Benedetto
Carucci Viterbi,
rabbino
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Abramo il solitario - possibile
interpretazione del lekhà unito al comando di andare - è l'esatto
opposto del pensiero unico della Torre di Babele. Non è un caso che,
secondo un
midrash, la fornace ardente in cui è gettato da Nimrod - l'artefice
della Torre - e da cui si salva miracolosamente, è proprio quella in
cui vengono prodotti i mattoni per costruirla.
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David
Bidussa,
storico sociale
delle idee
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Vittima
del terrorismo non è solo chi muore. È anche chi vive dopo, ma non
mette in campo una risposta, in grado di mettere nell’angolo
l’avversario. Oggi, meglio stasera alle 21.27, sarà un anno dall’inizio
di quella che ricordiamo come “strage del Bataclan”.
Quell’anniversario, ancora per molto tempo, va posticipato alla mattina
dopo, quando molti parigini si recarono sui luoghi e videro gli effetti
di quella notte. Noi - o forse meglio i parigini più di noi che videro,
perché noi vedemmo attraverso i loro occhi - siamo ancora fermi lì. Non
abbiamo una risposta. Anche per questo siamo ancora nella condizione di
“vittime del terrorismo”.
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Un anno dal Bataclan
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Il
terrorismo in Francia a un anno dalle stragi di Parigi. Ad attaccare al
cuore Parigi, il 13 novembre 2015, è stato un commando nato da una
cellula terrorista di Raqqa, in Siria. A scriverlo, il giornale Le
Monde in una lunga inchiesta arricchita da documenti classificati dei
servizi ungheresi. L’organizzazione ha sfruttato le ondate di migranti
per entrare nello spazio Schengen: i kamikaze, con falsi passaporti,
hanno seguito la via dei Balcani fino all’ Ungheria (Repubblica). E il
luogo diventato tristemente simbolo di degli attacchi compiuti dalla
cellula terroristica islamista è il Bataclan: il teatro in cui furono
massacrate 93 persone durante un concerto. Nelle scorse ore, come
racconta il Corriere della Sera, il teatro ha riaperto affidando la
nuova inaugurazione al cantante Sting: “Stasera abbiamo due compiti –
le parole di Sting appena salito sul palco – : ricordare quelli che non
ci sono più, e celebrare la vita”.
E a un anno dalla strage, la Francia – colpita ripetutamente dal
terrorismo, da Charlie Hebdo, all’Hypercasher fino a Nizza – si
interroga sui motivi del proliferare dell’estremismo al suo interno.
Sul banco d’accusa, scrive il Corriere, la “situazione delle periferie,
luoghi di marginalità culturale e etnica che hanno finito per produrre
prima l’antagonismo verso i principi della Repubblica laica e
egualitaria e poi la ribellione, contaminata dall’estremismo religioso
e terroristico”.
Bernard Henry Lévy su Trump. Secondo il filosofo francese, intervistato
da La Stampa, “saranno i poveri a pagare il trionfo del populismo
globale”, così negli Stati Uniti le classi più emarginate con
l’elezione di Donald Trump alla presidenza. Per Henry Lévy il voto
americano è stato “un voto contro la Repubblica. Contro l’uguaglianza e
il rispetto delle minoranze” e spiega di essere molto preoccupato per
la nuova guida della Casa Bianca, anche sulla gestione della politica
internazionale. A riguardo, il filosofo e scrittore è scettico anche
rispetto ai rapporti tra Trump e Israele, con il primo deciso a
chiedere allo Stato ebraico “il rimborso di una parte degli aiuti
concessi dalle precedenti amministrazioni. – sostiene Henry Lévy – In
più, ricordate la volgarità delle sue allusioni alle grandi
organizzazioni sioniste americane durante la campagna elettorale. Roba
tipo: so che non mi voterete perché non voglio il vostro sporco
denaro…”. Un tema toccato, sempre su La Stampa, anche dal sociologo
Amitai Etzioni, secondo cui Trump, nel corso della sua campagna
elettorale, “ha avuto atteggiamenti antisemiti, contro i musulmani, le
donne, i gay, ha sfruttato i propri dipendenti e imbrogliato i partner.
La cosa straordinaria non è che ci sia stata la svolta populista, ma
che abbia scelto lui come messaggero. Questo però è un avvertimento
proprio per l’Europa, che non è riuscita o non ha voluto vederlo.
Quando vai così a destra, non puoi prevedere cosa ti aspetta”.
New York, la protesta contro il nuovo presidente. Migliaia di persone
hanno sfilato pacificamente a New York per protestare contro l’elezione
di Donald Trump alla Casa Bianca. “Not my president” lo slogan scandito
dai manifestanti, tra cui, racconta la stampa, anche alcune voci
ebraiche (La Stampa).
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la
francia ricorda le stragi del 13 novembre
Parigi,
a un anno dagli attentati
"Il terrorismo non ci affonderà"
“13
novembre 2015. Fluctuat nec mergitur.” A un anno dall'attentato
islamista che ha sconvolto Parigi, la Capitale francese si stringe
attorno alle parole che scandiscono il suo motto cittadino: “Fluctuat
nec mergitur”, “È battuta dalle onde, ma non affonda”. Come una nave
che attraversa la tempesta del terrorismo e dell'odio fondamentalista,
Parigi ricorda a se stessa, in queste ore cariche di dolore e
commozione, di essere più forte di chi nel novembre dello scorso anno
la colpì a tradimento, massacrando 130 persone nel nome di una visione
corrotta della religione. “Ricordatevi di resistere, per superare la
codardia e la brutalità di questi fanatici islamisti che vogliono
imporci il loro stile di vita medievale”, ha scritto nelle scorse ore
Francis Kalifat, il presidente del Conseil représentatif des
institutions juives de France (Crif – organizzazione che rappresenta l'ebraismo
d'oltralpe), partecipando ai diversi eventi organizzati a Parigi per
commemorare le vittime del 13 novembre. “Centinaia di vite spezzate,
famiglie decimate, traumi profondi, a volte insormontabili, i
sopravvissuti sconvolti da quella domanda assillante 'Perché sono vivo,
perché io?'”, prosegue Kalifat ricordando come la ferita di quei giorni
sia ancora aperta in chi dai luoghi degli attacchi riuscì a uscire
vivo. Luoghi - dallo Stade de France, al Bonne Biere fino al Bataclan -
che in queste ore sono stati visitati dal corteo commemorativo
guidato dal presidente Francois Hollande, dal primo ministro
Manuel Valls e dalla sindaca di Parigi Anne Hidalgo. Luoghi in cui
nessuna parola ufficiale è stata pronunciata, rispettando il volere dei
parenti delle vittime, che hanno chiesto che fosse soltanto letto
l'elenco dei 130 caduti di quella terribile notte.
(Nell'immagine in alto, l'interpretazione del motto parigino "Fluctuat
nec mergitur" da parte del disegnatore Joann Sfar dedicata agli
attentati del 13 novembre. Nell'immagine in basso, il motto riportato
su di un manifesto a Parigi per commemorare l'anniversario degli
attacchi).
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IL
RICONOSCIMENTO DEL QUIRINALE
"Maestra
di libertà e democrazia"
Mattarella premia Emma Alatri
Storica
insegnante e direttrice della scuola ebraica romana, Emma Alatri, 90
anni, è da ieri Commendatore dell’Ordine al Merito della Repubblica
Italiana. Un prestigioso riconoscimento tributatole direttamente dal
presidente Mattarella “per aver trasmesso, con la sua testimonianza e i
suoi insegnamenti, i valori della libertà e della democrazia e il
disvalore dell’odio”.
Emma Alatri si è diplomata nel 1944 in una sezione speciale per
perseguitati politici e razziali. Ha insegnato alla scuola elementare
ebraica Vittorio Polacco dal 1945 al 1979, ricoprendo l’incarico di
direttrice, per otto anni. In un periodo molto delicato per la comunità
ebraica, si legge nella nota del Quirinale, “ha trasmesso ai suoi
allievi l’amore per la libertà e il senso di appartenenza alla comunità
nazionale”.
La notizia, diffusa nella giornata di ieri, ha presto fatto il giro
delle molte centinaia di allievi che ancora oggi vedono nella maestra
Alatri un punto di riferimento.
“Il suo sostegno agli studenti le cui famiglie avevano perso i propri
cari durante la Shoah ha permesso alla Comunità ebraica di Roma di
risorgere” ha sottolineato in una nota diffusa all’uscita di Shabbat la
presidente Ruth Dureghello.
“Non ce lo aspettavamo, siamo sorpresi. È meraviglioso constatare che
le azioni fatte per passione o dovere morale possano avere un
apprezzamento umano o storico inatteso per chi le compie” ci racconta
Gabriele Fiorentino, ex consigliere Ugei e nipote della maestra Alatri.
Emozionato anche lo storico Gadi Luzzatto Voghera, che di Emma Alatri
non è stato formalmente allievo, ma dalla cui saggezza continuamente
attinge ormai da molti anni assieme ai suoi cari.
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il
congresso dell'associazione ex deportati
Venegoni
alla guida dell'Aned
Al via il suo secondo mandato
Figlio
di due sopravvissuti al lager di Bolzano, 65 anni, Dario Venegoni
guiderà per un nuovo mandato l’Associazione Nazionale Ex Deportati.
Primo presidente nella storia dell’Aned a non aver sperimentato sulla
propria pelle l’orrore nazifascista, Venegoni era succeduto
nell’autunno del 2015 a Gianfranco Maris, mancato nei mesi precedenti.
Questa mattina ha ottenuto il voto favorevole dei delegati Aned
riunitisi nella città altoatesina per il Congresso nazionale.
Presidente onorario Aned sarà ancora Vera Michelin Salomon. Nel
comitato d’onore rappresentanti dei sopravvissuti ai campi di
Auschwitz, Mauthausen, Ravensbruck, Flossenburg e Bolzano.
“È stato un Congresso positivo. Abbiamo discusso e lavorato per tre
giorni, in una città importante e significativa per la nostra storia.
Da questo confronto sono emersi segnali di continuità, ma anche un
forte rinnovamento. È stato confermato il gruppo dirigente che ha
guidato l’associazione dopo la scomparsa di Maris, ma ci sono anche
molti volti nuovi pronti ad impegnarsi” le prime valutazioni di
Venegoni con il portale dell’ebraismo italiano www.moked.it. Voglio
rivolgere a Dario Venegoni, confermato questa mattina alla presidenza
dell’Associazione Nazionale Ex Deportati, le più sentite felicitazioni
per la sua nomina, certa di una sempre più stretta collaborazione tra
Aned e l’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane per il rafforzamento
di iniziative e progetti dedicati alla Memoria, alla formazione e alla
educazione delle nuove generazioni” afferma la presidente UCEI Noemi Di
Segni.
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lo
shabbaton organizzato in sicilia
A
Palermo rivive l'ebraismo
Uno
shabbaton che apre una finestra su di una realtà ebraica che sta
rifiorendo e che ha molto da raccontare: quella di Palermo. In questo
fine settimana infatti il vivace gruppo ebraico palermitano è stato al
centro di diversi incontri nel capoluogo siciliano, a cui hanno
partecipato, tra gli altri, il vicepresidente dell'Unione delle
Comunità Ebraiche Italiane Giulio Disegni, il direttore dell'area
Cultura e Formazione dell'UCEI rav Roberto Della Rocca, rav Pierpaolo
Pinhas Punturello e Gadi Piperno, responsabile per l'Unione del
Progetto Meridione.
Tra gli eventi dello Shabbaton, una serata densa di storie personali e
di emozioni che ha caratterizzato l'intero appuntamento. Tre donne di
diverse provenienze - ma tutte accomunate dall'aver trascorso una parte
della loro vita nel capoluogo siciliano - Fausta Carli Finzi, Maria
Antonietta Ancona ed Evelyn Aouate, hanno raccontato le loro storie,
che coincidono in qualche modo con la storia della rinascita di un
nucleo ebraico a Palermo dopo gli anni della Seconda guerra mondiale.
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La
macchina del fango |
Pierre-André
Taguieff, direttore di ricerca al Centro nazionale francese per la
ricerca scientifica e docente all’Istituto di studi politici di Parigi,
è da molti anni impegnato sul versante dell’analisi scientifica del
razzismo. La sua personale biografia culturale e politica è vivace e, a
tratti, quasi contraddittoria. Quanto meno per coloro che gli hanno
contestato l’eclettismo di certe scelte intellettuali. Indiscutibile,
tuttavia, è lo sforzo di mantenere ed alimentare un approccio
scientifico ai temi che lo vedono in prima linea. La sua opera più
importante, in sé voluminosissima, in una produzione bibliografica
oramai impressionante per la sua enciclopedica estensione, rimane «La
forza del pregiudizio. Saggio sul razzismo e sull’antirazzismo»,
pubblicato in Italia nel 1994 ma uscito in Francia già sei anni prima.
Come autore di numerose opere in materia, torna quindi frequentemente
ad interrogarsi sull’attualità dell’antisemitismo. Questa volta lo fa,
per il pubblico italiano, in un volumetto in traduzione, denso,
articolato e, al medesimo tempo, di utile lettura anche per il modo in
cui il materiale è organizzato e quindi proposto al lettore. .
Claudio Vercelli
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La
dedica di Primo Levi
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Nel
1952 durante una riunione del Consiglio editoriale dell’Einaudi Paolo
Boringhieri propone di pubblicare presso la casa editrice torinese il
libro che Cesare Pavese e Natalia Ginzburg avevano respinto nel 1946:
Se questo è un uomo di Primo Levi. La proposta è sostenuta da Luciano
Foà. Il Consiglio si dice favorevole, ma Giulio Einaudi non è della
medesima opinione: il libro, afferma, non ha molte probabilità di avere
successo. Boringhieri e Foà insistono, e finalmente nel luglio del 1955
viene stipulato un contratto per la riedizione del volume. Uscirà per
via della crisi economica dell’Einaudi solo nel 1958, dopo che Levi ha
accettato come parte del suo compenso azioni dell’editrice per 40.000
lire.
Marco Belpoliti, scrittore
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