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28 APRILE 2017
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storia

Il Risorgimento nei diari di due ragazzi

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I sentimenti, le abitudini, i pensieri di Giuseppe Luzzatto e Amalia Cantoni, negli anni in cui si realizza l’Unità d’Italia, sono al centro dei Diari risorgimentali: due ragazzi ebrei si raccontano. Fresco di stampa per Salomone Belforte & C., il volume, curato da Clotilde Pontecorvo e Asher Salah, è stato presentato per la prima volta in pubblico, a Ferrara, su iniziativa del Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah, in collaborazione con la Comunità ebraica e con la libreria Sognalibro, che ha ospitato l’appuntamento.
Il diario della veneziana Amalia Cantoni (1846-1931), sorella dello scrittore Alberto e zia in secondo grado della scrittrice Laura Orvieto, descrive un soggiorno di vari mesi, tra il 1863 e il 1864, a Pomponesco, nel contado mantovano. Quello del padovano Giuseppe Luzzatto (1849-1916), figlio dell’ebraista Samuel David, contiene invece il resoconto di due viaggi a Gorizia, Trieste e Venezia, avvenuti tra il 1861 e il 1862.

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moked 2017

Crescere insieme con eMMeMMe

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Al Moked primaverile, l’annuale appuntamento di incontro e confronto dell’ebraismo italiano che si tiene a Milano Marittima come ogni anno stanno confluendo nella località balneare romagnola anche i giovani partecipanti a eMMeMMe, l’evento dedicato ai ragazzi tra i dodici e i diciassette anni.
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25 aprile

In marcia con l'Hashomer

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Sono tanti i giovani che hanno partecipato in tutta Italia alle manifestazioni per il 25 aprile, e da diversi anni a Milano l’Hashomer Hatzair è presente con un suo striscione. Quest’anno i ragazzi del Ken Holit, guidati dallo Shaliach Yahal Linternari, hanno sfilato anche con la bandiera della Brigata Ebraica.
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maternità

Pentirsi di essere madre

“Li chiamo, mi preoccupo, naturalmente sto in ansia per loro, organizzo pranzi e cene, ci parlo, ci gioco. Mentre sto lì però non faccio che pensare: quand’è che finisce? Quand’è che posso andare a letto a leggermi un libro?”. Questa è Tirtza, una delle ventitré “madri pentite” ascoltate dalla sociologa israeliana Orna Donath nel suo libro-bestseller tradotto ora in italiano con il titolo “Pentirsi di essere madri”, per Bollati Boringhieri. Sono molte forse le madri che si riconoscono nelle parole di Tirtza, ma non tutte, alla domanda “Se tornassi indietro, rifaresti i figli?” risponderebbero, senza dubbio alcuno, un definitivo e secco “No”. Il libro di Orna Donath, che ha già provocato polemiche negli Stati Uniti, in Germania e Spagna, racconta di loro, donne che se potessero tornare indietro non sceglierebbero la maternità, donne che si dichiarano insofferenti al solo pensiero dei figli, e che però spesso sono costrette al silenzio. Perché confessare questo genere di scarsa predisposizione – o peggio il proprio pentimento – è ancora un tabù.

Orna Donath, perché ha deciso di scrivere questo libro?
Al termine del mio primo studio, condotto tra il 2003 e il 2007, su donne e uomini ebrei israeliani che non volevano diventare genitori, sono rimasta colpita da una frase che veniva rivolta prevalentemente alle donne: “Te ne pentirai, ti pentirai di non essere diventata madre”..

Francesca Sforza per La Stampa

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salute

Il dolore dei bambini

“Nonostante ormai si sappia che i bambini fin dalla ventitreesima settimana sentono lo stimolo doloroso e che fino ai tre anni un dolore protratto può creare danni irreversibili, il dolore dei bambini continua a essere banalizzato; il terremoto che investe una famiglia con un bimbo inguaribile e l’importanza, anche con i bambini, di una comunicazione onesta; il ritardo nell’accesso alle cure palliative e la carenza di hospice pediatrici nel nostro paese. Fran­ca Be­ni­ni, pe­dia­tra in­ten­si­vi­sta, ane­ste­si­sta, è re­spon­sa­bi­le del Cen­tro re­gio­na­le di ri­fe­ri­men­to per la re­gio­ne Ve­ne­to per la te­ra­pia del do­lo­re, le cu­re pal­lia­ti­ve pe­dia­tri­che e l’ho­spi­ce pe­dia­tri­co”Ca­sa del Bam­bi­no” di Pa­do­va.

Lei da an­ni de­nun­cia una ba­na­liz­za­zio­ne del do­lo­re in am­bi­to pe­dia­tri­co.
Il do­lo­re è un pro­ble­ma vec­chio co­me il mon­do. Og­gi il do­lo­re è as­so­cia­to al­la fra­gi­li­tà, al­la pau­ra, al­l’an­sia, e quan­do si trat­ta di bam­bi­ni non osia­mo nem­me­no no­mi­nar­lo. Que­sto mo­do di ap­proc­cia­re il do­lo­re, che è cul­tu­ra­le, si as­so­cia a un’i­dea del­la me­di­ci­na co­me scien­za sal­vi­fi­ca. No­no­stan­te si par­li tan­to di qua­li­tà del­la vi­ta e del­l’as­si­sten­za, re­si­ste l’i­dea che una me­di­ci­na che non sal­va la vi­ta ha po­co va­lo­re. Ec­co al­lo­ra che noi qui ci tro­via­mo di fron­te a due gros­si pro­ble­mi. Il pri­mo è che par­lia­mo di un ar­go­men­to sco­mo­do co­me il do­lo­re, e il se­con­do è che par­lia­mo del bam­bi­no. Mes­si as­sie­me, que­sti due in­gre­dien­ti fan­no una bom­ba.

Barbara Bertoncin per Unacittà


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