Roberto
Della Rocca,
rabbino
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Perché,
non appena entra in Eretz Israel, il popolo ebraico deve recarsi a
Shechém per stipulare, con una articolata cerimonia, un patto di
corresponsabilità?
Shechèm è il luogo dove i padri delle Tribù di Israele si sono
deresponsabilizzati per la prima volta, vendendo Yosef, “sollevandosi
di dosso” – nel linguaggio di Rashì – il concetto di fratellanza. Hanno
umiliato e svenduto un fratello lasciando che passioni e ambizioni
personali prevalessero sulla scommessa di costruire assieme un progetto
comune nel rispetto delle differenze. Sarà proprio questo primo
fallimento comunitario a condurci in esilio in Egitto.
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Dario
Calimani,
Università di Venezia
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Preoccupati
dal boicottaggio antisemita di Israele messo in atto dal BDS o tutti
presi dagli sforzi di Netanyahu per far accettare dal consesso delle
nazioni le sue azioni politiche, troppo poco ci interessiamo a quanto
effettivamente succede in Israele e troppo poco trapela dalla stampa
ebraica e non ebraica. Finisce allora che le nostre difese, così come
le nostre critiche, risultino spesso scollegate dalla realtà viva e
attuale del paese.
Le notizie che io stesso ho contribuito a diffondere la settimana
scorsa sul movimento SISO (Save Israel. Stop the Occupation) non a
tutti possono essere risultate gradite. Ossia non tutti sono,
legittimamente, d’accordo con le posizioni di SISO. Questa è le
democrazia. È evidente che SISO è solo un sintomo del disagio che
percorre in questi tempi una parte della società israeliana e che
dovremmo, pur tuttavia, conoscere. Come tale, almeno, dobbiamo
prenderne atto e riconoscerlo.
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BHL: "Salviamo Aleppo"
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Importante
editoriale del filosofo francese Bernard-Henri Levy sul dramma di
Aleppo. Scrive BHL sul Corriere: “Bisogna fermare i bombardamenti sulla
città siriana. Lo possiamo fare perché i colpevoli di questa
carneficina sono chiaramente identificati. E del resto essi stessi non
fanno nulla per nascondersi. Parliamo beninteso del regime di Damasco.
Ma anche dei suoi padrini iraniani e soprattutto russi. Oppure
accettiamo, come nel paragone che ha fatto l’ambasciatore di Francia
all’Onu, François Delattre, una nuova Sarajevo”.
Duro, caratterizzato da colpi bassi da tutte e due le parti, il primo
dei tre dibattiti televisivi tra Hillary Clinton e Donald Trump.
“Un’ora e mezza di confronto serrato sui temi dell’economia, e in
particolare dell’occupazione, dei rapporti razziali e della sicurezza,
quella messa in pericolo dalla minaccia terroristica ma anche dalla
pirateria informatica. Con stretta di mano all’inizio e alla fine – si
legge sul sito di Repubblica – e in mezzo tante accuse reciproche”.
Sarà “Fuocoammare”; il documentario sui migranti a Lampedusa, a
rappresentare l’Italia nella serata degli Oscar. Repubblica pubblica
oggi una testimonianza di uno dei suoi protagonisti, il medico Pietro
Bartolo, che da oltre 25 anni accoglie i rifugiati sull’isola. “A volte
penso di non farcela. Di non reggere questi ritmi, ma soprattutto di
non reggere tanta sofferenza e tanto dolore. Molti miei colleghi,
invece, sono convinti che ormai mi ci sia abituato, che fare le
ispezioni cadaveriche per me sia diventata una routine. Non ci si
abitua mai ai bambini morti, alle donne decedute dopo aver partorito
durante il naufragio, i loro piccoli ancora attaccati al cordone
ombelicale. Non ci si abitua – spiega Bartolo – all’oltraggio di
tagliare un dito o un orecchio per estrarre il Dna e dare un nome,
un’identità a un corpo esanime e non permettere che rimanga un numero”.
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stati uniti - il confronto tra i candidati Il mondo ebraico guarda agli Usa "Da Hillary segnali positivi"
Il
verdetto degli opinionisti, anche sui quotidiani ebraici
internazionali, è concorde: il primo dei tre confronti televisivi tra
la democratica Hillary Clinton e il repubblicano Donald Trump,
candidati alle elezioni per la presidenza Usa, se lo è aggiudicato la
prima. Quanto questo possa influenzare l’opinione pubblica, avvertono
però gli analisti, è difficile da prevedere e contando che nessuno
credeva nella vittoria di Trump alle primarie repubblicane, la prudenza
è d’obbligo. Rispetto al confronto di ieri, si è parlato di Medio
Oriente e dell’accordo iraniano ma Israele e la questione palestinese –
molto presente nel dibattito pubblico americano – sono, almeno per il
momento, rimasti fuori dal confronto. L’unico a fare un riferimento al
governo di Gerusalemme è stato Trump, chiamando in causa il Primo
ministro Benjamin Netanyahu sulla questione dell’accordo sul nucleare
iraniano siglato da Washington con Teheran: “Ho incontrato Bibi
Netanyahu – ha detto Trump, riferendosi all’incontro avuto a New York
con il Premier israeliano negli scorsi giorni – e credetemi non era
contento”. Nulla di nuovo, in realtà, visto che la posizione fermamente
contraria di Netanyahu all’intesa è cosa nota, seppur i vertici
militari israeliani abbiano avuto un approccio più morbido sulla
questione. La Clinton non ha risposto all’allusione al Primo ministro
ma ha difeso l’accordo firmato da Obama e contrattaccato: “Trump ci
dice che non va bene, ma che cosa farebbe lui?”, ha chiesto Clinton,
“avrebbe iniziato una guerra? Avrebbe bombardato l’Iran?”. E in questi
interrogativi risiede il senso della vittoria della candidata
democratica, spiegano gli analisti: Trump rispetto a temi come l’Isis e
l’Iran è andato all’attacco ma non è riuscito a porre sul piatto un
programma, un suo indirizzo per risolvere situazioni così complesse. Ha
detto che lui avrebbe fatto meglio e che quanto fatto fino ad ora oggi
stato “un completo disastro”. Ha puntato ad attaccare e distruggere,
rispettando la strategia usata fino ad ora – seppur in tono minore
rispetto alle sue uscite precedenti – ma potrebbe non bastare per
ottenere la presidenza. Prima del confronto, Andy Borowitz, noto comico
ebreo americano, aveva predetto in una battuta il leitmotiv dello
scontro: “Trump ci mette in guardia che la Clinton manipolerà il
dibattito usando i fatti”. Ed effettivamente i fact-checkers, coloro
che controllano la veridicità delle affermazioni dei politici (e non
solo), hanno avuto un bel da fare con Trump. O, usando le parole della
giornalista Jane Eisner sul giornale ebraico americano Forward, Trump
ha detto “bugie, dannate bugie nel dibattito della scorsa notte”. Leggi
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L'incontro IN VATICANO I leader ebraici da Bergoglio: "Insieme, siamo tutti più forti"
L’accoglienza
degli immigrati e la loro piena e reale integrazione. L’impegno per la
pace in Medio Oriente. Il pericolo degli estremismi religiosi, il punto
sul dialogo interreligioso. La necessità di sviluppare politiche sempre
più efficaci di economia sociale. La scelta del silenzio nella recente
visita ad Auschwitz-Birkenau e la sfida di far sentire forte la voce
quando necessario.
Molti i temi che hanno segnato l’incontro ieri in Vaticano tra Papa
Bergoglio e la delegazione del World Jewish Congress guidata dal suo
presidente Ronald Lauder, tra cui anche i Presidenti di Francia,
Inghilterra, Austria, Ungheria, Brasile, Argentina.
Svoltosi in un clima di grande cordialità e amicizia, l’incontro ha
permesso di approfondire gli argomenti in una pluralità di voci e
prospettive. In particolare la presidente dell’Unione delle Comunità
Ebraiche Italiane Noemi Di Segni ha posto l’accento sull’importanza che
vi è oggi di parlare assieme, di rompere il silenzio sui drammi e i
tanti problemi della contemporaneità. “Sono d’accordo perfettamente,
perché delle volte il silenzio è la scelta giusta, altre volte no” ha
risposto Bergoglio manifestando inoltre apprezzamento per il messaggio
che, ripreso anche sull’Osservatore Romano, la stessa gli aveva inviato
alla vigilia della visita ad Auschwitz.
Dal papa anche un caloroso augurio di “Shanà Tovà” rivolto agli ospiti,
che hanno donato al Papa una treccia al miele in vista del nuovo anno
ebraico 5777 alle porte.
a.s twitter @asmulevichmoked
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qui roma - il convegno Tradurre, una sfida complessa
Esperti e studiosi a confronto
“D-o
conceda a Yafet estesi confini ed abiti nelle tende di Shem”.
Dall'interpretazione di questo versetto della Torah (Genesi IX, 27) ha
origine uno dei maggiori dibattiti sulla traduzione dei testi sacri in
lingue diverse dall'ebraico e l'aramaico. Alcuni maestri hanno infatti
letto in questo augurio espresso da Noè la speranza che le parole di
Yafet, cioè il greco, potessero risiedere nelle tende di Shem, che
rappresenta l'ebraico, ma le discussioni sulla legittimità di questo
processo, con i benefici ma anche i pericoli che l'apertura comporta,
sono proseguite nei secoli senza mai esaurirsi. E dunque non poteva
esserci occasione migliore dei giorni che seguono la pubblicazione del
primo trattato del Talmud Babilonese tradotto in italiano e la Giornata
Europea della Cultura Ebraica, il cui tema quest'anno è stato “Lingue e
dialetti ebraici”, per ripercorrere, proseguire e approfondire questo
dibattito, con un convegno intitolato “Yafet nelle tende di Shem.
L'ebraico in traduzione”. La due giorni, che si terrà al Centro
Bibliografico dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane domani e
giovedì, è coordinata da Raffaella Di Castro, in collaborazione con un
comitato scientifico di cui fanno parte anche i rabbini Roberto Della
Rocca e Gianfranco Di Segni, Silvano Facioni, Irene Kajon, Myriam
Silvera, Ada Treves e Micaela Vitale, e con la partnership
dell'Università di Roma La Sapienza, l'Università della Calabria, il
Centro interdipartimentale di Studi ebraici “Michele Luzzati”, il
Centro ebraico il Pitigliani, la casa editrice la Giuntina e la
libreria Kiryat Sefer. Leggi
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In ricordo di Enzo Bonaventura
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Laureatosi
a Firenze nel 1913 con Francesco De Sarlo, Bonaventura divenne suo
assistente. Nel Laboratorio di psicologia, creato da De Sarlo, condusse
importanti ricerche sperimentali sulla percezione degli intervalli del
tempo e sulla percezione dello spazio. Primo a tenere in Italia un
intero corso universitario sull’opera di Freud, Bonaventura pubblicò
poco prima della sua espulsione dell’università, in seguito alle leggi
razziste, una poderosa sintesi del pensiero di Freud che si legge
ancora con piacere.
Bonaventura fu una figura di primo piano del sionismo italiano. Si
adoperò nell’aiuto dei profughi ebrei che cercavano rifugio in Italia e
partecipò in modo attivo alla vita della Comunità ebraica di Firenze,
di cui fu per anni consigliere.
David Meghnagi, Università di Roma Tre
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Storie - "Beppo" Montezemolo
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Il
23 settembre del 1943 i tedeschi circondavano il Ministero della
Guerra, sede del comando di Roma Città Aperta, arrestando il conte
Guido Calvi di Bergolo, genero del re e a capo della struttura, e altri
ufficiali, e deportandoli in Germania. L’unico a sfuggire al blitz
nazista era il colonnello Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo, che –
indossati abiti civili – se la svignava attraverso i sotterranei del
Ministero, sbucando in via Nazionale e dandosi alla macchia.
Iniziava cosi l’attività resistenziale di Montezemolo, di cui ho
parlato ieri a Firenze, nella bella sede del Consiglio regionale della
Toscana. Beppo, così era chiamato in famiglia, reduce di tre guerre (i
due conflitti mondiali e la guerra di Spagna), disilluso dal fascismo
come milioni di italiani, invece di nascondersi, diede vita al Fronte
militare clandestino, che raccoglieva migliaia di militari, carabinieri
e civili (tra cui don Pietro Pappagallo), collaborava strettamente con
il Cln ed era collegato con Brindisi e il governo Badoglio.
Mario Avagliano
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Tradurre
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"Una
traduzione è come una donna: o è bella o è fedele” (Abraham B.
Yehoshua, Il lettore allo specchio, Sul romanzo e la scrittura. p. 31).
Vero: una traduzione può essere o bella o fedele. Ma per quanto
riguarda la donna, si concorderà che è solo un “politically incorrect
joke”.
Sira Fatucci
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