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26 maggio 2016 - 18 Iyar 5776
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Contando l’Omer

Lag baOmer, una ragione di ottimismo

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Nella nostra generazione assistiamo ad un eccezionale sviluppo dello studio della Torà, per quantità degli studiosi e qualità della produzione. Ma non tutti i periodi della storia ebraica sono stati così, e vi sono stati momenti di tale decadenza che i Maestri addirittura prefigurarono (in TB Shabbat 138b-139a) la fine della Torà, per oblio. Li sosteneva un brano di Amos (8:11-12) nel quale si annuncia una grande fame, non di pane, e una grande sete, non di acqua, ma della parola divina, che sarà però introvabile. In totale opposizione un unico Maestro disse il contrario: la Torà non sarà mai dimenticata da Israele, כִּי לֹא תִשָּׁכַח מִפִּי זַרְעוֹ ki lo tishakhach mipì zar’ò (Dev. 31:21). Se è così, cosa fare del verso di Amos? Significa solo che sarà difficile trovare una regola chiara (come effettivamente succede in molti casi). Il Maestro dissidente è Shimon ben Yochai, l’eroe di questa giornata di Lag baOmer (e c’è chi ha visto un’allusione al nome di suo padre nelle lettere finali di ogni parola del verso che cita). Di solito la regola viene decisa secondo l’opinione della maggioranza, in questo caso non c’è una regola da decidere, forse solo uno schieramento di simpatia. Ma la popolarità del personaggio la dice lunga su chi è stato preferito. Con buona pace dei catastrofisti, un filo di speranza e ottimismo.

Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma

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Contando l’Omer

Un precetto tra storia ed emozioni

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Vent’anni di impegno, e il lavoro continua: stesso obiettivo, nuovo canale. È dal 1997 che Moise Levy, medico milanese, maskil, ma anche editore e traduttore di importanti opere della tradizione ebraica in lingua italiana, prepara in occasione del periodo dell’Omer un libretto per facilitare tutti a compiere la mitzvah del conteggio. “Quest'anno, quindi, continuiamo ad avere il compito di prepararci nuovamente al dono della Torà, a Shavuòt.  Siccome nel mondo sono cambiate molte cose, e oggi la tecnologia cambia e progredisce a ritmo frenetico, ecco perché quest'anno c'è una novità: il Libretto dell'Omer non vi arriverà già pronto nella vostra città o sinagoga, ma sarà frutto della collaborazione di entrambi, la mia e la vostra.  Sia (soprattutto) per motivi economici ed organizzativi, sia per raggiungere un maggior numero di persone, quest'anno il formato del libretto è digitale” spiega sul proprio sito: nella pagina è infatti scaricabile il pdf con tutte le informazioni necessarie nelle tre versioni italiana, ashkenazita e sefardita. Punto di partenza, la spiegazione di che cosa sia il precetto in questione.

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Contando l’Omer

Sette settimane di attesa ardente

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“Parla ai figli d’Israele e dì loro: quando sarete arrivati alla terra che Io sto per darvi e ne mieterete i prodotti del campo, porterete l’Omer, la primizia della vostra mietitura, al sacerdote. E agiterà l’Omer davanti al Signore per il vostro gradimento, nel giorno successivo a quello della cessazione dal lavoro” (Levitico 23, 10 e 11). “E conterete per voi all’indomani della cessazione, dal giorno in cui porterete l’Omer dell’agitazione, sette settimane complete. Fino al giorno dopo la settima cessazione, conterete cinquanta giorni e quindi offrirete una nuova offerta farinacea al Signore” (Levitico 23, 15 e 16). L’offerta dell’Omer è un precetto positivo che, come scritto in Levitico 23, 10 e 11, è legato ad Eretz Israel e al Bet haMikdash. La parola Omer compare per quattordici volte nel Tanach, undici volte nella Torah e tre volte nei Chetuvim. Due sono i significati che si ricavano dai versi biblici: un insieme di spighe d’orzo legate, un covone; un’unità di misura: un Omer è “un decimo di Efà” e corrisponde a circa quattro litri. Al tempo delle peregrinazioni dei figli d’Israele nel deserto, il Signore provvedeva al loro mantenimento con un Omer di manna a testa al giorno. Questo cibo, di cui non conoscevano né la costituzione né la provenienza, era il segno tangibile della hashgacà temidit, la protezione costante di D-o sul Suo popolo.

Aharon Adolfo Locci, rabbino capo di Padova

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orizzonti

Il campanello d’allarme
che dobbiamo ascoltare  

A. E. I. O. U. Ancona. Empoli. Italia. Otranto. Udine. Diceva ai tempi asburgici un motto imperiale: Austria erit in orbe ultima, l'Austria durerà sino alla fine del mondo, sarà l'ultimo impero a tramontare. Oggi quell'orgoglioso aggettivo sembra cambiare di significato e mettere pure l'Austria col suo aspirante pistolero attualmente vittorioso fra gli ultimi della classe, seduti in fondo con le orecchie d'asino. Certo, si può sperare che il ballottaggio bocci il leader e il partito attualmente in testa, che usurpano e insozzano un glorioso nome della politica, il sostantivo o l'aggettivo «liberale». La Germania che abbiamo amata, diceva il titolo di un libretto in cui Croce, nutrito della grande cultura tedesca, la distingueva, nel suo valore universale, dalla rozza e sanguinaria barbarie del nazismo. Adesso potremmo e dovremmo scrivere un'analoga dichiarazione d'amore, “L'Austria che abbiamo amata”, e qualcuno l'ha già scritto. Del resto ogni Paese, ogni cultura, è un Giano bifronte, con una faccia di umanità e civiltà e un'altra di ottusa violenza e nessun popolo, nessuna cultura possono dare lezioni agli altri. Indubbiamente c'è stata — e c'è ancora, culturalmente — una grande Austria sovranazionale, crogiolo pure drammatico ma fecondo di genti, di lingue, di culture; culla e interprete di impareggiabile genialità della complessità e delle trasformazioni che hanno mutato il mondo e le visioni del mondo. Un'Austria plurinazionale — il cui sale era forse in primo luogo la contraddittoria ma incredibilmente vitale simbiosi culturale ebraico-tedesca — ammirata pure da chi l'ha combattuta, come gli irredentisti triestini; l'Austria il cui imperatore si rivolgeva «ai miei popoli».

Claudio Magris, Corriere della Sera
26 aprile 2016


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orizzonti

L'Europa in crisi
teme i populismi

Gli austriaci 'europei" hanno salvato l'Austria da sé stessa. Ma la vittoria di misura dell'outsider Van der Bellen non cambia l'immagine di una nazione un tempo aperta e tollerante e oggi spaccata in due, con metà della popolazione in preda alle paure, ai rancori, ai fantasmi di un improbabile nazionalismo. Perché a questo, in termini politici, si riduce il populismo di destra che sta dilagando in Europa e nel mondo. La voglia di muri, il rifiuto del diverso, la riscoperta del passato e del tradizionalismo religioso, il ripudio dell'Europa in nome di una sovranità immaginaria sono il linguaggio con cui, oggi, si esprime il nazionalismo delle destre. Un'infezione che ha insanguinato il Novecento e che sta tornando ad ammorbare il nuovo secolo. E il contagio non è solo europeo. L'ascesa di Donald Trump negli Stati Uniti fa scoprire una destra americana perfino peggiore di quella ideologica dei "Neo-con". A Mosca Vladimir Putin da anni ormai governa in nome del neo-nazionalismo russo confortato dal massiccio sostegno degli elettori. In Turchia Erdogan cavalca l'involuzione del suo partito da forza moderata e democratica a regime autoritario, nazionalista e confessionale. Sarebbe illusorio pensare che l'Europa possa essere immune dal ritorno del virus nazionalista solo perché è il continente che ne ha più sofferto gli effetti nefasti. Oggi partiti di populisti e nazionalisti di destra sono al governo, da soli o in coalizione, in sette Paesi dell'Unione europea. In Polonia domina il partito Legge e Giustizia di Jaroslaw Kaczynski, conservatore, nazionalista, ultracattolico, naturalmente anti-europeo e accusato di attentare alle istituzioni democratiche del Paese.


Andrea Bonanni, Repubblica
24 maggio 2016


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Shir Shishi - una poesia per erev shabbat

Granelli ordinari

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A Gorizia qualche anno fa, l’Associazione Gentes ha ospitato la poetessa Maya Bejerano, una figura chiave nella produzione lirica israeliana. È nata nel 1949 da genitori di origine bulgara e si è laureata in lettere all’Università di Bar Ilan. Da quando è stata scoperta dal critico Gavriel Moked non ha mai smesso di condividere con i lettori liriche in stili e poetiche diverse. Il libro“Granelli”, uscito nel 2010, contiene composizioni caratterizzate da una dolce leggerezza, vicine all’Haiku giapponese e ispirate dalla saggezza dei nostri maestri. In effetti l’incipit del libro riporta un pensiero del rabbino A. I. Kook, “Se non sei in grado di riconoscere il Sacro nell’Ordinario, ti è proibito l’incontro con l’Ordinario“.

Ecco tre granelli ordinari:

                I
Su una parete di carta ballo
il canto dei miei piedi,
e abbozzo col gesso.
(Gennaio 1995)

                  II 
Lo scarafaggio di ieri, finito pestato,
è resuscitato;
stamattina, in cucina, lo avevo salutato.
(Marzo 1995)

                III
Ma la mia cagnetta distingue
tra le passeggiate mattutine di shabbat
e quelle delle mattine feriali?
(Luglio 1997)


Sarah Kaminski, Università di Torino

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