L’Isis a Damasco

rassegnaProsegue l’avanzata dell’Isis, che conquista il campo profughi di Yarmuk, ad appena otto chilometri dal centro di Damasco (i cui palazzi del potere sono adesso sotto tiro). Yarmuk è anche un luogo simbolo della sofferenza della popolazione siriana: controllato da forze ribelli, dal 2012 è assediato dalle forze governative. “Ci sono vittime che pare assorbano in sé tutto il dolore e il peso del cosmo. Come a Yarmuk, assediato da anni dall’esercito di Bashar, bastione ribelle e palestinese, doppia colpa per il regime, che ha cercato di annientarlo con le bombe e ucciderlo con la fame” scrive sulla Stampa Domenico Quirico.
Ed è terrore anche ad Istanbul, dove proseguono gli attacchi a partiti e istituzioni: ieri un uomo armato è entrato nella sede dell’Akp (il partito di Erdogan), mentre una coppia di terroristi ha cercato di fare irruzione nella questura centrale. La donna è stata uccisa, l’uomo arrestato. Due gli allarmi bomba, inoltre, su altrettanti voli Turkish Airlines. In entrambi i casi non è stato rinvenuto alcun ordigno, ma la tensione resta altissima. “Gli eventi hanno contribuito ad alimentare l’isteria collettiva. In questo momento, la Turchia, più che non essere sicura, appare come una nazione molto fragile”, si legge su Avvenire.
“Teheran non ha offerto impegni tangibili” e in caso di mancato accordo il regime “potrebbe subire un aggravamento di sanzioni”. Così il portavoce della Casa Bianca mentre sono in corso a Losanna i negoziati sul nucleare iraniano. L’ultima sospensione dei lavori questa notte, in prossimità dell’alba. “Sul fondo – scrive il Corriere – emerge soprattutto il profondo divario culturale, scavato da quasi quattro decenni di ostilità e reciproca demonizzazione tra i due principali protagonisti, Stati Uniti e Iran, che nessuna chimica personale, come quella creatasi tra i due ministri degli Esteri, John Kerry e Mohammad Javad Zarif, può colmare in così breve tempo”. Il ministro degli Esteri italiano Paolo Gentiloni intanto dichiara: “Siamo a favore di un buon accordo a Losanna ma ciò non significa sostenere le posizioni iraniane. Non accetteremo un’intesa a qualunque costo” (La Stampa)”.
“Il nostro Paese ha pagato, più volte, in un passato non troppo lontano, il prezzo dell’odio e dell’intolleranza. Voglio ricordare un solo nome: Stefano Taché, rimasto ucciso nel vile attacco terroristico alla sinagoga di Roma nell’ottobre del 1982. Aveva solo due anni. Era un nostro bambino, un bambino italiano”. Queste le parole con cui il presidente della Repubblica Sergio Mattarella aveva voluto ricordare il piccolo Stefano nel corso della solenne cerimonia di insediamento in febbraio. Ieri pomeriggio l’incontro in Quirinale con i familiari e una delegazione della Comunità ebraica romana. Il fratello di Stefano, Gadiel Gaj Taché, “si è commosso leggendo una lettera di ringraziamento a Mattarella per l’ospitalità e per aver ricordato Stefano” (Corriere).
Alla vigilia del Venerdì Santo della Pasqua cristiana il Corriere anticipa un testo del papa emerito Joseph Ratzinger che sarà pubblicato in novembre nel secondo volume della sua opera omnia. Ratzinger riflette sul “Venerdì Santo del 20esimo secolo”, con il volto dell’uomo che – schernito, ricoperto di sputi, percosso dall’uomo stesso – “ci guarda dalle camere a gas di Auschwitz, dai villaggi devastati dalla guerra, dai volti dei bambini stremati nel Vietnam, dalle baraccopoli in India, in Africa e in America Latina, dai campi di concentramento del mondo comunista che Alexandr Solzhenitsyn ci ha messo davanti agli occhi con impressionante vivezza”.

Adam Smulevich twitter @asmulevichmoked

(2 aprile 2015)