
Pierpaolo Pinhas Punturello, rabbino
|
Il
giorno che salimmo in terra di Israele, preso da stanchezza e da un
entusiasmo burocratico imposto da un impiegato del ministero
dell’integrazione, (Misrad HKlità) nostro figlio Joshua, la sua Rocca
lo custodisca, che allora aveva appena cinque anni, accettò il cambio
di nome nel più israeliano e, apparentemente, ebraico Yeoshua.
Di fatto però in famiglia, sin dal giorno del suo brit milà, Joshua è
sempre stato Joshua. E per questo motivo, stanco di questa
schizofrenia, tra un Joshua familiare ed amicale, a volte anche Josh,
ed un Yeoshua scolastico e burocratico, nostro figlio lo scorso anno ha
deciso di voler essere Joshua anche sui documenti israeliani così come
è tale su quelli italiani.
|
|
Leggi
|
Gadi
Luzzatto
Voghera,
storico
|
L’unicità
dell’evento-Shoah rispetto a tutti gli altri numerosi casi di sterminio
di massa viene sostenuta in vari modi, tutti validi; si tratta di un
complesso di elementi che presi nel loro insieme vanno a disegnare un
evento eccezionalmente grave che è stato negli ultimi anni assunto come
punto di riferimento ineludibile di riflessione etica sul peso della
storia che ci portiamo alle spalle. Tentiamo di schematizzarli
brevemente.
|
|
Leggi
|
 |
Attentato palestinese,
poco spazio sui media
|
Pochissimo
spazio sui quotidiani italiani per l’attentato terroristico palestinese
che ieri ha colpito Petah Tikvah, città nei pressi di Tel Aviv. Alle 17
ora locale, un palestinese di 18 anni ha aperto il fuoco con una
mitraglietta artigianale contro la folla, ferendo cinque persone. Il
terrorista, proveniente da Nablus, nella West Bank, è stato poi
catturato e, riporta Avvenire (che dedica un breve trafiletto
all’attentato), aveva con sé una bomba.
Diversi hotel genovesi hanno rifiutato di ospitare il raduno
organizzato per domani da Forza Nuova e che raccoglie esponenti
dell’estrema destra europea. Come racconta Stefano Origone su
Repubblica Genova, dopo i no ricevuti, Forza Nuova ha deciso di tenere
il convegno nella sua sede in via Orlando inaugurata due anni fa e
diverse organizzazioni, tra cui l’Anpi, hanno annunciato una
manifestazione di protesta contro il raduno. E contro la preoccupante
iniziativa di stampo neofascista sono arrivate anche le parole,
riportate da Repubblica, della presidente dell’Unione delle Comunità
Ebraiche Italiane Noemi Di Segni e del presidente della Comunità
ebraica di Genova Ariel Dello Strologo: “La sola possibilità che a
Genova, città medaglia d’oro alla Resistenza, venga ospitata una
manifestazione di gruppi antidemocratici costituisce un’offesa alla
memoria di chi lottò e fu vittima di quei regimi a cui questi movimenti
di estrema destra si ispirano”, la denuncia di Di Segni e Dello
Strologo. “A chi propugna tesi razziste e xenofobe, ai nostalgici del
totalitarismo nazifascista, non possiamo permettere di esprimere le
proprie ideologie. Il mondo ebraico – proseguono – si è sempre fatto
garante della libertà di pensiero e di manifestazione e proprio per
assicurare un futuro dei nostri figli e all’Europa tutta, chiediamo
alle Autorità di voler impedire un raduno a movimenti che abusano di
questa libertà seminando odio e intolleranza”.
|
|
Leggi
|
|
|
il festival internazionale ha preso il via La Germania, l'Europa, gli ebrei
Alla Berlinale le lacrime e il riso
Non
era niente di più che un pugno di disperati, quello che restava
dell’ebraismo tedesco al momento della liberazione. Decimati, affamati,
disperati, con un futuro da costruire e una vita da vivere senza
nemmeno comprenderne le ragioni.
“Es war einmal in Deutschland” (C’era una volta in Germania, il titolo
fa il verso al grande classico di Sergio Leone), il film di Sam
Garbarski che ha aperto trionfalmente il sessantasettesimo Festival
internazionale del cinema di Berlino, ci porta in mezzo a loro in
un’esperienza che per molti spettatori non sarà facile dimenticare.
Tutto costruito sul ritmo serrato della trilogia letteraria del “Die
Teilacher” di Michael Bergmann, il romanzo che ha messo in luce il
genio letterario di uno degli esponenti più in vista della realtà
ebraica di Francoforte, il film di Gabarski mette sulla scena la grinta
di attori fuori dal comune come Antje Traue e uno straordinario Moritz
Bleibtreu ormai ben conosciuto anche dal pubblico italiano.
Il ruolo di David, l’ebreo dalla sfacciataggine sconfinata e dalla
simpatia irresistibile, sopravvissuto solo per la sua prodigiosa
abilità di raccontare barzellette ai gerarchi nazisti che sterminavano
intanto i suoi cari e tutto un popolo, sembra tagliato apposta per un
attore così versatile.
Per quasi due ore si ride e si piange, e a volta le lacrime si mescolano, senza prendersi mai una pausa.
Ma, quello che forse più conta, mostrando con profondità e senza
annoiare il terribile regolamento di conti che gli ebrei tedeschi
sopravvissuti hanno affrontato alla fine della guerra con la società e
all’interno del proprio mondo, si porta a termine una operazione sulla
Memoria che rappresenta bene l’enorme lavoro mentale e culturale, il
processo di maturazione e di assunzione di responsabilità compiuto
dalla Germania nel dopoguerra.
È il 1946, mentre si prepara il processo di Norimberga, in una
Francoforte ridotta in polvere gruppuscoli di ebrei sopravvissuti si
aggirano nei baraccamenti riservati alle persone disperse e allestiti
dalle autorità alleate. David, unico sopravvissuto della sua famiglia,
erede di un elegante negozio di biancheria della città, disperatamente
assetato di vita, raccoglie attorno a sé una banda di pronti a tutto
per avviare un commercio corsaro di tessili e cominciare a ricostruirsi
una esistenza.
La storia e il carattere di ognuno di questi personaggi è un viaggio
nella sofferenza indicibile e nella forza incredibile che gli ebrei
tedeschi hanno sottolineato. Ma il confronto per David si estende
quando si trova indagato dalle autorità militari americane che vogliono
capire se non sia stato un collaborazionista. Addirittura qualcuno che
nella speranza di sfuggire alla camera a gas non abbia accettato di
insegnare l’arte di raccontare una barzelletta allo stesso Hitler, alla
disperata ricerca di qualche battuta ad effetto per fare bella figura
nell’imminenza di un suo incontro con Benito Mussolini.
E
il confronto prosegue, si stringe come una morsa negli interrogatori
che potrebbero portarlo alla pena capitale per collaborazionismo, ma
anche i suoi accusatori, che vestono la divisa dei liberatori, sono in
definitiva ebrei tedeschi che erano riusciti a lasciare la Germania
giusto in tempo. E fra il sospettato David e l’inquirente Sara Simon,
fra sospetto, paura, brama di impietosa verità e voglia di sorridere
alla vita, alla fine scoppia una passione difficile da trattenere.
È un regolamento di conti spaventoso e necessario, nella caccia ai
criminali, nella oscenità dell’indifferenza, nell’orrore e nel senso di
Giustizia e di speranza che continuamente rialza la testa. La tragedia
e la forza incredibile di essere ebrei in Germania. Ma soprattutto un
regolamento di conti della vita contro la morte, dell’identità contro
il buio, della voglia di ridere contro l’orrore.
Bergmann e e Gabarski riescono a mettere alla portata di tutti quello
che forse è più difficile raccontare: che cosa significhi davvero
essere dei sopravvissuti. E così facendo mettono a segno un importante
investimento per la Memoria autentica, per una Memoria che si perenne
fonte di vita e costante difesa di valori. Una vera e propria lezione
di politica della Memoria.
Ma rendono omaggio, soprattutto, a quello sparuto gruppo di ebrei,
erano appena quattromila, che nonostante ogni logica apparente decise
di fermarsi in Germania, di partecipare alla ricostruzione, di
riprendersi quello che si era voluto loro strappare con la bestialità.
E mettono assieme grande cinema, spettacolo travolgente, emozione
forte, determinazione a scegliere per la vita.
Sì. C’era una volta tutto questo, in Germania. E c’è ancora oggi più
che mai. Perché quel drappello di sbandati che restando salvò contro
ogni logica apparente l’onore dell’Europa, grazie alla capacità
strategica e alla dirittura dei propri leader comunitari, grazie alla
tenacia di chi non volle arrendersi, è oggi un gruppo numeroso, forte,
determinato, accogliente e ben consapevole della propria identità.
Qualcuno doveva restare, qualcuno doveva ricostruire, qualcuno doveva
farlo. Si dice che nessuno sia stato effettivamente in grado di
spiegare ai propri figli le ragioni di quella scelta. Eppure, come dice
il protagonista folgorando lo spettatore sul finale, era necessario,
perché in definitiva “sarebbe stato un vero peccato lasciare ai
tedeschi un così bel paese”.
gv
|
ieri attentato palestinese a petah tikvah Insediamenti, Trump prudente:
"Nuove case non sono un bene"
Il
terrorismo palestinese è tornato a colpire ieri in Israele. A compiere
l’attacco, un diciottenne proveniente dalla Cisgiordania che, armato di
una mitraglietta fatta in casa, ha aperto il fuoco contro un autobus e
contro la folla presente nei pressi del mercato di Petah Tikvah, città
a poca distanza da Tel Aviv. Cinque gli israeliani rimasti feriti
nell’attentato che, come di consueto, ha ricevuto il plauso del gruppo
terroristico di Hamas. “Naturale risposta” ai “crimini d’Israele”, le
parole del portavoce del movimento che controlla Gaza: ovvero attaccare
i civili nella loro quotidianità, mentre vanno a fare la spesa al
mercato. Intanto fanno discutere in Israele le parole sugli
insediamenti israeliani in Cisgiordania del presidente degli Stati
Uniti Donald Trump nella sua prima intervista a un giornale israeliano,
Israel Hayom. Trump, che il 15 febbraio incontrerà a Washington il
Primo ministro Benjamin Netanyahu, ha ribadito la sua amicizia a
Israele, affermando però che non pensa “che andare avanti con nuovi
insediamenti sia un bene per la pace”. Leggi
|
QUI ROMA - UNA SERATA CARICA DI EMOZIONI Vittorio Foa, l'omaggio recitato
"Il carcere fu per lui una scuola"
Con
Riccardo Bauer ed Ernesto Rossi formò un gruppo coeso, unito da una
straordinaria passione civica. Anni di dura carcerazione,
insopportabili per la gran parte dei prigionieri, ma che in lui
rafforzarono l’impegno per la libertà, la democrazia, il progresso.
C’era buio attorno: la repressione si intensificava, il paese
precipitava sempre più nel baratro. Eppure Vittorio scelse di non
arrendersi. Prima ancora di imbracciare il fucile come partigiano, dopo
l’otto settembre, la sua fu una Resistenza intellettuale che ne definì
in profondità il carattere e i successivi impegni.
Questo uno dei ricordi più intensi affiorati nel corso
dell’incontro-omaggio in memoria di Vittorio Foa svoltosi alla Casa
della Memoria e della Storia di Roma. Incontro, cui hanno partecipato
le figlie Anna e Bettina e che ha avuto come suo momento centrale la
messa in scena di un testo scritto dallo storico Leonardo Casalino e
interpretato dall’attore Marco Gobetti (nell’immagine): “Vittorio Foa –
Pensare il mondo con curiosità”.
Fu proprio la curiosità, insieme all’amore per la conoscenza, a rendergli sopportabile l’esperienza in cella. Leggi
|
il passo falso del dizionario online Se il pregiudizio diventa virale Secondo
Alexa, sito che fornisce i dati del traffico online dei diversi siti
web, wordreference.com, il dizionario online, è 262esimo nella lista
dei siti più visitati al mondo. Una diffusione straordinaria per quello
che è diventato uno dei dizionari online più usati in assoluto per le
traduzioni da inglese a spagnolo, da inglese a francese, da inglese a
portoghese e da inglese a italiano. Ma proprio in quest’ultima versione
emerge una preoccupante associazione, che richiama i peggiori
pregiudizi antisemiti (il caso è stato aperto sul Foglio da Adriano
Sofri): alla voce avaro del dizionario wordreference infatti compaiono
le traduzioni: “Avaro (agg) (tirchio, spilorcio, taccagno) mean, cheap,
stingy, miserly, avaricious”. E più sotto, nelle esemplificazioni:
“avaro found in these entries: ebreo – pidocchio – pitocco – taccagno –
tirato – tirchio”. Il primo richiamo esemplificativo di avaro è dunque
ebreo, come nelle più velenose tesi antisemite.
Pagine
Ebraiche ha chiesto conto ai responsabili del sito wordreference del
perché compaia quell’associazione, sottolineando la necessità di una
spiegazione nonché di un’immediata rimozione della voce “ebreo”
associata alla parola “avarizia”.
|
Incontro con il faraone
|
Sabato
scorso abbiamo letto di lui nella parashà di Bo, che racconta l’uscita
dall’Egitto, e guarda caso il giorno successivo passeggiando nel centro
di Torino lo abbiamo incontrato. A dire la verità non sono sicura che
fosse proprio lui. Anche la tradizione ebraica identifica il faraone
dell’uscita dall’Egitto con Ramses II? Sembrano esserne convinti i
testi scolastici di storia, così come le guide del Museo Egizio che di
fronte alla sua statua tessono le lodi del grande faraone elencando
l’Esodo tra i testi che parlano di lui (per la verità non è che la
Torah ne parli proprio bene, ma questo, a quanto pare, è un dettaglio).
L’identificazione è data per scontata anche nel film Exodus di Ridley
Scott in cui il giovane e aitante Mosè salva la vita al fratellastro
Ramses durante la battaglia di Kadesh (quella vinta dagli Egizi secondo
i testi egizi e dagli Ittiti secondo i testi ittiti). Dunque, con un
pizzico di divertimento e con il gusto tipico del midrash di accorpare
i personaggi, mi piace pensare almeno per un momento che sia proprio
lui.
Lo incontriamo in via Lagrange. Ci osserva severo e sdegnoso mentre gli
passiamo davanti; ci guarda dall’alto in basso perché è molto più
grande di noi. Lui è una statua bella e maestosa, la riproduzione di
quella che si trova al Museo Egizio qualche isolato più avanti. I
turisti vengono da lontano per ammirarlo. Lui era il leader di una
superpotenza, noi eravamo i suoi schiavi. Lui è immobile, noi
camminiamo.
Anna Segre, insegnante
|
Una speranza
|
Riporta
tra gli altri il The Jewish Chronicle che lo stratega di Donald Trump,
Steve Bannon, avrebbe sostenuto attraverso un documentario abbozzato
nel 2007 “The Islamic States of America” che la comunità ebraica
americana, insieme alle università e ai principali mezzi di
informazione, stia spianando la strada all’islamizzazione dell’America
e al Jihad. Esisterebbe una sorta di quinta colonna attiva in
Occidente, come ha affermato lo stesso Bannon nel 2016, che mirerebbe
al decadimento dei suoi valori cristiani e al suo indebolimento. Bannon
propugnatore di varie tesi cospirazioniste e da alcuni storici
considerate pseudoscientifiche, tra cui la teoria generazionale di
Strauss-Howe – “la quale la storia americana seguirebbe cicli di
quattro fasi, scanditi dal susseguirsi di periodi di profonda crisi e
di rinascita” – è stato definito da Paul Blumenthal sull’Huffington
Post come un “fautore dell’Apocalisse”. Egli stesso ha dichiarato al
Washington Post un mese fa che “stiamo assistendo alla nascita di un
nuovo ordine politico”.
Di questi “guru” o personaggi visionari, o forse di sciotim come si
direbbe a Livorno, ne è satura la storia e il mondo e sovente quando
essi hanno raggiunto alte cariche istituzionali le conseguenze sono
state purtroppo nefaste, bisogna ancora continuare a sperare che Bannon
sia una rara eccezione.
Francesco Moises Bassano
|
Il cuore duro
|
Secondo
Erich Fromm “Indurirò il cuore del Faraone” (Esodo 7,3) insegna che
tutti gli eventi “necessari” sono eventi causati da Dio. Non a caso poi
il testo biblico ripete più volte che “Faraone indurisce il suo cuore”,
sottolineando così una delle leggi più importanti del comportamento
umano: ogni azione malvagia tende “necessariamente” a indurire il cuore
dell’uomo e a renderlo insensibile; ogni atto buono tende ad addolcirlo
e a vivificarlo. E, determinati dalle azioni precedenti, più si
indurisce il cuore e meno libertà si ha di cambiare.
Ilana Bahbout
|
|
|