
Jonathan Sacks,
rabbino
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Il
pane condiviso non è più il pane dell'afflizione. Ogni volta che
raggiungiamo e tocchiamo le vite degli altri, dando aiuto a chi ha
bisogno e speranza a chi ne ha persa, portiamo la libertà nel mondo. E
con la libertà, Dio.
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Sergio
Della Pergola,
Università
Ebraica
Di Gerusalemme
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La
ventesima Knesset è stata inaugurata festosamente ieri. Il primo giorno
è tradizionalmente quello dei sorrisi e degli abbracci. Per due ore il
laburista Amir Perez ha svolto la funzione rituale di presidente del
Parlamento in quanto deputato con maggiore anzianità, sostituito poi
dal rieletto speaker permanente Yuli Edelstein del Likud. Israele si è
dato una Knesset molto divisa e combattiva. Una ventina i deputati
della zona di Gerusalemme e altrettanti quelli di Tel Aviv, circa 25
quelli delle città della pianura centrale, una decina quelli di Giudea
e Samaria, una decina anche quelli del sud, una dozzina quelli del
nord, più i rappresentanti dei kibbuzim e dei moshavim sparsi un po’
dappertutto, e quelli delle città e cittadine arabe. Questa Knesset non
proprio rappresentativa della geografia dei suoi abitanti nelle
prossime settimane dovrà dara vita a un governo di coalizione. Sarà un
governo complicato fin dalla nascita per via del grande frazionamento
dei partiti e delle richieste per lo più di politica economica
incompatibili le une con le altre. Il Likud sembra meno impegnato a
fare proposte programmatiche di quanto non sia nel dirimere la
competizione fra i partiti e all’interno dello stesso Likud per i posti
di ministro. Molti i pretendenti e alte le ambizioni di ciascuno. Se
prevalesse l’idea di confermare la legge attuale che limita a 18 i
posti ministeriali, la soluzione sarà difficilissima, e molti saranno i
delusi. Sarà questa la prima prova di Benjamin Nethanyahu. Rigore
amministrativo e molti malcontenti in casa, o posti per tutti a spese
del bilancio pubblico?
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L'Isis vede Damasco
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Prosegue
l’avanzata dell’Isis, che conquista il campo profughi di Yarmuk, ad
appena otto chilometri dal centro di Damasco (i cui palazzi del potere
sono adesso sotto tiro). Yarmuk è anche un luogo simbolo della
sofferenza della popolazione siriana: controllato da forze ribelli, dal
2012 è assediato dalle forze governative. “Ci sono vittime che pare
assorbano in sé tutto il dolore e il peso del cosmo. Come a Yarmuk,
assediato da anni dall’esercito di Bashar, bastione ribelle e
palestinese, doppia colpa per il regime, che ha cercato di annientarlo
con le bombe e ucciderlo con la fame” scrive sulla Stampa Domenico
Quirico.
Ed è terrore anche ad Istanbul, dove proseguono gli attacchi a partiti
e istituzioni: ieri un uomo armato è entrato nella sede dell’Akp (il
partito di Erdogan), mentre una coppia di terroristi ha cercato di fare
irruzione nella questura centrale. La donna è stata uccisa, l’uomo
arrestato. Due gli allarmi bomba, inoltre, su altrettanti voli Turkish
Airlines. In entrambi i casi non è stato rinvenuto alcun ordigno, ma la
tensione resta altissima. “Gli eventi hanno contribuito ad alimentare
l’isteria collettiva. In questo momento, la Turchia, più che non essere
sicura, appare come una nazione molto fragile”, si legge su Avvenire.
“Teheran non ha offerto impegni tangibili” e in caso di mancato accordo
il regime “potrebbe subire un aggravamento di sanzioni”. Così il
portavoce della Casa Bianca mentre sono in corso a Losanna i negoziati
sul nucleare iraniano. L’ultima sospensione dei lavori questa notte, in
prossimità dell’alba. “Sul fondo – scrive il Corriere – emerge
soprattutto il profondo divario culturale, scavato da quasi quattro
decenni di ostilità e reciproca demonizzazione tra i due principali
protagonisti, Stati Uniti e Iran, che nessuna chimica personale, come
quella creatasi tra i due ministri degli Esteri, John Kerry e Mohammad
Javad Zarif, può colmare in così breve tempo”. Il ministro degli Esteri
italiano Paolo Gentiloni intanto dichiara: “Siamo a favore di un buon
accordo a Losanna ma ciò non significa sostenere le posizioni iraniane.
Non accetteremo un’intesa a qualunque costo” (La Stampa)”.
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Leggere per crescere
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Si
intitola “Leggere per crescere” il dossier di aprile - scaricabile
cliccando qui - , che ogni anno Pagine Ebraiche dedica alla letteratura
per bambini e ragazzi in occasione della Bologna Childen’s Book Fair,
la più importante fiera sulla letteratura per l’infanzia, dove il
giornale, insieme a DafDaf, sarà distribuito in tutti i padiglioni. E
nel programma della BCBF compaiono diversi incontri organizzati e
promossi dalla redazione giornalistica dell’Unione delle Comunità
Ebraiche Italiane: martedì 31, al Caffè degli Autori, Anna Castagnoli,
Nadia Terranova, Paolo Cesari e Luisa Valenti si confronteranno sulla
difficoltà di raccontare ai bambini “ciò che non si deve dire”, in una
tavola rotonda promossa e coordinata dalla redazione di DafDaf. Nel
programma “fuori salone” sono invece inseriti il laboratorio dedicato
alla versione per bambini di “Portico d’Ottavia”, la suggestiva storia
di un palazzo nel cuore del ghetto di Roma condotto dall’autrice, la
storica Anna Foa, e con l’illustratore Matteo Berton, al Museo Ebraico
della città, e la mostra su Rutu Modan, che aprirà negli stessi giorni
sempre al MEB. Tra le pagine del dossier spunti per tante letture, fra
grandi classici e alcune novità: dall’autobiografia di Leo Lionni “Tra
i miei mondi” all’intramontabile “I ragazzi della via Pal”, raccontato
da Franco Palmieri. Esistono libri per bambini anche piccoli che siano
senza immagini? Ebbene sì, e la provocazione è firmata dall’americano
B.J. Novak, autore di “The Book with No Pictures”, a riprova del valore
della parola, fonte prima di intelligenza e di incanto. Si parla poi di
Patrick Modiano, recente premio Nobel per la letteratura autore di
“Caterina Certezza” illustrato da Sempé, e non mancano storie dedicate
a identità e libertà, per leggere, per crescere.
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PESACH 5775
Appuntamento con la libertà
Cari amici,
forse più di qualsiasi altra festa Pesach costituisce un formidabile
richiamo al valore della libertà, alla forza dirompente che questa ha
nelle nostre vite, ma anche ai sacrifici che la sua conquista può
comportare.
La libertà non è infatti un bene stabile e scontato, ma una conquista
quotidiana. Un bene da coltivare, tutelare, difendere dalle minacce di
chi, ancora oggi, vorrebbe imporre modelli non compatibili con i valori
su cui si fondano le società democratiche. Un bene di cui è parte
integrante la libertà di manifestazione del pensiero e di cui non
dobbiamo comprendere il valore solo quando, per disgrazia, venisse a
mancare.
Le cronache di questi mesi, segnate da molti lutti e sofferenze, hanno
portato all'attenzione della pubblica opinione il fatto che è in corso
un attacco ai diritti fondamentali che colpisce o può colpire in modo
indiscriminato chiunque.
Parlare e agire con chiarezza. Essere ambasciatori di luce, vitalità e
progresso e coinvolgere l'intera società in modo che nessun gruppo
possa trovarsi o possa percepire alcuna forma di isolamento fisico,
culturale o sociale. Una sfida che diventa ancora più forte e simbolica
in questi giorni di festa.
Pesach Kasher Ve Sameach
Renzo Gattegna,
presidente Unione delle Comunità Ebraiche Italiane
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qui roma 25 aprile, monito dell'Aned
"Noi
che rappresentiamo gli ex deportati, sommersi e salvati, nei campi
nazisti, sia politici che razziali, non possiamo accettare che lo
spirito e i significati del 25 aprile, della Resistenza e della
Liberazione vengano totalmente snaturati e addirittura fatti divenire
atto di accusa contro le vittime stesse del nazifascismo. Non possiamo
accettare che rappresentati della lotta partigiana, della Liberazione,
siano messi al bando solo ed esclusivamente per intolleranza".
È quanto si legge in una nota diffusa dall'Aned-Associazione Nazionale Ex Deportati nei Campi Nazisti per annunciare
il proprio rifiuto a sfilare in occasione del corteo romano del 25
aprile, dove da anni ormai si registrano episodi discriminatori nei
confronti dei sostenitori della Brigata Ebraica, il corpo di volontari
giunti dall'allora Palestina mandataria che diede un contributo
fondamentale alla Liberazione d'Italia. La decisione, si legge, è
scaturita a seguito di una riunione svoltasi negli scorsi giorni presso
la Casa della Memoria e della Storia della Capitale caratterizzata da
"lunghe ore di discussione conflittuale con le organizzazioni
presenti, molte delle quali non si capisce a che titolo" in cui le
minacce e gli insulti hanno prevalso ed evidenziato "gli stessi
inaccettabili presupposti che, nelle passate edizioni, hanno dato luogo
a veri e propri episodi di intolleranza".
Tra le associazioni di cui si segnala la presenza alla riunione romana
Fronte Palestina, Rete Romana Palestina e Rappresentanza Palestina in
Italia.
a.s twitter @asmulevichmoked
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LA FAMIGLIA ricevuta AL QUIRINALE
Nel nome di Stefano Gaj Taché
Cordiale
incontro in Quirinale tra il presidente della Repubblica Sergio
Mattarella e i familiari di Stefano Gaj Taché, il bambino di due anni
ucciso in occasione dell’attentato palestinese alla sinagoga di Roma
del 9 ottobre 1982.
Il capo dello Stato ha accolto nella sua residenza i genitori Joseph e
Daniela, la nonna Tina, il fratello Gadiel (sopravvissuto allo stesso
attacco). Presenti, tra gli altri, anche il rabbino capo Riccardo Di
Segni e il presidente della Comunità ebraica Riccardo Pacifici.
“Il nostro Paese ha pagato, più volte, in un passato non troppo
lontano, il prezzo dell’odio e dell’intolleranza. Voglio ricordare un
solo nome: Stefano Taché, rimasto ucciso nel vile attacco terroristico
alla Sinagoga di Roma nell’ottobre del 1982. Aveva solo due anni. Era
un nostro bambino, un bambino italiano”, le parole pronunciate dal
presidente Mattarella durante il suo discorso di insediamento in
febbraio.
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Setirot
- Un po' di Mosè |
Una
volta ho letto, purtroppo non ricordo dove, che c'è un po' di Mosè in
ogni individuo che cerca di fuggire per vivere meglio altrove
nell'interesse delle generazioni future. Già, cerchiamo di non
dimenticarlo. Hag Pesach sameach a tutti.
Stefano Jesurum, giornalista
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Time
out - Aliyah |
Che
sia sui social network o sui giornali non c’è occasione in cui non si
ascolti qualcuno criticare la scelta di molti ebrei di emigrare in
Israele per ragioni economiche e politiche. Urlano i defensor fidei del
sionismo duro e puro (che neanche conoscono) che l’aliyah si fa
esclusivamente per ragioni ideologiche. Si indignano se il premier
israeliano invita gli ebrei europei a tornare a casa dopo gli
attentanti perché neanche l’antisemitismo è una ragione valida
ritornare in Israele. Insomma, in Israele si sale solo per valori, come
se uno in difficoltà economiche o stremato dall’antisemitismo che
cresce scegliesse Israele con la stessa logica con cui sceglierebbe di
andare a vivere in Germania o in Nicaragua.
Daniel Funaro
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