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8 ottobre 2015 - 25 Tishri 5776
PAGINE EBRAICHE 24

ALEF / TAV DAVAR PILPUL

alef/tav


Elia Richetti,
rabbino
A proposito delle tre prime parole della Torah, “Be-re’shìth Barà’ E-lokìm”, il Bà‘al Ha-Turìm rileva che le lettere finali formano la parola ’emèth’, verità, ed attraverso ciò spiega il versetto 160 del salmo 119: “In capo alla Tua parola è verità”. In realtà da questo si possono ricavare almeno altri due insegnamenti. Il primo, che è un obbligativo primario per l’uomo ricercare la verità; ma essa non si trova se non dopo un lungo percorso, ‘alla fine’ della propria ricerca (fine che non arriva mai, o che può essere identificata con la scoperta che si deve continuare a ricercare anche dopo aver trovato la risposta giusta ai nostri interrogativi). Il secondo, che alla fine della ricerca si scoprirà che la verità ‘vera’ è che solo Ha-Qadòsh Barùkh Hu’ può aver creato ciò che esiste, che non è possibile che un incontro casuale di elementi impazziti dia origine a questo universo.
 
Sergio
Della Pergola,
Università
Ebraica
Di Gerusalemme
La strategia islamica nei confronti di Israele è stata definita molto lucidamente dall’ayatollah Khamenei, il capo supremo del regime iraniano, più o meno in questi termini: “Distruggere Israele, e comunque, con l’aiuto di Allah, non concedere un solo giorno di pace al regime sionista”. Da parte sua, lo scrittore e analista politico palestinese Ahmad Rafiq Awad dice: “I mezzi utilizzati nella seconda intifada non possono essere utilizzati in qualsiasi sollevazione futura, ma le persone sono innovative nella creazione di nuovi mezzi. Abbiamo bisogno di una intifada di bassa scala che non paralizzi la vita sociale, ma mantenga l’occupazione e i coloni in uno stato di tensione e di insicurezza, mentre gli scontri dovrebbero essere distribuiti in tutte le regioni”. In altre parole, è la strategia della tensione permanente tanto ben nota in Italia dai giorni di Lotta Continua e delle Brigate Rosse. La questione è se il governo israeliano possieda abbastanza cultura e perizia politica per capire come misurarsi con questo tipo di sfida, e soprattutto come concludere la tenzone con il minimo di danni subiti e con il massimo di esiti positivi per la società civile. Forse bisognerebbe invitare un consulente dall’Italia.
 
 
 
L'Intifada dei coltelli
Israele sta subendo “un’ondata di terrorismo” in risposta alla quale servono “calma” e “determinazione”. Così il primo ministro Benjamin Netanyahu sulle tensioni delle ultime ore (il Corriere della sera, tra gli altri, parla di “Intifada dei coltelli”). Ripetuti gli attacchi palestinesi, fortunatamente senza vittime: da Gerusalemme a Kiryat Gan, da Malee Adumim a Petach Tikva. Scontri sono stati registrati anche a Giaffa, dove una folla di dimostranti ha cercato di lanciare sassi e molotov contro una scuola religiosa ebraica. In ragione della situazione d’emergenza, Netanyahu ha deciso di annullare il previsto vertice in Germania con la cancelliera Angela Merkel. Significativa intervista del Foglio a Yehuda Glick, attivista ebreo ferito gravemente lo scorso anno da un terrorista palestinese. “Il mondo islamico – dice Glick – usa la Spianata delle Moschee come scusa per eccitare le masse e distruggere il popolo ebraico”. E poi aggiunge: “Musulmani, ebrei e cristiani, chiunque voglia pregare Dio, senza discriminazioni di sorta, deve poter accedere al luogo sacro. Soltanto sotto la sovranità israeliana, a partire dal 1967, Gerusalemme si è aperta a tutte le fedi”.
 
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  davar
l'intervento del presidente ucei
"Torna il terrorismo palestinese. Ogni silenzio è una grave colpa"

“Le drammatiche notizie di queste ore, i ripetuti attacchi terroristici subiti dalla popolazione israeliana in molte città, impongono una ferma presa di posizione da parte della comunità internazionale. Servono parole chiare e nette di condanna contro azioni improntate all'odio e al disprezzo della vita umana. Il silenzio e l'indifferenza, oggi come sempre, costituirebbero una grave colpa". È quanto denuncia il presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Renzo Gattegna (nell'immagine) in un intervento rivolto all'opinione pubblica.
"Assistiamo a una deriva preoccupante - sottolinea il presidente UCEI - una deriva cavalcata dai criminali di Hamas e dai loro adepti e da una leadership, quella di Abu Mazen, che appare ugualmente colpevole e incapace di contrastare la crescente barbarie. Per questo è importante parlare, denunciare, informare correttamente su quello che sta accadendo. E allo stesso tempo intervenire con i mezzi e gli strumenti più adeguati”.
Un segnale importante arriva in queste ore dal Parlamento Europeo, dove la delegazione incaricata dei rapporti con lo Stato di Israele ha organizzato per la giornata una cerimonia di sensibilizzazione in ricordo delle vittime di questa nuova ondata di terrore. L'iniziativa è del capo delegazione, l'eurodeputato italiano Fulvio Martusciello, che leggerà personalmente i nomi dei civili israeliani che hanno perso la vita negli ultimi giorni.
Molte le voci a levarsi nel mondo ebraico europeo. "Dispiace che la situazione d'emergenza abbia portato all'annullamento del vertice bilaterale tra Israele e Germania. Ma è un gesto che trova la nostra piena comprensione" afferma il presidente del consiglio centrale degli ebrei tedeschi Josef Schuster. "I governanti israeliani hanno adesso il compito di proteggere la popolazione e di lavorare per la sicurezza di tutti. Al tempo stesso - spiega Schuster - è bene che la comunità internazionale denunci senza giri di parole quanto sta accadendo".
Dal Gran Rabbino di Francia Haim Korsia arriva tra gli altri l'invito a rivolgere un pensiero “alle vittime, ai loro cari, ai figli rimasti orfani” in questi giorni segnati da molti lutti e molte tensioni.

israele
Ancora un giorno di terrore
Continua a salire il bilancio degli attentati palestinesi contro civili israeliani. Sono soprattutto i cosiddetti “lupi solitari” a colpire: attentatori armati di coltello che aggrediscono passanti o soldati senza pianificare l'attacco né essere strettamente connessi ai movimenti terroristici. Una violenza difficile da prevedere per le forze di sicurezza israeliane, impegnate nel garantire la sicurezza dei propri cittadini, preoccupati di fronte a quanto sta accadendo come efficacemente rappresentato nella vignetta (nell'immagine) di Guy Morad: una madre che corre accanto al figlio proteggendosi con un ombrello da una pioggia di coltelli e sassi. Una denuncia potente per testimoniare il dramma che i civili israeliani si trovano a fronteggiare ogni giorno.
Solamente nelle ultime ventiquattro ore vi sono stati quattro i casi di aggressioni con coltello da parte di attentatori palestinesi: poche ore fa a Gerusalemme uno studente di yeshiva di 25 anni è stato accoltellato da un diciannovenne palestinese proveniente dalla zona Est della città. La vittima è stata ricoverata d'urgenza all'ospedale Shaare Zedek e versa in gravi condizioni ma è stabile. Secondo le ricostruzioni, un'altra persona è rimasta lievemente ferita nel tentativo di fermare l'aggressore, poi bloccato dalla polizia e attualmente sotto custodia delle autorità. Proprio la prontezza dell'intervento di agenti e soldati così come l'azione dei civili, hanno spiegato ufficiali dell'esercito israeliano, ha permesso di evitare che questi attentati si trasformassero in vere e proprie stragi. In diversi casi infatti i terroristi hanno cercato di impossessarsi delle armi delle forze di sicurezza, venendo fino ad ora bloccati in tempo. A Tel Aviv, sempre oggi, cinque persone sono state accoltellate, riportando ferite superficiali. L'aggressore è stato ucciso da un soldato mentre stava fuggendo verso il centro commerciale Azrieli su via Moses.


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expo milano - il convegno di archeologia
Tutela del passato, sfida comune
L’incontro fra due culture, i punti di contatto tra due realtà che hanno in comune una storia e i segni che essa ha lasciato sul territorio ma anche un domani ricco di sfide. Questo lo spunto di riflessione offerto dal Simposio bilaterale di archeologia Italia Israele, al via ieri al padiglione Israele di Expo Milano, realizzato dall’ambasciata d’Israele in Italia e dal ministero italiano dei Beni e delle Attività culturali e del Turismo. “Parlare di archeologia significa occuparsi della storia della civiltà, ma anche di come essa possa essere messa in circolo nel futuro”, ha osservato l’architetto Federico Bucci, che ha moderato la prima sessione del convegno, nel corso della quale sono intervenuti Raffaella Poggiani Keller, dirigente della Soprintendenza per i Beni Archeologici della Lombardia, l’architetto israeliano naturalizzato italiano David Palterer, Monica Abbiati, responsabile dell’Unità operativa di valorizzazione dei siti UNESCO, del patrimonio archeologico e degli itinerari turistico-culturali della Regione Lombardia, e l’architetto Raanan Kislev, direttore del dipartimento di conservazione della Israel Antiquities Authority (IAA). Protagonisti della seconda sessione dedicata alla gestione dell’acqua nel corso dei millenni, gli studiosi israeliani Uzi Dahari, vicedirettore dell’IAA, Omry Barzilai, direttore del dipartimento di Preistoria dell’ente e Joseph Uziel, direttore degli scavi archeologici per la Israel Antiquities Authority, che si sono concentrati sull’evoluzione dei sistemi di raccolta della risorsa e dei modelli di irrigazione nell’area mediorientale dal neolitico fino all’epoca bizantina. A chiudere la due giorni di convegno, gli interventi di Marco Minoja, soprintendente archeologico della Sardegna, e Gianfranca Salis, archeologo del Mibact, sul sistema di raccolta dell’acqua nell’isola italiana; la struttura della Valle dei Templi di Agrigento il tema trattato da Maria Concetta Parrello, archeologa della Regione Sicilia; “Roma caput mundi dell’acqua”, il titolo dell’intervento di Marina Piranomonte, della Soprintendenza speciale per l’area archeologica della Capitale.
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l'intervista al grande artista
Garfunkel e il senso della vita

"La schiavitù digitale uccide"
Si fa le domande da solo e poi risponde, a volte parla di sé in terza persona come Giulio Cesare, si lancia in lunghe digressioni attraverso le quali ragiona sul fascino delle città universitarie americane e sui ragazzi ipnotizzati da smartphone e tablet. Nell’ampia intervista pubblicata da Salon, Art Garfunkel, celebre metà dello storico duo Simon & Garfunkel, si mette a nudo ma non troppo, racconta i nuovi progetti in cantiere e dimostra una vis tutt’altro che affievolita nonostante ammetta di “essere un uomo di un’altra epoca”. Nato nel Queens 73 anni fa da una famiglia ebraica originaria della Romania (il padre Jacob faceva il commesso viaggiatore), Garfunkel è reduce da un concerto al Carnegie Hall di New York oltre che uno a Tel Aviv dove lo scorso giugno non ha mancato di sfoggiare la kippah in testa. Artista eclettico, con il suo ex partner artistico Paul Simon (originario di una famiglia ebraica ungherese) ha cantato brani immortali come “The Sound of Silence”, colonna sonora de Il Laureato, oltre che “Bridge over troubled water” che nel 1970 rimase prima in classifica per ben sei settimane ed è considerata una delle canzoni più significative del panorama musicale americano.
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J-ciak
"Guarda chi è tornato, Hitler"
Una risata seppellirà il Führer. O almeno così la pensa David Wnendt, regista di “Look Who’s Back” (“Guarda chi è tornato”), in uscita oggi nelle sale tedesche. Basato su “Lui è tornato”, romanzo satirico di Timur Vermes pubblicato nel 2012, che ha venduto quasi due milioni e mezzo di copie ed è stato tradotto in 41 lingue, il film racconta l’improbabile ritorno di Hitler nei panni di attore televisivo. E, a differenza del libro, intreccia satira e realtà. Obiettivo, sondare il polso dei tedeschi sull’argomento. Per costruire il film il regista ha attraversato la Germania dal nord al sud con Oliver Masucci, che interpreta il dittatore, per raccogliere reazioni e opinioni. L’attore, truccato da Hitler, posava dipingendo cartoline in una trasparente allusione alle aspirazioni artistiche del Führer. La gente faceva capannello e dopo un po’ iniziava a discorrere con lui, come fosse un vecchio amico, dimenticando le due telecamere che intanto riprendevano. “Mi sono sentito una specie di pop star”, ha confessato sbalordito Masucci.


Daniela Gross
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  pilpul
Setirot - Il posto migliore
Un po’ di serenità, non credo sia pretendere troppo. Quando parlo e sento parlare di Israele non riesco ormai a ‘godermi’ l’amore immenso che provo per quel paese e per i suoi cittadini. Per molti, per troppi, la questione palestinese non rientra più nella categoria del dibattito politico o ideologico, ma in quella della patologia clinica. Male e Bene assoluto si scontrano, nelle teste di costoro, in una lotta che azzera ogni senso critico, forse ogni senso tout court.

Stefano Jesurum, giornalista
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Time out - A carte scoperte
Abu Mazen come Arafat. Non mi sembra che ci possano essere più dubbi e la scelta del leader dell’Anp di disimpegnarsi pubblicamente dagli accordi di Oslo lo dimostra. Gli attentati che sono seguiti ne sono poi la prova che non lascia dubbi: non esiste un interlocutore con cui costruire un percorso di pace. Israele ne dovrebbe prendere coscienza e anche le comunità ebraiche italiane e i suoi rappresentanti dovrebbero dirlo a chiara voce. Purtroppo i dirigenti palestinesi hanno scelto come unica strada quella del terrorismo e, fintanto che non nascerà una classe politica che abbia come scopo la pace con Israele, nessun accordo sarà mai possibile.

Daniel Funaro

Livorno, la storia del tempio
La sintesi giornalistica pubblicata ieri dei danni occorsi al Tempio livornese, progettato da Angelo Di Castro (zl) e inaugurato nel 1962, nell’accennare al riparo trovato ‎nel sotterraneo luogo di culto (generalmente usato d’inverno) che ha ospitato il finale di Sukkot e il tradizionale “Giro dei Sefarim” di Simchat Torah, fornisce l’occasione per gettare un sintetico sguardo su quello che è chiamato “il Lampronti”. Il locale che lo ospita doveva essere la sala di riunione della Comunità. Ben presto ci si rese però conto delle problematiche invernali del nuovo Tempio Maggiore e rav Bruno Polacco (zl), mi sia permessa la citazione, giunto da Ferrara nel 1960, si adoperò con la Comunità estense affinché una delle sinagoghe della città, devastata dai fascisti, ritrovasse vitalità risolvendo contestualmente il problema labronico. Si trattava appunto di quello che, da decenni, è il Tempio dedicato al grande Maestro ferrarese Itzhack Lampronti.

Gadi Polacco
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Madri d'Israele - Gheula
“Che dire? Sono una guerriera io!” Così esordisce Gheula Siri, in un incontro che mi lascia più toccato del solito. La mia interlocutrice, infatti, è una vera e propria celebrità da queste parti. Acclamata dalle folle, ormai abituata a sentir pronunciare il suo nome con entusiasmo, seguito sempre, ovviamente, da uno scroscio di applausi impetuosi. Classe 1949, è nata in Yemen e si è trasferita in Israele un anno dopo con la sua famiglia. Un tragico evento stravolge per sempre la sua vita. “Mi ammalai di poliomielite poco dopo il nostro arrivo, malattia che mi portò a subire una serie infinita di interventi che, tuttavia, non servirono assolutamente a nulla: la mia disabilità era ormai irreversibile.” Quasi come fosse l’eroina di un cartone animato, Gheula decide di non arrendersi, di non concedersi alla malattia e nel 1963 comincia a cimentarsi nello sport, praticandone svariati generi. Solo cinque anni dopo gareggia alle Paralimpiadi, che quell’anno ebbero luogo proprio in Israele, portando così a casa ben sette medaglie: una d’oro, due argenti e quattro bronzi. L’anno successivo, invece, la nostra campionessa ritenta la fortuna, partecipando agli Iwas World Games e conquistando nove medaglie, delle quali quattro d’oro. Da quella prestigiosa competizione in poi, la carriera di Gheula è in continua ascesa. “Dopo gli anni duemila ho scoperto la mia passione per il ping pong, diventato il mio principale passatempo e fonte di grandi gioie e traguardi raggiunti.”

David Zebuloni
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In silenzio
Lasciamo perdere il gran parlare della cena di Bibi all’Enoteca Pinchiorri, anche se probabilmente, fatte le debite proporzioni, qualcuno anche qui ne riferirebbe con analoghi toni sprezzanti e di finto stupore, se riguardasse qualche correligionario locale. Fatto sta, e non c’è nulla da fare, che Bibi ed io siamo poco coordinati: quando è venuto a Firenze, me ne stavo ad abbrustolire al sole (quanto tempo senza una vacanza che non fosse togliere la sabbia dai cracker, nuotare di corsa a recuperare un bambino travolto dalle onde sul bagnasciuga, mettere braccioli, togliere braccioli, mettere braccioli, togliere…). E quando è andato a New York, ironia della sorte, ero di nuovo a Firenze. Dì là del disappunto per l’appuntamento mancato, penso ora non tanto a quanto Bibi ed io ci saremmo potuti dire, o a quanto ha detto alle Nazioni Unite, ma a quello che non ha detto, dopo l’ossimorico ‘silenzio assordante’ di denuncia della passiva acquiescenza internazionale di fronte alla minaccia iraniana. Netanyahu infatti è rimasto in silenzio per 45 secondi, che sembra un lasso di tempo brevissimo ma se vi siete mai trovati in mezzo a Yom HaShoah in Israele quando alle 10 della mattina tutto si ferma per due minuti al suono della sirena, saprete che non è così.

Sara Valentina Di Palma, ricercatrice
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