per il cinquantesimo anniversario della liberazione
Gerusalemme, 50 anni e un Giorno
La
vita colorata in un campus universitario vibrante di diversità, lingue
e calcetto in una Gerusalemme “molto più piccola di quella di oggi”,
poi nel giro di poche settimane la tensione, la guerra e l’incertezza,
interrotta dalla rapidissima vittoria, dall’euforia, dalla commozione:
“Har HaBayt BeYadenu”, “il Monte del Tempio è nelle nostre mani”.
Sergio Della Pergola, demografo e professore emerito dell’Università
ebraica di Gerusalemme, nella tarda primavera del 1967 era arrivato in
Israele da pochi mesi dopo la laurea in Scienze politiche a Pavia e
delle settimane che portarono alla Guerra dei Sei Giorni, del
conflitto, di ciò che ne seguì, ricorda tutto momento per momento. In
vista del cinquantesimo anniversario della riunificazione di
Gerusalemme, rievoca quegli istanti con Pagine Ebraiche.
Arrivato ad anno accademico inoltrato nel dicembre 1966, Della Pergola
riceve una stanza nel dormitorio insieme a uno studente
arabo-israeliano. “Ibrahim, veniva da Umm al Fahm (nell’immagine
assieme a Della Pergola), centro del nord del paese oggi piuttosto
militante in senso anti-israeliano. Io studiavo l’ebraico e cominciavo
a scoprire la realtà di Gerusalemme, e quella fu un’occasione per
entrare in contatto anche con coetanei arabi. Poi nel campus c’erano
studenti stranieri non ebrei, nuovi immigrati, tra cui diversi ragazzi
italiani, gli stessi israeliani. Vivevamo con spensieratezza, ricordo
epiche partite di pallone”. Poi qualcosa comincia a cambiare. Ci sono
scontri al confine con la Siria, che dalle alture del Golan bombardava
il territorio israeliano. Fino a che non si arriva al giorno di Yom
HaAtzmaut, la festa per il Giorno dell’Indipendenza. “Si era nel maggio
del 1967. Come ogni anno, si tenne la parata militare nel Bloomfield
Stadium dell’Università ebraica di Gerusalemme. Oltre ai soldati, fu
fatta sfilare una jeep che trainava un piccolo rimorchio con sopra un
cannoncino, che il pubblico guardò con un sorriso misto a un po’ di
commiserazione. Mai avremmo immaginato quello che stava per succedere”.
Rossella Tercatin
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il punteggio attribuito all'economia israeliana da moody's
Solido e affidabile, un Paese che merita l'A+
Di
recente l’agenzia di rating Moody’s ha confermato il rating “A+” allo
Stato d’Israele, un “punteggio” che equivale a giudizio
complessivamente molto favorevole: esso rappresenta il quinto di dieci
voti “utili” (la Germania ha il primo, gli USA il secondo, l’Italia il
decimo). Poiché il rating di un paese rappresenta un giudizio
dell’affidabilità di un debitore (nella fattispecie il Tesoro
israeliano, che emette obbligazioni) può essere interessante esaminare
in dettaglio quelli che l’agenzia considera i punti di forza e di
debolezza del "debitore Israele".
Secondo Moody’s i punti di forza di Israele come emittente di titoli di
Stato sono numerosi. In primo luogo il consolidarsi del suo status di
economia ad alto reddito medio, che nel contempo riesce a mantenere
anche elevati ritmi di crescita. In secondo luogo, l’essere una
economia competitiva e flessibile, che ha saputo assorbire senza
scossoni numerosi shock economici e politici interni ed esterni. In
terzo luogo, i conti con l’estero molto solidi: un elevato avanzo
commerciale, un debito estero basso, un elevato volume di investimenti
israeliani all’estero. Infine, l'avere a disposizione una ampia e
fedele platea di investitori sia interni sia esteri.
Aviram Levy, economista
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dopo le richieste degli usa
Bibi, questione d'equilibrio
Nel
giro di poche ore il governo israeliano ha preso due importanti
decisioni sulle colonie in Cisgiordania, cioè comunità israeliane
costruite in terra palestinese non riconosciute dalla maggior parte
della comunità internazionale.
Giovedì il governo ha approvato la costruzione di una nuova colonia,
che sarà chiamata Geulat Zion e sarà situata vicino alla colonia di
Shilo, a nord di Ramallah, la capitale amministrativa dello stato
palestinese. Geulat Zion sarà la prima colonia costruita dallo stato
israeliano da circa 25 anni a questa parte, ma le circostanze della sua
nascita sono piuttosto straordinarie: sarà fondata come “risarcimento”
da parte del governo per gli abitanti di Amona, un insediamento non
autorizzato evacuato all’inizio di febbraio dopo una sentenza della
Corte suprema. Poche ore più tardi un Consiglio dei ministri ristretto
tra chi si occupa di sicurezza ha approvato informalmente una politica
più moderata riguardo l’espansione delle colonie esistenti, su
esplicita richiesta dell’amministrazione statunitense (che già da
settimane stava insistendo su questo punto col governo israeliano).
Il Post
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contro le minacce di hamas
Per un Pesach in sicurezza
“Non
c’è dubbio che le organizzazioni terroristiche, in particolare Hamas,
cercheranno di minacciare la stabilità e di effettuare nuovi attacchi.
Il nostro obiettivo è quello di consentire a tutta Israele di passare
delle festività tranquille”. A parlare un alto funzionario dello Shin
Bet, il servizio di intelligence interno di Israele, dopo l'attacco
palestinese sventato la scorsa settimana a Gerusalemme, nei pressi
della Porta di Damasco. Una zona sensibile, teatro purtroppo di
ripetuti attentati terroristici come dimostra la cronaca delle scorse
ore: sabato un palestinese di 17 anni, armato di coltello, ha infatti
ferito tre persone, tra cui un poliziotto, aggredendoli proprio vicino
alla Porta di Damasco. In uno scontro con le forze di sicurezza
israeliane, l'aggressore è poi stato ucciso. E la guardia rimane alta,
a maggior ragione, come spiegavano dallo Shin Bet, in prossimità della
festività di Pesach. Il gruppo terroristico di Hamas, che controlla la
Striscia di Gaza, ha annunciato che si vendicherà contro “gli agenti
israeliani nelle prossime ore e nei prossimi giorni” come risposta
all'uccisione di un suo ufficiale che, secondo il movimento
terroristico, sarebbe stato eliminato da Israele.
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