
Pierpaolo Pinhas Punturello, rabbino
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Chiedo
all’Unione Europea di etichettarmi, di bollarmi, di mettermi al bando
perché anche io sono un prodotto dei “territori occupati.” Ho studiato
per tre anni in una yeshivà, Yeshivat Hamivtar vicino Efrat, su di una
collina dalla quale respiravo la storia di una identità ebraica
millenaria, tra Hevron ed Erodion, tra le pietre che parlano di ebrei
da più di duemila anni. E su quella collina mi è stato insegnato il
senso del seguire “darchè shalom”, i percorsi di pace, tra arabi ed
ebrei, che vivono, in quei luoghi così vicini eppure così lontani. Che
mi etichetti l’Europa perché vado ad Alon Shvut quasi ogni mese per
lavorare con il Bet Din locale anche in pieno terrorismo assassino che
l’Europa non sembra vedere.
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Gadi
Luzzatto
Voghera,
storico
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Penso
che le istituzioni che funzionano vadano valorizzate. Una di queste è
senza dubbio la Fondazione Centro di Documentazione Ebraica
Contemporanea di Milano (CDEC) che ha appena realizzato in
collaborazione con il Museo Ebraico di Bologna una mostra fotografica
sulla Grande guerra e gli ebrei in Italia. A questo proposito vorrei
ragionare su due questioni, una relativa al lavoro della Fondazione e
una più legata all’opportunità storiografica di realizzare una mostra
simile.
La prima: il CDEC è nato (a Venezia, per poi trasferirsi a Milano) nel
secondo dopoguerra con l’intento di raccogliere documenti e
testimonianze sullo sterminio degli ebrei italiani. Ne ha fatto il suo
cavallo di battaglia per decenni, ma è maturato nel corso del tempo
diventando a tutti gli effetti un importante punto di riferimento per
gli studi sulla presenza ebraica nell’età contemporanea. La
realizzazione della mostra su ebrei e Grande guerra è solo l’ultima
prova dell’allargamento degli interessi dei ricercatori della
Fondazione, impegnati a vasto raggio nel campo della storiografia (con
la rivista online Quest),
nella conservazione di materiale audio e video, nella riflessione sulla
museificazione dell’ebraismo, nella documentazione sull’antisemitismo
contemporaneo, nella didattica della Shoah (e tante altre dinamiche che
invito il lettore a seguire in rete).
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Non ci facciamo intimidire |
“C’è
chi vorrebbe spaventarci, costringendoci a cambiare le nostre abitudini
e la nostra quotidianità, quello che siamo con orgoglio da millenni. Ma
è una battaglia persa. Noi andremo avanti, senza farci intimidire. La
vita vincerà sempre sulla morte e sulla violenza”. Così il presidente
dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Renzo Gattegna commenta
l’aggressione antisemita avvenuta ieri sera all’uscita di un ristorante
casher di Milano. Intervistato da Repubblica, Gattegna dice: “Il
rischio emulazione con quanto sta accadendo in Israele è alto, ma non
voglio fare accuse. Mi auguro che le forze dell’ordine continuino a
vegliare sugli obiettivi e sui siti ebraici come fanno ogni giorno con
impegno”. “Milano è una città molto ben controllata. Mi auguro che sia
possibile risalire rapidamente al colpevole e soltanto allora –
conclude il presidente UCEI – potremo ragionare sulle motivazioni”.
Ancora ignota l’identità dell’autore dell’aggressione. La vittima, un
uomo di 40 anni, esponente del movimento Chabad, non è in pericolo di
vita. A confermarlo il personale medico dell’ospedale Niguarda.
Molteplici le reazioni in ambito ebraico. Per l’UCEI a intervenire ieri
sera è stato anche il vicepresidente Roberto Jarach, milanese. “Il
primo pensiero – le sue parole – è stato: forse è bene suggerire ai
nostri ragazzi di non girare più per le strade con la kippah”. Ma, come
riporta il Corriere della sera, subito dopo ne è subentrato un altro:
“No, non dev’essere questa la reazione. Non possiamo ragionare così.
Anche perché in Italia non c’è mai stato un timore di questo tipo,
anche nei momenti più complicati”. Aggiunge ancora Jarach: “Dobbiamo
ragionare, capire, mantenere i nervi saldi. Non possiamo stare
tranquilli, questo è ovvio. Ma non abbiamo alcun elemento concreto per
poter affermare che il fenomeno sia in crescita”. “È l’episodio più
grave che si sia mai verificato a Milano” commenta Raffaele Besso,
copresidente della Comunità ebraica milanese assieme a Milo Hasbani.
“Siamo spaventati – dice quest’ultimo in una intervista al Giorno –
anche se io continuo a dire, a sperare, che si tratti di un episodio
isolato. Qui a Milano non abbiamo mai avuto nessun problema. Infatti si
era parlato di chiudere la scuola ebraica domani (oggi per chi legge),
ma ho deciso di lasciarla aperta e far venire i ragazzi
normalmente”.Ruggero Gabbai, esponente della Comunità e consigliere
comunale, afferma: “C’è timore che sia un episodio simile a quelli
avvenuti a Parigi con ‘cani sciolti’ che emulano quanto avviene in
Medioriente”. “Sono sconvolto, a mia memoria un episodio così non era
mai accaduto a Milano. Ma adesso dobbiamo mantenere la calma e
analizzare i fatti. Certo, l’aspetto simbolico di un’aggressione a una
persona così riconoscibile per i vestiti che porta e la sua evidente
riconducibilità alla comunità fa subito pensare alla volontarietà di
questo atto rivolto contro un ebreo. Spero di essere smentito da altre
ricostruzioni” dice il parlamentare (ed ex presidente della Comunità
ebraica milanese) Emanuele Fiano in una intervista a Repubblica. “La
reazione a caldo è difficile, certamente siamo molto spaventati. Ma
andiamo avanti e non perdiamo la testa” spiega l’ex presidente
comunitario Walker Meghnagi. Reazioni anche nel resto dell’Italia
ebraica. “Dobbiamo constatare che l’appello dell’Isis di colpire gli
ebrei ovunque si trovino purtroppo sta facendo proseliti” dice la
presidente della Comunità ebraica di Roma Ruth Dureghello. Così Talia
Bidussa, milanese, presidente Ugei: “Accade che essere ebreo oggi nella
civilissima Italia ha significato che qualcuno ci abbia quasi rimesso
la vita”. “Questa è la più grave aggressione avvenuta in Italia
dall’attentato del 1982 alla sinagoga di Roma nel quale perse la vita
il piccolo Stefano Gaj Taché, di soli due anni” afferma l’ex presidente
della Comunità ebraica romana Riccardo Pacifici.
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dopo l'aggressione antisemita di milano
Sicurezza, vertice in Viminale
"Non ci facciamo intimidire"
“C’è
chi vorrebbe spaventarci, costringendoci a cambiare le nostre abitudini
e la nostra quotidianità, quello che siamo con orgoglio da millenni. Ma
è una battaglia persa. Noi andremo avanti, senza farci intimidire. La
vita vincerà sempre sulla morte e sulla violenza”. Così il presidente
dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Renzo Gattegna commenta
l’aggressione antisemita avvenuta ieri sera all’uscita di un ristorante
casher di Milano.
“Le forze dell'ordine vigilano da anni con grande attenzione e
professionalità nei pressi dei diversi luoghi ebraici italiani. Un
impegno straordinario, più volte lodato per la sua incisività. Ma
evidentemente non sufficiente: serve adesso un rafforzamento delle
misure. Una decisione inevitabile – dice Gattegna – alla luce di quanto
accaduto ieri”.
Sul tema della sicurezza alle 15 il presidente dell'Unione parteciperà
a un vertice in Viminale assieme alla presidente della Comunità ebraica
di Roma Ruth Dureghello, al responsabile operativo sicurezza delle
comunità ebraiche Gianni Zarfati e al consigliere speciale del
Congresso ebraico europeo Alessandro Ruben. Al centro dell'incontro,
l'impegno delle forze del'ordine a garanzia della sicurezza delle
istituzioni ebraiche e la grande attenzione sui potenziali bersagli che
i fautori dell’odio minacciano di prendere di mira. Nell'occasione, si
procederà a una comune valutazione della situazione attuale, partendo
dal già forte raccordo con le istituzioni nazionali.
L'invito del presidente dell'Unione agli ebrei italiani è quello di
“comportarsi con la massima attenzione, stando attenti a cogliere tutti
i segnali che arrivano dall'esterno”. Ma al tempo stesso di proseguire
con la propria vita, senza alcuna rinuncia. “Istituzioni, enti, scuole:
l'Italia ebraica non si ferma. Un segnale forte e inequivocabile”,
sottolinea Gattegna.
Ancora ignota l’identità dell’autore dell’aggressione. La vittima,
Nathan Graff, 40 anni, esponente del movimento Chabad, non è in
pericolo di vita. A confermarlo il personale medico dell’ospedale
Niguarda.
“La vita continua come sempre e ci auguriamo che questo sia un caso
isolato. Agli ebrei milanesi dico di stare tranquilli, perché come
sempre faremo tutto il necessario per garantire la vostra sicurezza”,
dice uno dei due-copresidenti della Comunità ebraica milanese Raffaele
Besso.
L'altro presidente, Milo Hasbani, ha partecipato questa mattina a un
incontro in prefettura alla presenza del sindaco Giuliano Pisapia e dei
vertici delle forze dell'ordine. “Sono stato stamattina in Prefettura,
al comitato di emergenza - afferma - e ho visto un clima di solidarietà
e vicinanza. C’erano tutte le autorità, il prefetto vicario, il
colonnello dei carabinieri, il sindaco Pisapia, il questore Luigi
Savina, l’assessore Granelli, il comandante dei vigili Tullio
Mastrangelo, il comandante dei vigili del fuoco e tutti gli alti
vertici della sicurezza. Ci hanno offerto la loro completa
disponibilità, dicendo che rafforzeranno le misure di sorveglianza. Ci
hanno assicurato che anche da parte dei vertici del Ministero degli
Interni hanno avuto disposizioni di accordarci il massimo sostegno".
“Spero vivamente che sia un episodio isolato – prosegue Hasbani – e che
non sia riconducibile a matrici islamiche e arabe. Sembra che la
persona aggredita, alla quale esprimiamo tutta la nostra vicinanza e
gli auguri di Refuà Shelemà, per ora non abbia detto niente e, secondo
le prime ricostruzioni del fatto, oltre all’aggressore ci sarebbero
state altre due persone che lo aspettavano per portarlo via. Io non ho
conferma di questo. Per quanto riguarda la nostra Comunità, questo è il
primo episodio di questo tipo e siamo assolutamente integrati nella
vita milanese. Non c’era stato, finora, nessun sentore di ostilità,
come è avvenuto invece negli altri Paesi europei".
"Dopo l’accaduto - dicono inoltre i due presidenti - abbiamo deciso che
la scuola dovesse restare aperta, per dare un segnale di normalità e di
fiducia nelle Istituzioni e nelle Forze dell’ordine. Ringraziamo della
vicinanza le Autorità e i genitori degli alunni della Scuola ebraica,
che oggi hanno portato regolarmente i loro figli a Scuola; ringraziamo
i ragazzi che hanno voluto venire regolarmente alle lezioni, nonostante
il clima che si è creato in queste ore, dimostrando che la vita deve
continuare”. Sia Hasbani che Besso saranno in collegamento telefonico
col Viminale.
Molteplici le reazioni in ambito ebraico. Per l’UCEI a intervenire ieri
sera è stato anche il vicepresidente Roberto Jarach. “Il primo pensiero
– le sue parole – è stato: forse è bene suggerire ai nostri ragazzi di
non girare più per le strade con la kippah”. Ma, come riporta il
Corriere della sera, subito dopo ne è subentrato un altro: “No, non
dev’essere questa la reazione. Non possiamo ragionare così. Anche
perché in Italia non c’è mai stato un timore di questo tipo, anche nei
momenti più complicati”. Aggiunge ancora Jarach: “Dobbiamo ragionare,
capire, mantenere i nervi saldi. Non possiamo stare tranquilli, questo
è ovvio. Ma non abbiamo alcun elemento concreto per poter affermare che
il fenomeno sia in crescita”.
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qui roma - a vent'anni dall'assassinio
Rabin, un soldato di pace
“Un
politico guarda alle prossime elezioni, uno statista guarda alle
prossime generazioni”. In questa frase, attribuita ad Alcide De
Gasperi, Eitan Haber rivede la sintesi dell'uomo con cui collaborò per
circa quarant'anni: l'ex Primo ministro israeliano Yitzhak Rabin, di
cui cade quest'anno il ventesimo anniversario dall'assassinio. “Quando
ci fu bisogno, Rabin guidò il suo Paese verso una bella vittoria
militare, se possiamo parlarne in questi termini vista la tragicità
della guerra; poi dismise quegli abiti e si impegnò in qualcosa di
ancor più difficile e in cui credeva, la pace. Divenne un soldato di
pace”, ha ricordato Haber, ospite d'onore della serata organizzata
dall'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane al Centro Pitigliani di
Roma per celebrare la memoria di Rabin. Un esempio come politico e come
uomo, ha ricordato in apertura il presidente dell'UCEI Renzo Gattegna
che ha voluto sottolineare, alla luce dell'ondata di attacchi
terroristici delle ultime settimane contro civili e soldati israeliani,
la solidarietà e l'impegno dell'ebraismo italiano per Israele. Un
paese, secondo Haber, diviso al suo interno e per cui il raggiungimento
di una pace con i palestinesi sarà vitale per il futuro stesso dello
Stato ebraico. E il suo punto di vista, ha spiegato dialogando con i
giornalisti giornalisti Antonio Polito (Corriere della sera) e Anna
Momigliano (Rivista Studio) nel corso della serata moderata
dall'assessore UCEI Victor Magiar, non è quello di uomo di sinistra
perché, nonostante la collaborazione con Rabin, le sue radici sono nel
Likud ovvero nella destra israeliana.
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qui cuneo - LA BIBLIOTECA nel nome DI davide
I libri e la rinascita della scola
Commozione:
questo il sentimento che è passato nei cuori dei tantissimi presenti
all’inaugurazione, a Cuneo, della “Biblioteca e centro studi sugli
ebrei in Piemonte” dedicati alla memoria di Davide Cavaglion.
Biblioteca che Davide aveva pensato e sognato e di cui aveva condiviso
il progetto solo con suo fratello Alberto, che per un intero anno ha
lavorato alla realizzazione del progetto. E fortissima è stata la
risposta all’appuntamento, inserito nella programmazione di
Scrittorincittà, festival giunto alla diciassettesima edizione che ogni
autunno porta a Cuneo centinaia di autori, con incontri, presentazioni,
laboratori per le scuole, musica e spettacoli. Sono arrivati a
centinaia, accorsi anche da lontano, per scoprire il nuovo centro
studi, al punto che è stato necessario organizzare numerosi turni per
permettere a tutti di visitare, oltre all’antica sinagoga, i locali di
quella che era la scuola della comunità e le stanze in cui sta
prendendo forma la “Biblioteca di Barbamadiu”, la cui storia è
raccontata nel numero di novembre di Pagine Ebraiche, attualmente in
distribuzione.
Filippo Tedeschi
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qui cuneo - LA BIBLIOTECA nel nome di davide
"Una grande giornata per tutti"
In
uno splendido saggio pubblicato nel volume uscito in occasione della
mostra “Una storia del Novecento: il Rabbino Dario Disegni” Alberto
Cavaglion tratteggiava con grande efficacia la straordinaria figura di
Amadio Momigliano, lo “zio Amadio” o “Barbamadiu”, un fortunato uomo
d’affari, mercante di gramaglie, nato nel 1844, che dedicò il suo tempo
libero allo studio dell’ebraismo e che periodicamente si recava a
Parigi per procurarsi pregiate edizioni di libri e di commenti ai testi
introvabili in Italia. Come leggiamo, infatti, in una lettera tra le
molte indirizzate al giovane Rabbino Disegni, che ne aveva sposato la
diletta nipote Elvira (proprio nella Sinagoga di Cuneo, nel 1903) e al
quale non lesinava preziosi consigli di ogni genere, lo zio Amadio
scriveva “Ti farò vedere i libri che ho comprato a Parigi, veri
gioielli, ben inteso di argomento sacro”. Barbamadiu mise così insieme
una immensa biblioteca, che purtroppo andò dispersa durante la Seconda
guerra mondiale.
Dario Disegni, presidente della Comunità ebraica di Torino
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Rabbia |
Che
incubo questo tempo che non scorre, si impiglia, sembra tornare
indietro e ci trascina indietro con lui. Non avevamo ancora finito,
commemorando Rabin, di rivivere l’atmosfera del 1995 e di colpo veniamo
catapultati ancora più indietro, fino al 1982: lo sgomento di leggere
accanto a notizie di ebrei colpiti in quanto ebrei nomi italiani di
luoghi italiani che conosciamo bene; i dubbi su cosa sia o non sia
opportuno fare per continuare la nostra vita ebraica come sempre in
tranquillità e sicurezza; la necessità di analizzare, interpretare,
discutere, spesso incalzati dai media non ebraici. Non so se sia
corretto parlare di paura: sappiamo benissimo – non lo stiamo scoprendo
adesso – che essere ebrei è pericoloso, anche in Italia. Più che di
paura parlerei di rabbia: rabbia perché qualcuno ha deciso di tracciare
con la violenza una linea di demarcazione tra noi e gli altri; rabbia
per un’agenda che ci viene dettata dall’esterno, rabbia per non poter
scegliere liberamente come vivere la nostra vita ebraica, di quali temi
parlare, quali argomenti trattare nei nostri giornali e nelle nostre
newsletter. Ma se chi voleva incutere terrore in realtà suscita rabbia
questo significa che, almeno in parte, ha sbagliato i suoi calcoli.
Anna Segre, insegnante
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La farsa che è una tragedia |
Di
fronte alla radicalizzazione della destra italiana con il nuovo asse
populista Salvini-Meloni-Berlusconi, o all’etichettatura da parte
dell’Unione europea dei prodotti provenienti dalla West Bank, mi era
venuta alla mente quella celebre frase di Karl Marx la quale afferma
che “la Storia si ripete due volte, la prima come tragedia e la seconda
come farsa”. In realtà, soprattutto alla luce delle ultime notizie, ho
paura che si sbagliasse, la seconda volta la storia appare sotto forma
sì di farsa, perché è recepita con tale e scarsa considerazione, ma è
sempre tragedia. In qualche modo peggiore, poiché ci convinciamo sempre
che la modernità dei tempi sia inevitabilmente purificazione dagli
errori del passato e progresso.
Francesco Moises Bassano, studente
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