Elia Richetti,
rabbino
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A
proposito delle tre prime parole della Torah, “Be-re’shìth Barà’
E-lokìm”, il Bà‘al Ha-Turìm rileva che le lettere finali formano la
parola ’emèth’, verità, ed attraverso ciò spiega il versetto 160 del
salmo 119: “In capo alla Tua parola è verità”. In realtà da questo si
possono ricavare almeno altri due insegnamenti. Il primo, che è un
obbligativo primario per l’uomo ricercare la verità; ma essa non si
trova se non dopo un lungo percorso, ‘alla fine’ della propria ricerca
(fine che non arriva mai, o che può essere identificata con la scoperta
che si deve continuare a ricercare anche dopo aver trovato la risposta
giusta ai nostri interrogativi). Il secondo, che alla fine della
ricerca si scoprirà che la verità ‘vera’ è che solo Ha-Qadòsh Barùkh
Hu’ può aver creato ciò che esiste, che non è possibile che un incontro
casuale di elementi impazziti dia origine a questo universo.
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Sergio
Della Pergola,
Università
Ebraica
Di Gerusalemme
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La
strategia islamica nei confronti di Israele è stata definita molto
lucidamente dall’ayatollah Khamenei, il capo supremo del regime
iraniano, più o meno in questi termini: “Distruggere Israele, e
comunque, con l’aiuto di Allah, non concedere un solo giorno di pace al
regime sionista”. Da parte sua, lo scrittore e analista politico
palestinese Ahmad Rafiq Awad dice: “I mezzi utilizzati nella seconda
intifada non possono essere utilizzati in qualsiasi sollevazione
futura, ma le persone sono innovative nella creazione di nuovi mezzi.
Abbiamo bisogno di una intifada di bassa scala che non paralizzi la
vita sociale, ma mantenga l’occupazione e i coloni in uno stato di
tensione e di insicurezza, mentre gli scontri dovrebbero essere
distribuiti in tutte le regioni”. In altre parole, è la strategia della
tensione permanente tanto ben nota in Italia dai giorni di Lotta
Continua e delle Brigate Rosse. La questione è se il governo israeliano
possieda abbastanza cultura e perizia politica per capire come
misurarsi con questo tipo di sfida, e soprattutto come concludere la
tenzone con il minimo di danni subiti e con il massimo di esiti
positivi per la società civile. Forse bisognerebbe invitare un
consulente dall’Italia.
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L'Intifada dei coltelli |
Israele
sta subendo “un’ondata di terrorismo” in risposta alla quale servono
“calma” e “determinazione”. Così il primo ministro Benjamin Netanyahu
sulle tensioni delle ultime ore (il Corriere della sera, tra gli altri,
parla di “Intifada dei coltelli”). Ripetuti gli attacchi palestinesi,
fortunatamente senza vittime: da Gerusalemme a Kiryat Gan, da Malee
Adumim a Petach Tikva. Scontri sono stati registrati anche a Giaffa,
dove una folla di dimostranti ha cercato di lanciare sassi e molotov
contro una scuola religiosa ebraica. In ragione della situazione
d’emergenza, Netanyahu ha deciso di annullare il previsto vertice in
Germania con la cancelliera Angela Merkel. Significativa intervista del
Foglio a Yehuda Glick, attivista ebreo ferito gravemente lo scorso anno
da un terrorista palestinese. “Il mondo islamico – dice Glick – usa la
Spianata delle Moschee come scusa per eccitare le masse e distruggere
il popolo ebraico”. E poi aggiunge: “Musulmani, ebrei e cristiani,
chiunque voglia pregare Dio, senza discriminazioni di sorta, deve poter
accedere al luogo sacro. Soltanto sotto la sovranità israeliana, a
partire dal 1967, Gerusalemme si è aperta a tutte le fedi”.
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l'intervento del presidente ucei
"Torna il terrorismo palestinese. Ogni silenzio è una grave colpa"
“Le
drammatiche notizie di queste ore, i ripetuti attacchi terroristici
subiti dalla popolazione israeliana in molte città, impongono una ferma
presa di posizione da parte della comunità internazionale. Servono
parole chiare e nette di condanna contro azioni improntate all'odio e
al disprezzo della vita umana. Il silenzio e l'indifferenza, oggi come
sempre, costituirebbero una grave colpa". È quanto denuncia il
presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Renzo Gattegna (nell'immagine)
in un intervento rivolto all'opinione pubblica.
"Assistiamo a una deriva preoccupante - sottolinea il presidente UCEI -
una deriva cavalcata dai criminali di Hamas e dai loro adepti e da una
leadership, quella di Abu Mazen, che appare ugualmente colpevole e
incapace di contrastare la crescente barbarie. Per questo è importante
parlare, denunciare, informare correttamente su quello che sta
accadendo. E allo stesso tempo intervenire con i mezzi e gli strumenti
più adeguati”.
Un segnale importante arriva in queste ore dal Parlamento Europeo, dove
la delegazione incaricata dei rapporti con lo Stato di Israele ha
organizzato per la giornata una cerimonia di sensibilizzazione in
ricordo delle vittime di questa nuova ondata di terrore. L'iniziativa è
del capo delegazione, l'eurodeputato italiano Fulvio Martusciello, che
leggerà personalmente i nomi dei civili israeliani che hanno perso la
vita negli ultimi giorni.
Molte le voci a levarsi nel mondo ebraico europeo. "Dispiace che la
situazione d'emergenza abbia portato all'annullamento del vertice
bilaterale tra Israele e Germania. Ma è un gesto che trova la nostra
piena comprensione" afferma il presidente del consiglio centrale degli
ebrei tedeschi Josef Schuster. "I governanti israeliani hanno adesso il
compito di proteggere la popolazione e di lavorare per la sicurezza di
tutti. Al tempo stesso - spiega Schuster - è bene che la comunità
internazionale denunci senza giri di parole quanto sta accadendo".
Dal Gran Rabbino di Francia Haim Korsia arriva tra gli altri l'invito a
rivolgere un pensiero “alle vittime, ai loro cari, ai figli rimasti
orfani” in questi giorni segnati da molti lutti e molte tensioni.
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israele
Ancora un giorno di terrore
Continua
a salire il bilancio degli attentati palestinesi contro civili
israeliani. Sono soprattutto i cosiddetti “lupi solitari” a colpire:
attentatori armati di coltello che aggrediscono passanti o soldati
senza pianificare l'attacco né essere strettamente connessi ai
movimenti terroristici. Una violenza difficile da prevedere per le
forze di sicurezza israeliane, impegnate nel garantire la sicurezza dei
propri cittadini, preoccupati di fronte a quanto sta accadendo come
efficacemente rappresentato nella vignetta (nell'immagine) di Guy
Morad: una madre che corre accanto al figlio proteggendosi con un
ombrello da una pioggia di coltelli e sassi. Una denuncia potente per
testimoniare il dramma che i civili israeliani si trovano a
fronteggiare ogni giorno.
Solamente nelle ultime ventiquattro ore vi sono stati quattro i casi di
aggressioni con coltello da parte di attentatori palestinesi: poche ore
fa a Gerusalemme uno studente di yeshiva di 25 anni è stato
accoltellato da un diciannovenne palestinese proveniente dalla zona Est
della città. La vittima è stata ricoverata d'urgenza all'ospedale
Shaare Zedek e versa in gravi condizioni ma è stabile. Secondo le
ricostruzioni, un'altra persona è rimasta lievemente ferita nel
tentativo di fermare l'aggressore, poi bloccato dalla polizia e
attualmente sotto custodia delle autorità. Proprio la prontezza
dell'intervento di agenti e soldati così come l'azione dei civili,
hanno spiegato ufficiali dell'esercito israeliano, ha permesso di
evitare che questi attentati si trasformassero in vere e proprie
stragi. In diversi casi infatti i terroristi hanno cercato di
impossessarsi delle armi delle forze di sicurezza, venendo fino ad ora
bloccati in tempo. A Tel Aviv, sempre oggi, cinque persone sono state
accoltellate, riportando ferite superficiali. L'aggressore è stato
ucciso da un soldato mentre stava fuggendo verso il centro commerciale
Azrieli su via Moses.
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expo milano - il convegno di archeologia
Tutela del passato, sfida comune
L’incontro
fra due culture, i punti di contatto tra due realtà che hanno in comune
una storia e i segni che essa ha lasciato sul territorio ma anche un
domani ricco di sfide. Questo lo spunto di riflessione offerto dal
Simposio bilaterale di archeologia Italia Israele, al via ieri al
padiglione Israele di Expo Milano, realizzato dall’ambasciata d’Israele
in Italia e dal ministero italiano dei Beni e delle Attività culturali
e del Turismo. “Parlare di archeologia significa occuparsi della storia
della civiltà, ma anche di come essa possa essere messa in circolo nel
futuro”, ha osservato l’architetto Federico Bucci, che ha moderato la
prima sessione del convegno, nel corso della quale sono intervenuti
Raffaella Poggiani Keller, dirigente della Soprintendenza per i Beni
Archeologici della Lombardia, l’architetto israeliano naturalizzato
italiano David Palterer, Monica Abbiati, responsabile dell’Unità
operativa di valorizzazione dei siti UNESCO, del patrimonio
archeologico e degli itinerari turistico-culturali della Regione
Lombardia, e l’architetto Raanan Kislev, direttore del dipartimento di
conservazione della Israel Antiquities Authority (IAA). Protagonisti
della seconda sessione dedicata alla gestione dell’acqua nel corso dei
millenni, gli studiosi israeliani Uzi Dahari, vicedirettore dell’IAA,
Omry Barzilai, direttore del dipartimento di Preistoria dell’ente e
Joseph Uziel, direttore degli scavi archeologici per la Israel
Antiquities Authority, che si sono concentrati sull’evoluzione dei
sistemi di raccolta della risorsa e dei modelli di irrigazione
nell’area mediorientale dal neolitico fino all’epoca bizantina. A
chiudere la due giorni di convegno, gli interventi di Marco Minoja,
soprintendente archeologico della Sardegna, e Gianfranca Salis,
archeologo del Mibact, sul sistema di raccolta dell’acqua nell’isola
italiana; la struttura della Valle dei Templi di Agrigento il tema
trattato da Maria Concetta Parrello, archeologa della Regione Sicilia;
“Roma caput mundi dell’acqua”, il titolo dell’intervento di Marina
Piranomonte, della Soprintendenza speciale per l’area archeologica
della Capitale.
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l'intervista al grande artista
Garfunkel e il senso della vita
"La schiavitù digitale uccide"
Si
fa le domande da solo e poi risponde, a volte parla di sé in terza
persona come Giulio Cesare, si lancia in lunghe digressioni attraverso
le quali ragiona sul fascino delle città universitarie americane e sui
ragazzi ipnotizzati da smartphone e tablet. Nell’ampia intervista
pubblicata da Salon, Art Garfunkel, celebre metà dello storico duo
Simon & Garfunkel, si mette a nudo ma non troppo, racconta i nuovi
progetti in cantiere e dimostra una vis tutt’altro che affievolita
nonostante ammetta di “essere un uomo di un’altra epoca”. Nato nel
Queens 73 anni fa da una famiglia ebraica originaria della Romania (il
padre Jacob faceva il commesso viaggiatore), Garfunkel è reduce da un
concerto al Carnegie Hall di New York oltre che uno a Tel Aviv dove lo
scorso giugno non ha mancato di sfoggiare la kippah in testa. Artista
eclettico, con il suo ex partner artistico Paul Simon (originario di
una famiglia ebraica ungherese) ha cantato brani immortali come “The
Sound of Silence”, colonna sonora de Il Laureato, oltre che “Bridge
over troubled water” che nel 1970 rimase prima in classifica per ben
sei settimane ed è considerata una delle canzoni più significative del
panorama musicale americano.
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J-ciak
"Guarda chi è tornato, Hitler"
Una
risata seppellirà il Führer. O almeno così la pensa David Wnendt,
regista di “Look Who’s Back” (“Guarda chi è tornato”), in uscita oggi
nelle sale tedesche. Basato su “Lui è tornato”, romanzo satirico di
Timur Vermes pubblicato nel 2012, che ha venduto quasi due milioni e
mezzo di copie ed è stato tradotto in 41 lingue, il film racconta
l’improbabile ritorno di Hitler nei panni di attore televisivo. E, a
differenza del libro, intreccia satira e realtà. Obiettivo, sondare il
polso dei tedeschi sull’argomento. Per costruire il film il regista ha
attraversato la Germania dal nord al sud con Oliver Masucci, che
interpreta il dittatore, per raccogliere reazioni e opinioni. L’attore,
truccato da Hitler, posava dipingendo cartoline in una trasparente
allusione alle aspirazioni artistiche del Führer. La gente faceva
capannello e dopo un po’ iniziava a discorrere con lui, come fosse un
vecchio amico, dimenticando le due telecamere che intanto riprendevano.
“Mi sono sentito una specie di pop star”, ha confessato sbalordito
Masucci.
Daniela Gross
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Setirot
- Il posto migliore |
Un
po’ di serenità, non credo sia pretendere troppo. Quando parlo e sento
parlare di Israele non riesco ormai a ‘godermi’ l’amore immenso che
provo per quel paese e per i suoi cittadini. Per molti, per troppi, la
questione palestinese non rientra più nella categoria del dibattito
politico o ideologico, ma in quella della patologia clinica. Male e
Bene assoluto si scontrano, nelle teste di costoro, in una lotta che
azzera ogni senso critico, forse ogni senso tout court.
Stefano Jesurum, giornalista
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Time
out - A carte scoperte |
Abu
Mazen come Arafat. Non mi sembra che ci possano essere più dubbi e la
scelta del leader dell’Anp di disimpegnarsi pubblicamente dagli accordi
di Oslo lo dimostra. Gli attentati che sono seguiti ne sono poi la
prova che non lascia dubbi: non esiste un interlocutore con cui
costruire un percorso di pace. Israele ne dovrebbe prendere coscienza e
anche le comunità ebraiche italiane e i suoi rappresentanti dovrebbero
dirlo a chiara voce. Purtroppo i dirigenti palestinesi hanno scelto
come unica strada quella del terrorismo e, fintanto che non nascerà una
classe politica che abbia come scopo la pace con Israele, nessun
accordo sarà mai possibile.
Daniel Funaro
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Livorno, la storia del tempio |
La
sintesi giornalistica pubblicata ieri dei danni occorsi al Tempio
livornese, progettato da Angelo Di Castro (zl) e inaugurato nel 1962,
nell’accennare al riparo trovato nel sotterraneo luogo di culto
(generalmente usato d’inverno) che ha ospitato il finale di Sukkot e il
tradizionale “Giro dei Sefarim” di Simchat Torah, fornisce l’occasione
per gettare un sintetico sguardo su quello che è chiamato “il
Lampronti”. Il locale che lo ospita doveva essere la sala di riunione
della Comunità. Ben presto ci si rese però conto delle problematiche
invernali del nuovo Tempio Maggiore e rav Bruno Polacco (zl), mi sia
permessa la citazione, giunto da Ferrara nel 1960, si adoperò con la
Comunità estense affinché una delle sinagoghe della città, devastata
dai fascisti, ritrovasse vitalità risolvendo contestualmente il
problema labronico. Si trattava appunto di quello che, da decenni, è il
Tempio dedicato al grande Maestro ferrarese Itzhack Lampronti.
Gadi Polacco
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Madri d'Israele - Gheula |
“Che
dire? Sono una guerriera io!” Così esordisce Gheula Siri, in un
incontro che mi lascia più toccato del solito. La mia interlocutrice,
infatti, è una vera e propria celebrità da queste parti. Acclamata
dalle folle, ormai abituata a sentir pronunciare il suo nome con
entusiasmo, seguito sempre, ovviamente, da uno scroscio di applausi
impetuosi. Classe 1949, è nata in Yemen e si è trasferita in Israele un
anno dopo con la sua famiglia. Un tragico evento stravolge per sempre
la sua vita. “Mi ammalai di poliomielite poco dopo il nostro arrivo,
malattia che mi portò a subire una serie infinita di interventi che,
tuttavia, non servirono assolutamente a nulla: la mia disabilità era
ormai irreversibile.” Quasi come fosse l’eroina di un cartone animato,
Gheula decide di non arrendersi, di non concedersi alla malattia e nel
1963 comincia a cimentarsi nello sport, praticandone svariati generi.
Solo cinque anni dopo gareggia alle Paralimpiadi, che quell’anno ebbero
luogo proprio in Israele, portando così a casa ben sette medaglie: una
d’oro, due argenti e quattro bronzi. L’anno successivo, invece, la
nostra campionessa ritenta la fortuna, partecipando agli Iwas World
Games e conquistando nove medaglie, delle quali quattro d’oro. Da
quella prestigiosa competizione in poi, la carriera di Gheula è in
continua ascesa. “Dopo gli anni duemila ho scoperto la mia passione per
il ping pong, diventato il mio principale passatempo e fonte di grandi
gioie e traguardi raggiunti.”
David Zebuloni
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In silenzio |
Lasciamo
perdere il gran parlare della cena di Bibi all’Enoteca Pinchiorri,
anche se probabilmente, fatte le debite proporzioni, qualcuno anche qui
ne riferirebbe con analoghi toni sprezzanti e di finto stupore, se
riguardasse qualche correligionario locale. Fatto sta, e non c’è nulla
da fare, che Bibi ed io siamo poco coordinati: quando è venuto a
Firenze, me ne stavo ad abbrustolire al sole (quanto tempo senza una
vacanza che non fosse togliere la sabbia dai cracker, nuotare di corsa
a recuperare un bambino travolto dalle onde sul bagnasciuga, mettere
braccioli, togliere braccioli, mettere braccioli, togliere…). E quando
è andato a New York, ironia della sorte, ero di nuovo a Firenze. Dì là
del disappunto per l’appuntamento mancato, penso ora non tanto a quanto
Bibi ed io ci saremmo potuti dire, o a quanto ha detto alle Nazioni
Unite, ma a quello che non ha detto, dopo l’ossimorico ‘silenzio
assordante’ di denuncia della passiva acquiescenza internazionale di
fronte alla minaccia iraniana. Netanyahu infatti è rimasto in silenzio
per 45 secondi, che sembra un lasso di tempo brevissimo ma se vi siete
mai trovati in mezzo a Yom HaShoah in Israele quando alle 10 della
mattina tutto si ferma per due minuti al suono della sirena, saprete
che non è così.
Sara Valentina Di Palma, ricercatrice
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