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27 Settembre 2016 - 24 Elul 5776
PAGINE EBRAICHE 24
ALEF / TAV DAVAR PILPUL
alef/tav
Roberto
Della Rocca,
rabbino
Perché, non appena entra in Eretz Israel, il popolo ebraico deve recarsi a Shechém per stipulare, con una articolata cerimonia, un patto di corresponsabilità?
Shechèm è il luogo dove i padri delle Tribù di Israele si sono deresponsabilizzati per la prima volta, vendendo Yosef, “sollevandosi di dosso” – nel linguaggio di Rashì – il concetto di fratellanza. Hanno umiliato e svenduto un fratello lasciando che passioni e ambizioni personali prevalessero sulla scommessa di costruire assieme un progetto comune nel rispetto delle differenze. Sarà proprio questo primo fallimento comunitario a condurci in esilio in Egitto.
 
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Dario
Calimani,
Università di Venezia
Preoccupati dal boicottaggio antisemita di Israele messo in atto dal BDS o tutti presi dagli sforzi di Netanyahu per far accettare dal consesso delle nazioni le sue azioni politiche, troppo poco ci interessiamo a quanto effettivamente succede in Israele e troppo poco trapela dalla stampa ebraica e non ebraica. Finisce allora che le nostre difese, così come le nostre critiche, risultino spesso scollegate dalla realtà viva e attuale del paese.
Le notizie che io stesso ho contribuito a diffondere la settimana scorsa sul movimento SISO (Save Israel. Stop the Occupation) non a tutti possono essere risultate gradite. Ossia non tutti sono, legittimamente, d’accordo con le posizioni di SISO. Questa è le democrazia. È evidente che SISO è solo un sintomo del disagio che percorre in questi tempi una parte della società israeliana e che dovremmo, pur tuttavia, conoscere. Come tale, almeno, dobbiamo prenderne atto e riconoscerlo.
 
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BHL: "Salviamo Aleppo"
Importante editoriale del filosofo francese Bernard-Henri Levy sul dramma di Aleppo. Scrive BHL sul Corriere: “Bisogna fermare i bombardamenti sulla città siriana. Lo possiamo fare perché i colpevoli di questa carneficina sono chiaramente identificati. E del resto essi stessi non fanno nulla per nascondersi. Parliamo beninteso del regime di Damasco. Ma anche dei suoi padrini iraniani e soprattutto russi. Oppure accettiamo, come nel paragone che ha fatto l’ambasciatore di Francia all’Onu, François Delattre, una nuova Sarajevo”.
Duro, caratterizzato da colpi bassi da tutte e due le parti, il primo dei tre dibattiti televisivi tra Hillary Clinton e Donald Trump. “Un’ora e mezza di confronto serrato sui temi dell’economia, e in particolare dell’occupazione, dei rapporti razziali e della sicurezza, quella messa in pericolo dalla minaccia terroristica ma anche dalla pirateria informatica. Con stretta di mano all’inizio e alla fine – si legge sul sito di Repubblica – e in mezzo tante accuse reciproche”.
Sarà “Fuocoammare”; il documentario sui migranti a Lampedusa, a rappresentare l’Italia nella serata degli Oscar. Repubblica pubblica oggi una testimonianza di uno dei suoi protagonisti, il medico Pietro Bartolo, che da oltre 25 anni accoglie i rifugiati sull’isola. “A volte penso di non farcela. Di non reggere questi ritmi, ma soprattutto di non reggere tanta sofferenza e tanto dolore. Molti miei colleghi, invece, sono convinti che ormai mi ci sia abituato, che fare le ispezioni cadaveriche per me sia diventata una routine. Non ci si abitua mai ai bambini morti, alle donne decedute dopo aver partorito durante il naufragio, i loro piccoli ancora attaccati al cordone ombelicale. Non ci si abitua – spiega Bartolo – all’oltraggio di tagliare un dito o un orecchio per estrarre il Dna e dare un nome, un’identità a un corpo esanime e non permettere che rimanga un numero”.
 
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  davar
stati uniti - il confronto tra i candidati
Il mondo ebraico guarda agli Usa "Da Hillary segnali positivi"

Il verdetto degli opinionisti, anche sui quotidiani ebraici internazionali, è concorde: il primo dei tre confronti televisivi tra la democratica Hillary Clinton e il repubblicano Donald Trump, candidati alle elezioni per la presidenza Usa, se lo è aggiudicato la prima. Quanto questo possa influenzare l’opinione pubblica, avvertono però gli analisti, è difficile da prevedere e contando che nessuno credeva nella vittoria di Trump alle primarie repubblicane, la prudenza è d’obbligo. Rispetto al confronto di ieri, si è parlato di Medio Oriente e dell’accordo iraniano ma Israele e la questione palestinese – molto presente nel dibattito pubblico americano – sono, almeno per il momento, rimasti fuori dal confronto. L’unico a fare un riferimento al governo di Gerusalemme è stato Trump, chiamando in causa il Primo ministro Benjamin Netanyahu sulla questione dell’accordo sul nucleare iraniano siglato da Washington con Teheran: “Ho incontrato Bibi Netanyahu – ha detto Trump, riferendosi all’incontro avuto a New York con il Premier israeliano negli scorsi giorni – e credetemi non era contento”. Nulla di nuovo, in realtà, visto che la posizione fermamente contraria di Netanyahu all’intesa è cosa nota, seppur i vertici militari israeliani abbiano avuto un approccio più morbido sulla questione. La Clinton non ha risposto all’allusione al Primo ministro ma ha difeso l’accordo firmato da Obama e contrattaccato: “Trump ci dice che non va bene, ma che cosa farebbe lui?”, ha chiesto Clinton, “avrebbe iniziato una guerra? Avrebbe bombardato l’Iran?”. E in questi interrogativi risiede il senso della vittoria della candidata democratica, spiegano gli analisti: Trump rispetto a temi come l’Isis e l’Iran è andato all’attacco ma non è riuscito a porre sul piatto un programma, un suo indirizzo per risolvere situazioni così complesse. Ha detto che lui avrebbe fatto meglio e che quanto fatto fino ad ora oggi stato “un completo disastro”. Ha puntato ad attaccare e distruggere, rispettando la strategia usata fino ad ora – seppur in tono minore rispetto alle sue uscite precedenti – ma potrebbe non bastare per ottenere la presidenza. Prima del confronto, Andy Borowitz, noto comico ebreo americano, aveva predetto in una battuta il leitmotiv dello scontro: “Trump ci mette in guardia che la Clinton manipolerà il dibattito usando i fatti”. Ed effettivamente i fact-checkers, coloro che controllano la veridicità delle affermazioni dei politici (e non solo), hanno avuto un bel da fare con Trump. O, usando le parole della giornalista Jane Eisner sul giornale ebraico americano Forward, Trump ha detto “bugie, dannate bugie nel dibattito della scorsa notte”.
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L'incontro IN VATICANO
I leader ebraici da Bergoglio: "Insieme, siamo tutti più forti"
L’accoglienza degli immigrati e la loro piena e reale integrazione. L’impegno per la pace in Medio Oriente. Il pericolo degli estremismi religiosi, il punto sul dialogo interreligioso. La necessità di sviluppare politiche sempre più efficaci di economia sociale. La scelta del silenzio nella recente visita ad Auschwitz-Birkenau e la sfida di far sentire forte la voce quando necessario.
Molti i temi che hanno segnato l’incontro ieri in Vaticano tra Papa Bergoglio e la delegazione del World Jewish Congress guidata dal suo presidente Ronald Lauder, tra cui anche i Presidenti di Francia, Inghilterra, Austria, Ungheria, Brasile, Argentina.
Svoltosi in un clima di grande cordialità e amicizia, l’incontro ha permesso di approfondire gli argomenti in una pluralità di voci e prospettive. In particolare la presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Noemi Di Segni ha posto l’accento sull’importanza che vi è oggi di parlare assieme, di rompere il silenzio sui drammi e i tanti problemi della contemporaneità. “Sono d’accordo perfettamente, perché delle volte il silenzio è la scelta giusta, altre volte no” ha risposto Bergoglio manifestando inoltre apprezzamento per il messaggio che, ripreso anche sull’Osservatore Romano, la stessa gli aveva inviato alla vigilia della visita ad Auschwitz.
Dal papa anche un caloroso augurio di “Shanà Tovà” rivolto agli ospiti, che hanno donato al Papa una treccia al miele in vista del nuovo anno ebraico 5777 alle porte.


a.s twitter @asmulevichmoked
al quirinale con mattarella
Israele in Italia, l'ambasciatore

presenta le proprie credenziali
Ofer Sachs, neo ambasciatore d’Israele a Roma, ha presentato ieri al Quirinale le proprie credenziali al capo dello Stato Sergio Mattarella. “È per me un grande onore rappresentare Israele in Italia” il commento del diplomatico.
“Italia e Israele condividono molti valori e devo dire che nei pochi giorni trascorsi qui ho trovato negli italiani persone aperte, disponibili ed entusiaste all’idea di sviluppare le buone relazioni di cooperazione già esistenti” ha inoltre affermato Sachs, che prende il posto dell’ambasciatore uscente Naor Gilon, in un recente messaggio.
qui roma - il convegno
Tradurre, una sfida complessa

Esperti e studiosi a confronto
“D-o conceda a Yafet estesi confini ed abiti nelle tende di Shem”. Dall'interpretazione di questo versetto della Torah (Genesi IX, 27) ha origine uno dei maggiori dibattiti sulla traduzione dei testi sacri in lingue diverse dall'ebraico e l'aramaico. Alcuni maestri hanno infatti letto in questo augurio espresso da Noè la speranza che le parole di Yafet, cioè il greco, potessero risiedere nelle tende di Shem, che rappresenta l'ebraico, ma le discussioni sulla legittimità di questo processo, con i benefici ma anche i pericoli che l'apertura comporta, sono proseguite nei secoli senza mai esaurirsi. E dunque non poteva esserci occasione migliore dei giorni che seguono la pubblicazione del primo trattato del Talmud Babilonese tradotto in italiano e la Giornata Europea della Cultura Ebraica, il cui tema quest'anno è stato “Lingue e dialetti ebraici”, per ripercorrere, proseguire e approfondire questo dibattito, con un convegno intitolato “Yafet nelle tende di Shem. L'ebraico in traduzione”. La due giorni, che si terrà al Centro Bibliografico dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane domani e giovedì, è coordinata da Raffaella Di Castro, in collaborazione con un comitato scientifico di cui fanno parte anche i rabbini Roberto Della Rocca e Gianfranco Di Segni, Silvano Facioni, Irene Kajon, Myriam Silvera, Ada Treves e Micaela Vitale, e con la partnership dell'Università di Roma La Sapienza, l'Università della Calabria, il Centro interdipartimentale di Studi ebraici “Michele Luzzati”, il Centro ebraico il Pitigliani, la casa editrice la Giuntina e la libreria Kiryat Sefer.
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pilpul

In ricordo di Enzo Bonaventura
Laureatosi a Firenze nel 1913 con Francesco De Sarlo, Bonaventura divenne suo assistente. Nel Laboratorio di psicologia, creato da De Sarlo, condusse importanti ricerche sperimentali sulla percezione degli intervalli del tempo e sulla percezione dello spazio. Primo a tenere in Italia un intero corso universitario sull’opera di Freud, Bonaventura pubblicò poco prima della sua espulsione dell’università, in seguito alle leggi razziste, una poderosa sintesi del pensiero di Freud che si legge ancora con piacere.
Bonaventura fu una figura di primo piano del sionismo italiano. Si adoperò nell’aiuto dei profughi ebrei che cercavano rifugio in Italia e partecipò in modo attivo alla vita della Comunità ebraica di Firenze, di cui fu per anni consigliere.


David Meghnagi, Università di Roma Tre
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Storie - "Beppo" Montezemolo
Il 23 settembre del 1943 i tedeschi circondavano il Ministero della Guerra, sede del comando di Roma Città Aperta, arrestando il conte Guido Calvi di Bergolo, genero del re e a capo della struttura, e altri ufficiali, e deportandoli in Germania. L’unico a sfuggire al blitz nazista era il colonnello Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo, che – indossati abiti civili – se la svignava attraverso i sotterranei del Ministero, sbucando in via Nazionale e dandosi alla macchia.
Iniziava cosi l’attività resistenziale di Montezemolo, di cui ho parlato ieri a Firenze, nella bella sede del Consiglio regionale della Toscana. Beppo, così era chiamato in famiglia, reduce di tre guerre (i due conflitti mondiali e la guerra di Spagna), disilluso dal fascismo come milioni di italiani, invece di nascondersi, diede vita al Fronte militare clandestino, che raccoglieva migliaia di militari, carabinieri e civili (tra cui don Pietro Pappagallo), collaborava strettamente con il Cln ed era collegato con Brindisi e il governo Badoglio.


Mario Avagliano
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Tradurre
"Una traduzione è come una donna: o è bella o è fedele” (Abraham B. Yehoshua, Il lettore allo specchio, Sul romanzo e la scrittura. p. 31).
Vero: una traduzione può essere o bella o fedele. Ma per quanto riguarda la donna, si concorderà che è solo un “politically incorrect joke”.


Sira Fatucci

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