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16 febbraio 2017 - 19 Shevat 5777
PAGINE EBRAICHE 24
ALEF / TAV DAVAR PILPUL
alef/tav


Elia Richetti,
rabbino
Di fronte alla stravolgente esperienza della teofania sul Sinai, il popolo si rivolge a Moshè chiedendo che funga lui da intermediario con HaQadòsh Barùkh Hu, perché è impossibile per esseri umani sopravvivere all’esperienza dell’incontro con la voce divina.
 
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Sergio
Della Pergola,
Università
Ebraica
di Gerusalemme
Chi parla di Sionismo e della sua attuazione nello Stato di Israele, dovrebbe rileggere il documento costitutivo approvato 120 anni fa al Congresso di Basilea per iniziativa di Teodoro Herzl:
Il Sionismo intende stabilire un focolare per il popolo ebraico in Palestina garantito dalla legge internazionale. Il Congresso prevede i seguenti strumenti per ottenere questo obiettivo:
La promozione di mezzi adeguati per l’insediamento in Palestina di agricoltori, artigiani e industriali ebrei;
L’organizzazione e l’unione di tutto il popolo ebraico attraverso apposite organizzazioni locali e internazionali, nel rispetto delle leggi di ciascun paese;
Il rafforzamento e la promozione dell’identità e della consapevolezza nazionale ebraica;
L’attuazione di passi preparatorii tesi ad ottenere il consenso dei governi, laddove necessario, per raggiungere gli obiettivi del Sionismo.
Questo è il Sionismo che, ricordiamolo a chi se ne è dimenticato, opera nell'ambito della legge internazionale, nel rispetto delle leggi di ciascun paese, e con il consenso dei governi. Atti che contraddicono questi principi non possono essere considerati sionisti.
 
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Medio Oriente, Trump
cambia la linea
“Trump cambia la linea su Israele”, titola il Corriere. “Il presidente con Netanyahu congela l’ipotesi dei due Stati”, scrive invece Repubblica. La Stampa parla di “Svolta Trump”.
Come da programma, non è passato inosservato il vertice tra Donald Trump e Benjamin Netanyahu a Washington. E in particolare le parole del primo, che nel corso di una conferenza stampa ha affermato: “Per me va bene sia la soluzione con due Stati o quella con uno Stato. L’importante è che le due parti siano d’accordo”. Per il Corriere, con queste parole, Trump ha demolito ufficialmente “almeno quarant’anni di dottrina diplomatica sul Medio Oriente”.

Due noti intellettuali, l’israeliano Etgar Keret e l’americano Jonathan Safran Foer, si esprimono in toni critici sull’asse Trump-Netanyahu. Scrive Keret sul Corriere: “Non ho dubbi che grazie alla sua spregiudicatezza Trump avrà raccolto molti successi nella vita privata. Vorrei sperare che saprà trarre lezione dalla sanguinosa esperienza di Israele e ammettere che, a differenza dell’approccio condiviso con Netanyahu, ovvero empatia uguale debolezza, la capacità di vedere gli altri e di accogliere le loro istanze, oltre a essere moralmente giusta, rappresenta in realtà uno strumento pratico ed essenziale che non dovrebbe mai mancare nella cassetta degli attrezzi di tutti i leader”.

“Quella di Netanyahu – dice Safran Foer a Repubblica – è una strada totalmente sbagliata, figlia di una visione triste e deprimente. Si dovrebbero inseguire duri compromessi per la pace, invece si cercano soluzioni apparentemente facili ma distruttive. Di questo passo, Netanyahu metterà a repentaglio l’esistenza stessa di Israele”. Secondo Safran Foer, che apertamente manifesta la propria insofferenza anche nei confronti del nuovo inquilino della Casa Bianca, è fondamentale “non cedere all’America che vuole Trump”.

Positiva invece la valutazione di Fiamma Nirenstein, che sul Giornale scrive: “Le strette di mano, gli abbracci delle mogli, gli accenni entusiastici a un futuro di successo per la pace forse non rappresenteranno la soluzione dell’annosa questione israelo-palestinese, ma segnano una grande svolta. Forse più importante dei programmi, che il Medio Oriente costruisce spesso sulla sabbia, è il fatto che finalmente, dopo Obama, gli Usa e Israele tornano i grandi amici di sempre”.
 
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  davar
washington - la nuova linea sul medio oriente
Trump e Netanyahu d'accordo:
"Usa-Israele, è un nuovo giorno"

In un comunicato ufficiale arrivato dopo la conferenza stampa e l'incontro privato tra il Presidente Usa Donald Trump e il Primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, la Casa Bianca ha sintetizzato il vertice di ieri a Washington definendolo “un nuovo giorno per i rapporti tra Israele e Stati Uniti”. I media internazionali intanto si soffermano su quella che è stata definita una nuova linea del presidente Trump rispetto al conflitto israelo-palestinese: la priorità infatti non sarebbe più la soluzione dei due Stati per due popoli, portata avanti dalle amministrazioni americane dall'era Clinton in avanti. Ma potrebbero esservene altre. “Sto valutando la questione ‘due stati’ o ‘uno stato’. Mi piace quella che piace a entrambe le parti. Mi va bene quella che vogliono entrambe le parti. Mi vanno bene entrambe”, ha affermato Trump nel corso della conferenza stampa congiunta con Netanyahu. Molte le voci, a partire da quella del nuovo segretario delle Nazioni Unite Antonio Guterres, che hanno espresso preoccupazione per un eventuale abbandono della soluzione dei due stati: “non c'è un'alternativa”, ha dichiarato Guterres.
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QUI ROMA - L'INIZIATIVA
"Accoglienza sempre possibile,
il Pitigliani ce lo insegna"

"Cosa mi aspetto? Che se ne parli, che ci si confronti, che alcuni spunti vengano ripresi e sviluppati. Anche perché non è detto che il nostro lavoro finisca qua”.
Dirigente del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali, Micaela Procaccia è curatrice del volume Una storia nel secolo breve in cui si racconta la vicenda del Pitigliani, l’ex orfanotrofio della Comunità ebraica romana oggi imprescindibile punto di riferimento della stessa. Oltre 700 pagine di storie, aneddoti e testimonianze dedicate ai 70 anni che vanno dal 1902 al 1972. Un lavoro collettivo di ricerca che parte da lontano e che sarà al centro di una giornata davvero speciale per l’istituto, atteso questa domenica da una maratona di ricordi e di emozioni.
Appuntamento alle 17.30 per la presentazione del libro (che è pubblicato da Giuntina e ha tra le sue anime anche Angelina Procaccia, Sandra Terracina e Ambra Tedeschi), ma anche per una mostra fotografica ad hoc e un brindisi.
Spiegano le autrici: “La storia che abbiamo raccontato si svolge attraverso due guerre mondiali, una terribile persecuzione, un secondo dopoguerra segnato da espulsioni e migrazioni. Eppure, nonostante che, in una parte di questo periodo, i bambini in fuga e gli adulti che avrebbero dovuto accoglierli fossero tutti in pericolo di vita, sempre e comunque, nel bene e nel male, con tutti i limiti delle persone e delle istituzioni, questi bambini hanno trovato asilo. Questo ci ricorda che l’accoglienza è sempre possibile”. Per questo, sottolinea Procaccia, è venuto naturale dedicare il libro a tutti i bambini “che cercano oggi un rifugio”.
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QUI ROMA - LA CERIMONIA
"Polizia, ammirazione profonda"
“Proviamo gratitudine per gli eroi del passato, le cui vicende ci danno fiducia e speranza. Ma sentiamo anche una profonda e sincera ammirazione nei confronti di chi, oggi, nella piena consapevolezza del proprio ruolo, tutela la sicurezza di ogni cittadino di fronte alle nuove minacce che insidiano il mondo libero e democratico”.
Così la Presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Noemi Di Segni intervenendo nel corso di una cerimonia alla Scuola superiore di Polizia organizzata in ricordo di Giovanni Palatucci, commissario reggente della questura di Fiume che fu ucciso a Dachau e che lo Yad Vashem ha voluto riconoscere “Giusto tra le Nazioni” per l’assistenza offerta agli ebrei perseguitati.
Ad accogliere la Presidente Di Segni il capo della Polizia Franco Gabrielli, che a proposito di Palatucci ha affermato: “Siamo orgogliosi di riaffermare i valori di cui quest’uomo è stato esempio e portatore”.
Ad intervenire tra gli altri anche il ministro plenipotenziario dell’ambasciata israeliana Rafael Erdreich. Sul palco inoltre l’attore Sebastiano Somma, che ha interpretato Palatucci in una fiction di qualche anno fa.
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qui milano
Safran Foer: "Il mio obiettivo
è scrivere libri autentici"

“Non credo che gli scrittori abbiamo un compito. Devono avere un obiettivo questo sì, il mio è scrivere qualcosa che sia autentico per me e per gli altri. Se mi dovessi porre un compito mi limiterei e al contempo fare un pericolosa generalizzazione, assumendo di essere più intelligente del lettore a cui parlo”. Così in poche battute, sul palco del Teatro dell'Arte della Triennale di Milano, Jonathan Safran Foer ha accennato al suo modo di vedere la scrittura. Il suo Eccomi (Guanda) è stato scelto da quasi trecento giornalisti del Corriere della Sera come miglior libro del 2016 e lo scrittore, ebreo americano, è venuto a Milano per ritirare il premio. Foer ha spiegato di non credere nei romanzi dichiaratamente politici: “sono pochi romanzi scritti con questo scopo (politico) ad essere rimasti nella storia. Sono quelli che evocano empatia, che innescano processi di cambiamento lenti ad avere un impatto, sono loro che diventano vere opere d'arte”. Critico nei confronti dell'attuale presidente Usa, lo scrittore ha poi affermato la necessità di riconoscere e fare la differenza tra le diverse identità. E di identità ha parlato guardando a se stesso, sottolineando che a lungo il pubblico e la critica ha guardato a lui come lo scrittore “giovane”, e “ora che sto per compiere quarant'anni quella definizione non vale più”.

jciak
Il giovane Karl Marx
Diciamolo subito, nessuno ha gridato al miracolo. Le Jeune Karl Marx era uno dei film più attesi al Festival di Berlino. Il tema, la giovinezza di Karl Marx e il suo incontro con Engels, era intrigante come il periodo storico in questione. E la regia di Raoul Peck, fresco della candidatura all’Oscar per I Am Not Your Negro (2016), documentario basato su un testo di James Baldwin e dedicato alla storia degli scontri razziali negli Stati Uniti, lasciava presagire un film capace di andare al di là delle solite biografie romanzate.
Il lavoro ha invece diviso la critica. Troppo cerebrale per alcuni (Hollywood Reporter l’ha paragonato alle “note per un corso universitario sulla storia del XIX secolo”, solo in versione grande schermo), un po’ piatto per altri, Le Jeune Karl Marx è in ogni caso un film da vedere se amate la storia, le idee, la politica.
Il film esce dai luoghi comuni dei biopic e mescola vita privata, riflessione filosofica e scenari storico politici. La scena di apertura ci porta direttamente nel cuore della questione, quello che è il vero soggetto di Le Jeune Marx, la nascita della dottrina marxista. Vediamo un gruppo di miseri contadini che raccolgono i rami caduti a terra nella foresta assaliti dalla polizia a cavallo: anche quella povera raccolta è considerata un furto.

Daniela Gross
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  pilpul
Setirot - Impunità e oblio
Mi capita di rileggere il testo del discorso che Gérard Malkassian, filosofo francese di origine armena, ha tenuto a metà gennaio nell’ambito dell’interessante ciclo di incontri “La crisi dell’Europa e i Giusti del nostro tempo” organizzato da Gariwo al Teatro Parenti di Milano. Alcune osservazioni di Malkassian colpiscono profondamente. Ad esempio quando sottolinea, con spirito evidentemente rivolto all’attualità, quanto l’impunità e l’oblio di un crimine mostruoso possano avere effetti tragici al di là del crimine stesso. Parla, ovviamente, del genocidio armeno e ricorda come il silenzio calato su di esso dopo il Trattato di Losanna del 1923 fu uno dei fattori che incoraggiò i nazisti a mettere in atto e a perpetrare la Shoah. Dimenticare i genocidi incoraggia a ripeterli.

Stefano Jesurum, giornalista
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In ascolto - Rachel Bluwstein
Questa settimana ho visto l’invasione dei cuori, appesi alle vetrine e agli zaini degli studenti, tra gli alberelli e i fiori dei vivai e perfino disegnati sulla schiuma del cappuccino la mattina e mi è tornata in mente una canzone d’amore molto bella, densa di nostalgia e priva di retorica.
Si intitola Shai, in ebraico Dono e fu scritta nel 1930 dalla grande poetessa Rachel Bluwstein, nata in Russia nel 1890 ed emigrata nel 1909 insieme alla sorella Shoshana in Eretz Israel. È studiando agricoltura che la giovane scrittrice incontra i grandi nomi del sionismo, tra cui Zalman Rubashov, futuro presidente Zalman Shazar, di cui si innamora.


Maria Teresa Milano
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Time out - Formule alternative
Incomprensibile la reazione di alcuni commentatori all’incontro tra Trump e Netanyahu. La dichiarazione del presidente americano è ciò che di più ragionevole e importante potesse essere detta. Prima delle formule, tanto care a intellettuali e politici della vecchia scuola, ricordiamoci qual è il vero obiettivo: la pace.

Daniel Funaro
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Majorana e Nietzsche nei libri
“Due esempi di Economia della Scrittura” così potrei intitolare l’esercizio con doppio salto vitale che provo a eseguire oggi, a proposito di due libri di poche pagine e molto contenuto, scritti con esemplare Cura della Casa della Scrittura: (‘Economia’ viene infatti dal greco οικονομία, che vuol dire ‘Cura della Casa’ – e se ridete amaro, vi capisco).
Dalla sera del 25 marzo del 1938, Ettore Majorana scompare. Il più promettente giovane fisico italiano – Enrico Fermi lo considerava un genio – fa letteralmente perdere le sue tracce, o ancor meglio, le confonde, aprendo così – suo malgrado – il Caso che porta il suo cognome. Suicidio, fuga, entrata in monastero ? Sono state avanzate molte ipotesi, e nessuna provata. Come scrive Giorgio Agamben, “…la scomparsa di Majorana è altrettanto certa quanto improbabile (nel senso letterale del termine: essa non può essere in alcun modo provata e accertata sul piano dei fatti)”. Sul perché si sono esercitati in molti, e non vanamente, ma finora solo Leonardo Sciascia – nel suo libro del 1975 – era riuscito a configurare una tesi che numerosi indizi, e la capacità letteraria del Siciliano, hanno saputo argomentare.


Valerio Fiandra
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Vita da zoroastriani
Prendiamo un pomeriggio domenicale di metà inverno, ed un viaggio in macchina verso la propria Keillah dove, nonostante la distanza, torniamo volentieri appena possibile, in questo caso per il Seder di Tu BiShvat. La distanza permette di conversare tranquilli, senza doversi limitare alle frettolose comunicazioni di servizio tipiche dei giorni feriali. Si parla, tra le altre cose, di comuni amici che vedremo tra poco. Mi viene fatto notare che hanno nomi classici non ebraici, per la precisione uno macedone e l'altro persiano.

Sara Valentina Di Palma
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