sessioni della mattina che si sono concentrate sulla spiegazione prettamente tecnica del LOD (il Linked Open Data project), la seconda parte del workshop ha preso in esame l’iniziativa specifica del Cdec e gli esempi proposti dalle altre istituzioni ebraiche internazionali.
Si entra nel vivo del progetto del Cdec ‘Nomi delle vittime della Shoah’; prima della digitalizzazione e introduzione dei LOD, il lavoro era ben diverso e lo rievoca Liliana Picciotto, la storica del Cdec pioniera dell’iniziativa e consigliere dell’UCEI: “Da dove siamo partiti? Mentre negli anni ’70 l’Ibm elaborava i primi metodi di catalogazione digitale, noi iniziavamo a compilare a mano delle schede su oltre 9000 ebrei italiani deportati. Ad ogni riga corrispondeva una categoria di informazioni. Quando negli anni ’80 la Olivetti ci regalò un primo modello di computer non ci sembrò vero”. Ad intervenire ai lavori anche il parlamentare del Partito Democratico Emanuele Fiano: “Ricevo continue segnalazioni di falsificazioni o interpretazioni erronee della storia. Ed è proprio per questo che credo che il governo non debba smettersi mai di interrogarsi su come sviluppare il Giorno della Memoria. Il lavoro del Cdec sulla Shoah non deve essere visto come il lavoro di archeologi ma costruzione contemporanea della conoscenza”.

(Nell'immagine l'intervento del deputato Emanuele Fiano)
 
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QUI ROMA - il Master in didattica della shoah
Insegnare la Memoria
Decimo anno di attività per il Master Internazionale di II livello in Didattica della Shoah presente nell’offerta formativa dell’Università degli Studi di Roma Tre e diretto dal professore David Meghnagi. Un traguardo celebrato oggi nella Sala Polifunzionale della Presidenza del Consiglio che ha visto gli interventi di Anna Nardini, consigliere della Presidenza del Consiglio; Massimo Panizza, Magnifico Rettore di Roma Tre; Victor Magiar, consigliere dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane con delega alla Memoria; Rafael Erdreich, ministro consigliere dell’Ambasciata d’Israele e le riflessioni di Giacomo Marramao (Presidente della Scuola di Lettere, Filosofia, Lingue), del presidente emerito della Camera dei Deputati Luciano Violante e del professore di sociologia Roberto Cipriani.

“Quello che vogliamo fare oggi – spiega Meghnagi – è confrontarci sul tema della Memoria in maniera inedita e viva, proprio per questo ho voluto che tra i partecipanti ci fossero i ragazzi dell’ultimo anno del liceo. Trovandoci in una sede istituzionale vorrei anche lanciare un auspicio: che il master diventi gratuito. Tengo davvero che insegnanti meritevoli possano accedervi senza dover pagare la retta”. “Ho appena visitato Auschwitz – introduce la Nardini – con i testimoni che hanno rievocato i ricordi più vividi. Insieme al viaggio bisogna contestualizzare il periodo storico ed attualizzarlo. Proprio la mancanza di consapevolezza ci sta facendo vivere i momenti drammatici nati dal germe della discriminazione e della paura del diverso”. Victor Magiar si appella direttamente agli studenti in sala: “Siete voi la vera sfida. Quando leggevo le parole di Primo Levi, la cui paura era quella di una nuova Shoah, la credevo una esagerazione. Dalla guerra nella ex Jugoslavia in poi mi sono dovuto tristemente ricredere. Una tragedia simile è possibile. Proprio per questo è fondamentale che siate voi ragazzi ad avere consapevolezza, senza banalizzare la Memoria. Dovete essere le sentinelle del futuro”.
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qui milano
L'esempio dei giusti
I giusti della Shoah sono coloro che scelsero di non essere complici dei crimini nazifascisti, che agirono per salvare vite umane, che non vollero far parte della famosa zona grigia, responsabilmente indifferente di fronte al genocidio. Sono dunque esempi da seguire, modelli validi ancora oggi soprattutto per le giovani generazioni. Da qui il grande lavoro e impegno di Gariwo  la foresta dei Giusti di Milano che per il Giorno della Memoria 2015 ha lanciato l'iniziativa “Adotta un Giusto”: un progetto, avviato lo scorso ottobre e le cui tappe chiave cadranno domani e il prossimo 6 marzo, che vede coinvolti cinquecento studenti milanesi.
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pilpul
Ticketless - Traditori
Dopo i fatti di Parigi l’ultimo romanzo di Amos Oz (“Giuda”, Feltrinelli) va ripensato. Manca in questi giorni drammatici una riflessione sull’assenza del Traditore nella cultura islamica. Giuda, appunto, l’eretico, il riformatore, il protestante, lo straniero, Elisha ben Abuyah sono figure senza equivalenti nella cultura islamica. So di inoltrarmi su un terreno delicato, che non è il mio. Ricordo, di avere ascoltato nei seminari bolognesi di Pier C. Bori e poi letto negli interventi di Mohammed Haddad su “Réformes. Comprendre et comparer les religions”, che non mancarono spinte modernistiche all’interno del mondo islamico, all’inizio del Novecento, ma sempre troppo flebili. Quello che aiuterebbe gli islamici moderati a combattere il fondamentalismo è il tradimento costruttivo, la dialettica trasgressore-apostata, che ci ha rivelato Scholem per il misticismo ebraico: colui che superando una soglia si colloca deliberatamente dalla parte dei meno, si isola, prende le distanze. Un Abrabanel palestinese, per restare nel quadro del romanzo di Oz. 

Alberto Cavaglion

Periscopio - Il pugno del papa
Può qualcuno, nel dire qualcosa, avere contemporaneamente ragione e torto? Per esempio, avere ragione perché dice la verità, e avere torto perché dire quella verità, in quel dato momento, di fronte a determinate persone, è decisamente inopportuno? Certo che è possibile, l’arte della diplomazia è una delle prime cose che i genitori devono insegnare ai figli, solo un bambino molto piccolo può permettersi il lusso di essere sempre sincero. È quello che ho pensato a proposito delle famose parola di papa Bergoglio: “Se qualcuno offende mia madre, gli spetta un pugno”. Come dargli torto? Ognuno di noi ha delle cose, dei valori, delle persone la cui immagine custodisce con particolare gelosia, e ognuno capisce che determinate offese vanno bel al di là di ogni forma di umano confronto dialettico, in quanto hanno l’unico scopo di ‘colpire nelle parti basse’, di sputare sul piccolo altare privato che ciascuno porta dentro, in segno di puro e assoluto disprezzo. Un pugno, in quei casi, ci sta bene, è una risposta doverosa. Che altro si potrebbe fare? Quali sono questi valori intoccabili, gli unici che giustificano questa risposta violenta? Solo due, probabilmente: la mamma, appunto, e poi, per chi ci crede, i simboli religiosi, che per molte persone hanno, a quanto pare, un valore molto superiore a quello della mamma. Ed è proprio questo il caso a cui faceva riferimento il papa, che ha affermato, a spiegazione della frase sul pugno, che nessuno deve offendere le religioni degli altri, con chiaro collegamento al caso Charlie Hebdo.

Francesco Lucrezi, storico
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