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Elia Richetti,
rabbino
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I
Maestri si domandano perché Ha-Kadosh Barukh Hu abbia fatto sì che il
Faraone, anziché semplicemente concedere al popolo ebraico di uscire
dall’Egitto, alla fine sia stato costretto a scacciarlo, quasi a
mandarlo via con la forza.
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Sergio
Della Pergola,
Università
Ebraica
di Gerusalemme
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L’incidente
diplomatico, ora felicemente concluso, fra il Messico e Israele solleva
alcune interessanti questioni che riguardano i presenti ma anche futuri
rapporti fra Stato d’Israele e Diaspora ebraica. Ricapitoliamo ciò che
è avvenuto. Il Presidente Trump, con esplicito riferimento alla sua
promessa in campagna elettorale e ora decisione operativa di costruire
un muro sul confine fra Stati Uniti e Messico, in un suo tweet ha
elogiato il muro che Israele ha costruito al confine con l’Egitto. Il
primo ministro israeliano ha subito twittato: “Il Presidente Trump ha
ragione” e ha a sua volta illustrato i vantaggi del muro
israelo-egiziano. Il ministro degli Esteri del Messico ha interpretato
la frase “Trump ha ragione” nel senso di un’approvazione della
costruzione del muro americano-messicano, e ha reagito duramente
parlando perfino di “aggressione” nei confronti del Messico da parte di
Israele e chiedendo scuse formali. Il primo ministro di Israele ha
risposto in televisione con la diplomatica frase “Chi mai si sognava di
pensare al Messico?”, ma il governo messicano ha insistito nel
pretendere scuse formali.
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Nuovi e vecchi traumi
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IIn
Israele, giornata di tensione in seguito allo smantellamento
dell’insediamento di Amona. Il lento sgombero è stato seguito in
diretta da tutte le principali televisioni e, scrive La Stampa, “ha
fatto rivivere a Israele il trauma collettivo dell’evacuazione degli
insediamenti nella Striscia di Gaza nel 2005”. Almeno tredici gli
arresti tra i contestatori. La maggior parte dei dimoranti ha però
scelto la via della resistenza passiva, “incatenandosi l’uno all’altro
all’interno delle abitazioni, tra preghiere, canti e inviti ai
poliziotti a disobbedire agli ordini”.
Lo sgombero arriva a più di due anni dalla decisione della Corte Suprema israeliana, che ha sancito l’illegittimità di Amona.
Undici rappresentanti islamici hanno sottoscritto ieri con il Viminale
il “Patto nazionale per un Islam italiano”. Tutti. Compresi i più
riluttanti come il presidente della Coreis Yahya Pallavicini, fino
all’ultimo minuto restio, in quanto cittadino italiano, “a
giustificarsi dagli errori dell’islam politico e dagli orrori del
terrorismo” (La Stampa). Se onorato, l’impegno siglato ieri con il
ministro Minniti, dovrebbe condurre in futuro a un’Intesa sul genere di
quelle già stipulate con altre minoranze religiose (tra cui quella
ebraica). “Dal punto di vista del governo – si legge – conta
soprattutto fare un passo avanti sui dossier che scottano, l’islam, il
terrorismo, l’immigrazione”.
“Una nuova indifferenza ai perseguitati può macchiare indelebilmente
una grande democrazia”. È quanto scrive Pierluigi Battista sul
Corriere, ricordando quando già in passato gli Stati Uniti d’America
chiusero le porte. Tra gli altri vengono ricordati gli episodi della
nave Saint Louis, con 900 profughi ebrei a bordo, che venne respinta
nel 1939. O ancora, l’internamento di 100mila cittadini giapponesi dopo
l’attacco a Pearl Harbor.
Secondo Il Foglio, gli ebrei francesi sarebbero presi politicamente fra
due fuochi. “Tradizionalmente divisi fra gollisti e socialisti,
quest’anno alle presidenziali vedranno lo scontro fra la destra del
Front national, l’incognita Macron e la sinistra radicale”. Il
candidato socialista all’Eliseo, Benoit Hamon, costituirebbe infatti un
problema in ragione dei suoi “legami forti con la galassia musulmana”.
Una sinistra, la sua, che viene definita islamofila e anti-israeliana.
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la presidente ucei al meeting di lampedusa
“Mediterraneo, pace possibile
solo con Israele in sicurezza”
"Ci
sentiamo inderogabilmente e senza alcun minimo cedimento impegnati a
difendere e a incoraggiare la più strenua difesa delle nostre
democrazie e delle nostre identità, del valore della diversità e della
libera espressione, dei diritti della donna, delle fanciulle e dei più
deboli, del più rigoroso rispetto della sicurezza e della lotta
implacabile alla minaccia terroristica. E aggiungo doverosamente: il
riconoscimento dello Stato di Israele assieme al suo diritto alla
sicurezza e l’avvio di un processo di pace reale e voluto con il popolo
palestinese”.
Lo ha affermato la Presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche
Italiane Noemi Di Segni, intervenendo questa mattina al primo meeting
internazionale ‘Per un mare di pace e di lavoro’ organizzato dalla Uil
a Lampedusa con la partecipazione di leader sindacali e religiosi. In
sala anche la Presidente della Comunità ebraica romana Ruth Dureghello.
Tra i momenti che hanno segnato la mattina la firma dell’Accordo di
Lampedusa, documento comune in cui all’Unione Europea e ai paesi membri
si chiede di far confluire risorse da destinare alla realizzazione di
progetti idonei a creare lavoro in quelle zone prostrate
dall’indigenza, dalla povertà e dalla guerra. Tra i firmatari
dell’accordo anche rappresentanti dei lavoratori israeliani e
palestinesi.
“Questo mare che circonda ogni giorno le nostre vite è la celebrata
culla delle più antiche civiltà. È lo spazio in cui il nostro incontro
è destinato a rinnovarsi. È questo un mare che gli ebrei hanno solcato
nei millenni a più riprese e talvolta contro il loro desiderio. Non il
mare di racconti epici e leggendari, ma vera storia trasmessa di
generazione in generazione. L’essere stranieri, immigranti, erranti è
parte del nostro vissuto. Profondo, determinato e rispettoso – ha
sottolineato Di Segni – è il senso della nostra testimonianza”.
“Quello odierno – ha poi aggiunto – è un incontro, un viaggio,
commovente e condiviso con voi tutti. Per rendere questo mare mosso da
vitalità e intensità dei comuni valori. Per poter divenire uno spazio
di vita pace e lavoro, dobbiamo decidere la vera meta. Dobbiamo
condividere le responsabilità ed il peso, partecipare e non solo
guardare l’orizzonte.
(Nell’immagine la Presidente UCEI Noemi Di Segni e la Presidente della
Comunità ebraica romana Ruth Dureghello insieme alla Sindaca di
Lampedusa Giusi Nicolini)
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l'accordo viminale - associazioni islamiche
"Un patto contro il radicalismo ma dobbiamo metterlo in pratica"
“Un
giorno importante, un passaggio utile per il presente e il futuro
del nostro Paese attraverso il dialogo interreligioso”. Così il
ministro degli Interni Marco Minniti commentava ieri la firma del
“Patto nazionale per un Islam italiano”, siglato da undici associazioni
rappresentative del mondo islamico italiano. Un accordo diretto a
tutelare la libertà di culto in Italia e il cui pre-requisito, ha
dichiarato il ministro Minniti, è il ripudio “di qualsiasi forma di
violenza e terrorismo”. "È un patto - ha spiegato Minniti - che allude
in prospettiva ad un'intesa. L'hanno firmato associazioni che hanno
storie e sensibilità differenti e che in altri momenti non avrebbero
sottoscritto un documento comune. Tutti i firmatari si sono impegnati a
rifiutare qualunque forma di guerra e di terrorismo”. “Sono molto
felice di questa firma. È un accordo che riconosce il valore delle
diverse anime interne al mondo islamico – spiega a Pagine Ebraiche
Maryan Ismail, dell’Associazione madri e bimbi somali di Milano –
Abbiamo lavorato tutti insieme, dalla Coreis all'imam di Roma, a tutte
le comunità coinvolte, per raggiungere questo risultato. Si tratta di
un primo passo per il riconoscimento di vari protocolli d'intesa
specifici per ciascuna delle entità firmatarie come avviene all'interno
del mondo cristiano in Italia”. Secondo il vicepresidente della Coreis
(Comunità Religiosa Islamica), l'imam Yahya Pallavicini, tra i
firmatari dell'accordo, “tutto dipenderà da come verrà messo in
pratica. Capisco le esigenze del Viminale che con questo patto ha
voluto che si arrivasse un segnale chiaro e coeso dell'impegno
dell'Islam italiano contro il radicalismo. Anche se, per quanto
riguarda la Coreis, facciamo già questo lavoro. Detto questo, c'è molto
da costruire ora, la base si fonda su un'intenzione condivisa, ma
metodi, contenuti e strutture organizzative saranno fondamentali perché
questo segnale politico importante si concretizzi”.
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l'onorificenza conferita dal capo dello stato
Emma Alatri, maestra di libertà
“Aiutando gli altri, si aiuta se stessi. Voi siete l’Italia vera, l’Italia da cui prendere esempio”.
È breve ma sentito l’intervento che il Capo dello Stato Sergio
Mattarella ha voluto pronunciare questa mattina al Quirinale al termine
della cerimonia di consegna delle onorificenze al merito della
Repubblica a quaranta cittadini italiani, uomini e donne, distintisi
per la profonda umanità che hanno saputo testimoniare nel loro lavoro o
nel loro impegno quotidiano al servizio del prossimo. Tra i premiati
Emma Alatri, 90 anni, storica insegnante della Comunità ebraica romana,
la prima a ricevere dalle mani di Mattarella il prestigioso
riconoscimento.
Parla
a braccio, il Capo dello Stato. Ma dalle sue parole, prima della foto
di rito con i quaranta premiati, traspaiono emozione e gratitudine. Ed
è caldo l’invito a guardare alle vicende oggi celebrate nella casa di
tutti gli italiani per costruire nuove opportunità di incontro, dialogo
e conoscenza al servizio di tutti.
Missione che Emma Alatri ha saputo incarnare alla perfezione,
dedicandosi per molti anni all’insegnamento e alla formazione di molte
centinaia di giovani che ancora oggi guardano a lei come a un punto di
riferimento imprescindibile.
Mazal tov, morà Emma!
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qui roma
Pentcho, una storia di salvezza
Cinquecento
ebrei slovacchi che, in fuga dalla persecuzione nazista, cercano di
raggiungere la Palestina mandataria (il futuro Stato di Israele). Da
Bratislava, passando per il Danubio, fino al Mar Egeo. La speranza che
si arena su un isolotto, dove il battello Pentcho termina la sua
traversata. La speranza che si riaccende grazie all’intervento della
Marina italiana, che trae in salvo i fuggiaschi e li destina prima a un
campo di internamento a Rodi e quindi a Ferramonti in Calabria. Molti,
grazie a questo intervento, riusciranno a salvarsi dalla Shoah.
“Il viaggio del Pentcho”, volume che narra questa vicenda con dovizia
di dettagli e che già vi abbiamo presentato su queste pagine, si legge
tutto d’un fiato. Una storia appassionante ricostruita da Enrico
Tromba, Stefano Nicola Sinicropi e Antonio Sorrenti, ospiti ieri della
Fondazione Museo della Shoah alla Casina dei Vallati nel corso di una
serata segnata da molte emozioni. Presente in sala Elvira Frenkel,
testimone oculare dei fatti. Mentre un altro superstite, Jacob Klein,
ha raccontato quell’esperienza in un’intervista curata da Sorrenti.
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qui milano
Le origini dell'antisemitismo
Prosegue
il ciclo di incontri sull'antisemitismo organizzato dal Centro di
documentazione ebraica contemporanea di Milano in collaborazione
l’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, la Casa della Cultura
e dell’Istituto nazionale per la Storia del movimento di Liberazione in
Italia. Questa sera infatti, nella sede di via Eupili del Cdec, avrà
luogo il quarto appuntamento (ore 18.00) dedicato all'“Antisemitismo
razzista, nazionalista ed economico”. Nello specifico, si parlerà
dell’ideologia antisemita tra la fine dell’Ottocento e gli anni ’30 del
Novecento, con particolare rilievo sui temi economici ed il pensiero di
economisti e politici antisemiti quali Werner Sombart, Gottfried Feder
e Alfred Rosenberg. Relatori dell'incontro, Francesco Germinario e Gadi
Luzzatto Voghera.
In un altro luogo della città, negli aeroporti di Milano e Malpensa, è
stata prorogata fino al 5 febbraio la mostra “27 Gennaio: Memorie di
una Storia fatta di storie”.
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jciak
Va in scena Gerusalemme
Qual
è la città più filmata d’Israele? Le alternative sono due: Gerusalemme
o Tel Aviv. E, forse a sorpresa, la risposta giusta è Tel Aviv. Appena
30 film dei 700 film girati in Israele fra il 1948 al 2008 sono stati
ambientati a Gerusalemme. Gli altri hanno preferito accomodarsi tra il
mare, i grattacieli e la movida della città bianca. Le ragioni della
scelta non sono chiare. Forse gli scenari di Gerusalemme, così belli e
riconoscibili, rischiano di relegare in secondo piano plot e attori. O
forse il dinamismo di Tel Aviv meglio si presta a raccontare la
modernità. In ogni caso le cose stanno cambiando.
Non siamo ancora davanti a un’inversione di tendenza, ma i segnali sono
inequivocabili. Grazie all’impegno del Jerusalem Film Fund, istituito
nel 2008, un numero crescente di filmaker opta per Gerusalemme. “I sui
paesaggi così diversi sono stati scelti di recente sia per film
destinati al cinema sia per programmi televisivi”, ha spiegato il
direttore del fondo al Jerusalem Post.
“Gerusalemme è interessante, misteriosa, diversa e molto versatile ed è
stata lo scenario di film drammatici, commedie e perfino fantasy per
bambini. Da quando abbiamo iniziato a lavorare abbiamo finanziato più
di 60 film ambientati nella nostra città”.
Daniela Gross
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Setirot
- La mia Memoria |
In
venticinque giorni ho accompagnato al cimitero del Lido di Venezia mio
padre z”l e mia madre z”l. Lì riposano adesso insieme alle loro/mie
grandi famiglie. Inevitabile rivivere con commozione ricordi e
racconti. Storie di felicità e di dolore, di lutti e di fughe, di fughe
riuscite e di fughe fallite tramutatesi in Lager.
Stefano Jesurum, giornalista
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In ascolto - Giovinezza |
Mi
piace osservare quel che succede nei giorni intorno al 27 gennaio e non
solo per lavoro, ma anche per quello che potrei definire “interesse
antropologico”. Accanto a progetti importanti ed esperienze di alto
valore civile e morale, succedono spesso cose strane: presentatori
improvvisati che cercano di “risollevare un po’ il morale”, politici
che pescano dal cellulare frasi a effetto da utilizzare nel discorso
che pronunceranno cinque minuti dopo, silenzi imbarazzanti, ecc…
Quest’anno una politica della mia zona, poco prima del Giorno della
Memoria, ha postato nel magico e democratico mondo di Facebook una foto
del duce, per ricordarci che è stato l’unico uomo nella storia italiana
ad aver gestito in modo efficiente i danni di un terremoto.
Maria Teresa Milano
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Time
out - La caccia al consenso |
Al
di là dei giudizi, lo sgombero di ieri ad Amona dimostra che qualsiasi
sforzo in quella direzione non viene accolta dai media e dalla politica
nella stessa misura con cui viene ricevuta la notizia della costruzione
di case a Gerusalemme. La domanda da fare sarebbe retorica e nulla
aggiungerebbe.
Daniel Funaro
Leggi
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Nessun luogo |
Mica
facile scrivere un libro sul Nessun Luogo, il Nowhere che è Trieste
secondo la decisiva, esatta definizione della città nel titolo del
fortunato libro di Jan Morris (Trieste. O del Nessun Luogo, Saggiatore).
Mauro Covacich riesce dove altri maggiori e minori hanno più o meno
fallito, perché non sistematizza né mette ordine: il Nessun Luogo ha
fisica quantica, e il suo significato è sfuggente se lo si cerca di
misurare, quanto è riconoscibile se lo si lascia esprimere. Il ‘meaning’
del titolo della Morris è infatti indicativo dell’inevitabile
fallimento programmato della sua queste, mentre quello di Covacich, (La Città Interiore, La Nave di Teseo) è chiave musicale, è intonazione per un concerto per pianoforte e orchestra.
Valerio Fiandra
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Il cono d’ombra
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Il
27 dicembre 1987, pochi mesi dopo la morte di Primo Levi (il quale
negli ultimi giorni della sua vita aveva assistito sgomento
all’emergere di fenomeni negazionisti, come ha ricostruito Francesco
Lucrezi in La parola di Hurbinek. Morte di Primo Levi, Giuntina 2005),
sulle pagine del Corriere della Sera in un’intervista dal sintomatico
titolo Le norme contro il fascismo? Sono grottesche, aboliamole, lo
storico Renzo De Felice dichiarava l’Italia fuori dal “cono d’ombra
dell’Olocausto”.
Sara Valentina Di Palma
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