Elia Richetti,
rabbino
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Dalla
descrizione del culto che si svolgeva nel Beth Ha-Miqdàsh il giorno di
Kippur impariamo che il Kohèn Gadòl confessava e chiedeva perdono per
le proprie colpe e per quelle della sua famiglia e della sua tribù, e
solo dopo per quelle di tutto il popolo.
È stato osservato da qualche Maestro che coloro che si occupano della
collettività dovrebbero capire da questo che è impensabile fare il bene
del pubblico se non si è rimediato prima ai propri errori privati,
perché una propria manchevolezza nel privato costituisce una breccia
nella difesa e nella promozione del bene collettivo.
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Sergio
Della Pergola,
Università
Ebraica
di Gerusalemme
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La
foto è sbiadita ma è di storica importanza. Era il maggio del 1967. Nel
corso della sfilata militare del 19simo Yom Ha’atzmaut allo stadio
dell’Università Ebraica di Gerusalemme gremito di folla, proprio verso
la fine apparvero due camionette che trainavano due sparuti cannoncini.
Per direttiva del primo ministro Levi Eshkol, la parata doveva essere
limitata con meno militari e meno mezzi del solito. Gli addetti
militari stranieri si erano rifiutati di presenziare. Il pubblico che
fino a quel momento aveva visto solamente bei ragazzi e belle ragazze
in divisa sfilare armati al massimo di un fucile era impaziente di
vedere qualche arma vera. Finalmente, le due sparute bocche da fuoco,
ognuna scortata da quattro uomini. Ricordo la delusione in tribuna,
perfino qualche sorriso di commiserazione. È tutto qui il grande Zahal?
Quella sera stessa il governo della Giordania presentava una protesta
sostenendo che Israele aveva contravvenuto alle regole dell’armistizio
che imponevano la demilitarizzazione di Gerusalemme. Il president
Nasser dava ordine all’esercito egiziano di entrare nella penisola del
Sinai, fino a quell momento anch’essa demililtarizzata. Era iniziata la
conta alla rovescia che avrebbe portato di lì a poche settimane alla
Guerra dei Sei Giorni.
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'Basta aiuto ai terroristi'
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Per
Donald Trump l’incontro con il leader palestinese Mahmoud Abbas di ieri
è stato il primo da quando è alla guida della Casa Bianca. I due si
sono incontrati a Washington e Trump ha dichiarato che il suo obiettivo
e “creare la pace tra israeliani e palestinesi e ci riusciremo”,
proponendosi come “mediatore, arbitro o facilitatore”, purché “cessino
l’incitamento alla violenza e gli aiuti finanziari alle famiglie dei
terroristi” (Corriere della Sera). Abbas per parte sua, riporta La
Stampa, ha apprezzato i toni di Trump, tanto da confidare al presidente
Usa che “Con lei alla presidenza abbiamo di nuovo una speranza” e
ribadendo che per la pace l’unica strada “è la soluzione due popoli due
Stati”. Il leader palestinese però, come ricorda il quotidiano
torinese, non gode dell’appoggio della base che invece vorrebbe il
pluriomicida Marwan Barghouti, in carcere in Israele, alla guida
dell’Anp. Da Gerusalemme fanno sapere che in ogni caso non ci si può
fidare di Mahmoud Abbas e intanto si attende la visita di Trump
prevista per il 22 maggio: in quell’occasione, il Presidente Usa
potrebbe annunciare lo spostamento dell’ambasciata da Tel Aviv alla
Capitale israeliana.
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La francia verso il ballottaggio L'appello dei leader religiosi:
'Macron unica scelta possibile' Nelle
ore che possono dare un chiaro indirizzo al futuro della Francia e
dell’Europa, alla vigilia di scelte decisive per la difesa della
democrazia, delle libertà e dei diritti fondamentali, alcuni tra i
principali leader religiosi d’Oltralpe hanno deciso di inviare un
messaggio congiunto agli elettori.
L’invito, in vista del voto di domenica prossima, è a far sì che il 7
maggio a vincere sia la Francia “generosa, tollerante e aperta al
mondo”. A firmare l’appello il Gran Rabbino Haim Korsia, il presidente
del Consiglio del culto islamico Anouar Kbibech e il pastore
protestante Francois Clavairoly.
“Fare opposizione al Fronte Nazionale non è più sufficiente. È
fondamentale ricordare, con una voce unica, i fondamenti umanistici che
ci motivano e per i quali agiamo quotidianamente” sottolineano i tre
leader nel loro messaggio, diffuso questa mattina.
“Nessun valore è superiore alla pace e solo il voto repubblicano per
Macron può dare forza a una Francia solida nelle sue radici e fiduciosa
del suo futuro e del suo ruolo nel mondo. Siamo ben consapevoli che il
nostro lavoro ci imporrebbe la neutralità politica – scrivono Korsia,
Kbibech e Clavairoly – ma prima di tutto siamo cittadini responsabili.
Per questo il nostro appello è così chiaro”.
A prendere una nuova volta posizione anche Francis Kalifat, presidente
del Conseil representatif des institutions juives de France, autore
oggi di un editoriale pubblicato da Le Figaro. “Marine Le Pen – scrive
Kalifat – è la candidata dell’odio, una candidata spericolata nelle sue
scelte, capace di promettere una cosa e il suo contrario”.
Kalifat ricorda inoltre l’eredità del padre Jean Marie, le
frequentazioni negazioniste e antisemite di vari rappresentanti del
Fronte Nazionale. In gioco, afferma il presidente del Crif, c’è la
continuità stessa di una vita ebraica in Francia. Anche per questo, per
evitare un “cataclisma”, c’è una sola possibilità. Votare Macron.
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qui genova - l'iniziativa a palazzo ducale Gramsci e la questione ebraica
Voci di studiosi a confronto È
il 1931 quando nelle sale italiane esce Due mondi, film del regista
Ewald André Dupont (nell’immagine). Un film che racconta di un amore
impossibile tra un tenente austriaco e una ragazza polacca. Come
racconta sull’ultimo numero di Pagine Ebraiche attualmente in
distribuzione (Maggio 2017) lo storico Alberto Cavaglion, nel vedere la
pellicola, Tania Schucht, cognata di Antonio Gramsci, resta sconvolta e
ne parla, per via epistolare, proprio con Gramsci, detenuto in carcere,
e con Piero Sraffa, emigrato a Londra. Uno scambio di lettere che
Cavaglion definisce come uno “dei dialoghi più emozionanti della
cultura italiana del Novecento” e su cui lo storico, assieme a Luca
Borzani, Ermanno Taviani e Flavio Tuliozi, discuterà oggi a Genova a
Palazzo Ducale (Sala del Munizioniere, ore 17.30) in occasione
dell’incontro “I due mondi – Gramsci, il cinema e la questione
ebraica”. Per l’occasione sarà proiettato anche il film di Dupont, di
cui Tuliozi – che ha avuto il merito di recuperare la pellicola –
racconta la storia e le vicende sul giornale dell’ebraismo italiano, e
di cui riproponiamo qui il testo, assieme a quello di Cavaglion.
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il comune di arezzo e la difficile memoria
La mozione della vergogna:
"Un luogo per i Viva Maria" È
destinata a far parlare la proposta del Consigliere comunale della Lega
Nord ad Arezzo, Egiziano Andreani, principale promotore di una
iniziativa che sarà presa in esame lunedì 8 maggio dal Consiglio stesso
(governato da un’amministrazione di centrodestra) e che punta a far
attribuire “un luogo significativo della città” ai Viva Maria, i
protagonisti dell’insurrezione antifrancese che tra 1799 e 1800 fu
artefice di molte violenze in Toscana.
Aderirono ai Viva Maria gli artefici del rogo che il 28 giugno del 1799
arsero vivi tredici ebrei senesi in pubblico, in Piazza del Campo, dopo
che alcuni fanatici avevano fatto irruzione nel vecchio ghetto. Un vero
e proprio pogrom. “Vittime della reazione antigiacobina e dell’odio
antiebraico” si legge nella targa successivamente affissa, ancora oggi
memoria viva di quella carneficina. Fu a causa dei Viva Maria, che la
fiorente comunità ebraica residente lasciò Monte San Savino per non
farvi più ritorno.
Nel 2007, l’allora sindaco di centrosinistra Giuseppe Fanfani fece
rimuovere dalla toponomastica cittadina il nome dei Viva Maria.
Oggi,
dieci anni dopo, basandosi su ricerche di “studiosi locali” che
disconoscono il ruolo dell’insurrezione aretina dai quei fatti di
sangue, c’è chi prova a riscrivere ancora una volta la Storia.
Preoccupazione è stata espressa dai vertici della Comunità ebraica
fiorentina. In particolare dal presidente Dario Bedarida, ieri ad
Arezzo insieme al segretario generale Emanuele Viterbo per tentare una
mediazione che appare molto difficile. Leggi
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qui milano - l'indagine dell'ame
I più giovani e l'alimentazione,
una ricerca per fare chiarezza
Sarà
presentata questa sera, nei locali della scuola della Comunità ebraica
di Milano, un'indagine alimentare realizzata sui ragazzi che
frequentano l'istituto. Un'iniziativa organizzata dall'Associazione
medica ebraica assieme alla Comunità e alle Scuole della Milano
ebraica, che vedrà tra i relatori Maurizio Turiel, primario di
cardiologia presso l’IRCCS Istituto Galeazzi, e Matteo Briguglio,
dietista presso lo stesso istituto. Moderatore dell'incontro, il
presidente dell'Ame Milano David Fargion.
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Setirot - Legge e legalità
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Leggo
l’interessante supplemento che La Rassegna Mensile di Israel ha voluto
dedicare agli atti del convegno “Legge e legalità. Le armi della
democrazia – Dalla memoria della Shoah a una integrazione dei diritti
dell’Uomo dell’Unione Europea” (gennaio 2017). Un lungo passaggio della
relazione di Haim Baharier dedicata ai diritti dell’uomo nella
tradizione ebraica mi colpisce e mi interroga. Perché, riguardo alla
Memoria, se da un lato Baharier sottolinea questo impegno cardine della
nostra tradizione, ch’è anche portatrice di una sua profonda e
specifica peculiarità, dall’altro sembra condividere, a modo suo,
talune critiche che da anni alcuni di noi rivolgono ai rituali del 27
gennaio. In quel “a modo suo” ci sta tutta la dirompente perenne
“provocazione” che l’ermeneuta biblico elargisce a piene mani
Stefano Jesurum, giornalista
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In ascolto - Tico Tico
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Francisco
Gustavo Sánchez Gómez non è certo un nome adatto a chi desideri avere
successo nel mondo dello spettacolo (troppo lungo, troppo anonimo) e in
effetti Francisco Gustavo Sánchez Gómez, nato nel 1947 in un paesino
del sud della Spagna, ha fatto la storia del flamenco con il nome Paco
de Lucia, un omaggio alla mamma. Ancora piccolino veniva costretto a
esercitarsi per ore quotidianamente; il papà era un valente chitarrista
ed era determinato a crescere ottimi musicisti. A soli 14 anni fa la
sua prima incisione, a 15 calca le scene a New York e a 20 prende parte
al festival jazz di Berlino, in cui conosce a ascolta Miles Davis e
Thelonious Monk; l’incontro con i due giganti del jazz si rivelerà
determinante per la sua vita e il suo modo di suonare.
Maria Teresa Milano
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Difendere la democrazia
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Ci
rimproverano alcuni non ebrei di non riuscire più a distinguere le
posizioni dell’Ambasciata d’Israele da quella delle Comunità ebraiche.
È vero, da un lato, che negli ultimi anni è aumentato l’impegno degli
ebrei nel difendere le ragioni d’Israele (insieme alla necessità di
farlo). Si interviene sui vari temi con decisione e con identità di
visione da ogni parte d’Italia, quando prima non era così. In cosa
sbaglia allora chi ci accusa? Nel non capire innanzitutto che esistono
identità complesse, che in un mondo globalizzato ciascuno di noi si
sente in diritto di intervenire su questioni lontane, vedi elezioni
francesi o americane.
Daniel Funaro
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Gli ebrei integrali e gli altri
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“Io
sono un ebreo che non va al tempio di sabato, che non conosce
l’ebraico, che non osserva alcuna pratica di culto […] eppure io tengo
al mio ebraismo e voglio tutelarlo […] Non sono sionista: non sono
dunque un ebreo integrale. Per i sionisti, per gli ebrei integrali, non
c’è che un solo problema, quello ebraico”. Così parlava Nello Rosselli
nel novembre 1924, durante il IV Convegno giovanile ebraico di Livorno.
“Mi dico ebreo”, proseguiva Rosselli, “perché è indistruttibile in me
la coscienza monoteistica”, perché ebraismo significa “vivissimo senso
della responsabilità personale”, “ingiudicabilità da altri che dalla
mia coscienza, da Dio”, ripugnanza per “ogni pur larvata forma di
idolatria”, “senso religioso della famiglia”, amore “per tutti gli
uomini”.
Giorgio Berruto
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Pregiudizi
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Vero
è che la storia non si fa con i se, ma ciò permette di vedere altre
prospettive escluse dalla strada percorsa. E talvolta di rovesciare i
termini della questione, come in uno dei tanti arricchimenti ricevuti
da questo Moked di Milano Marittima 5777.
Sara Valentina Di Palma
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