la
brusca chiusura dell'emittente pubblica radiotelevisiva
La
riforma dell'informazione di Stato: voluta, votata e infine contestata
Pezzi di Israele che scompaiono. Così è
stata percepita la brusca fine di Mabat LaHadashot, il telegiornale
della televisione statale israeliana (Canale 1), chiuso dopo quasi
mezzo secolo di onorato servizio. Lacrime in diretta televisiva sono
state versate da alcune conduttrici e giornaliste, e in molti non hanno
nascosto la rabbia per la modalità con cui è stata annunciata la
chiusura: perché se tutti sapevano che il giorno di mettere le cose
negli scatoloni sarebbe arrivato presto a causa della riforma che
coinvolge tutta l'IBA, la Israeli Broadcasting Authority - ovvero
l’ente della tv pubblica israeliana – nessuno pensava a un preavviso di
sole due ore. “Che cosa siamo, criminali?”, lo sdegno espresso dal
giornalista Yaakov Ahimeir, giornalista considerato una delle colonne
di Mabat. “È stato come aver demolito una casa – ha commentato Haim
Yavin, anchorman dell'edizione serale del tg dal 1968 al 2008 – Puoi
farmi andare via da Mabat ma non puoi far andar via Mabat da me”, la
chiosa di Yavin.
Anche un'altra emittente storica, la radio Kol Israel, è stata toccata
dalla riforma: dopo 81 anni la Voce d'Israele (traduzione di Kol
Israel) ha smesso di accompagnare le giornate degli israeliani.
“Riprenderà a trasmettere ma non è ancora chiaro quale sarà la sua
programmazione – spiega a Pagine Ebraiche Amit Schejter, capo del
dipartimento di Scienze della Comunicazione della Ben Gurion University
e con un passato all'interno dell'IBA – In realtà tutta questa riforma
non è chiara. Era partita con le migliori intenzioni, ma poi è stata
modificata e ora è un pacchetto confuso e pieno di errori”. La casa-IBA
spiega Schejter, da tempo infatti voleva essere se non demolita,
profondamente ristrutturata.
Daniel Reichel
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lo shin bet monitora i social network per contrastare le minacce
I terroristi si fermano (anche) con i big data
Il
2 dicembre 2015, Tashfeen Malik e il marito Syed Rizwan Farook fanno
fuoco sui colleghi di quest’ultimo al party natalizio dell’Inland
Regional Center di San Bernardino, California, dove l’uomo lavora come
ispettore sanitario. Quattordici persone rimangono uccise e oltre venti
ferite. Qualche settimana dopo, suscita indignazione la notizia che
Malik, che aveva ottenuto il visto per entrare negli Stati Uniti
proprio per sposare Farook, cittadino americano originario come lei del
Pakistan, aveva postato sui propri profili dei social network messaggi
inneggianti alla jihad, che nonostante gli approfonditi controlli
dell’autorità per l’immigrazione non erano in precedenza emersi.
Nell’era della condivisione di vita, immagini e opinioni su internet,
le simpatie per radicalismi e terrore spesso non fanno eccezione. E
così, per i servizi di intelligence, monitorare nel modo più esaustivo
possibile quanto pubblicato nel mare dei nuovi media diviene una sfida
fondamentale, soprattutto per la prevenzione. Un lavoro che costituisce
uno dei capisaldi delle forze di sicurezza israeliane. Secondo quanto
riportato in un recente articolo di Haaretz, sono stati centinaia i
potenziali attacchi evitati in meno di un anno, con 2200 palestinesi
fermati nelle loro fasi preparatorie dallo Shin Bet (servizio per gli
affari interni) o dall’intelligence militare, e altrettanti nominativi
trasmessi alle forze di sicurezza dell’Autorità nazionale palestinese
perché li gestissero direttamente.
Rossella Tercatin
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il
giurista Hanina Ben-Menahem spiega il sistema israeliano
Lo
Stato e il pluralismo del diritto ebraico
Hanina
Ben-Menahem si è formato alla facoltè di Legge della Hebrew
University, dove ora insegna, e a Oxford, dove ha ottenuto il suo
dottorato. È specialista in filosofia del diritto e in filosofia del
Mishpat ivri [diritto ebraico]. Gli interessi di Ben-Menahem, giurista
e filosofo, spaziano da Nietzsche al Rambam senza trascurare gli
aspetti di attualità legati a Israele. È proprio attraverso questo
intrecciarsi di competenze teoretiche e preoccupazioni di carattere
sociale che Ben-Menahem mostra l’attualità e l’interesse, anche per
l’ebraismo secolare, dei temi provenienti dal Mishpat ivri.
Professore, lei ha
sostenuto il carattere pluralista del diritto ebraico, cosa si intende
con questo? E, prima ancora, come definiamo il diritto ebraico rispetto
alla tradizione orale [Torà she-be-al pe] che già presentava un
chiaro côté normativo?
La storia del diritto ebraico ha 2000 anni, tutto quello che c’è stato
prima, nell’epoca biblica e in quella successiva fino all’inizio
dell’Era Volgare non è considerato tale perché non abbiamo sufficienti
conoscenze storiche di quel periodo, per cui si parla di diritto
ebraico a partire dall’epoca della Mishnà. Da quel momento in poi esso
si evolve, come vediamo dai due Talmudim, e tale evoluzione prosegue
nel periodo dei Gheonim e successivamente nei differenti centri in
Europa e in Africa settentrionale. Fino alla fondazione dello Stato di
Israele il diritto ebraico si è sviluppato sotto il dominio di potenze
straniere, si parlava solo di diritti che venivano concessi alle
diverse comunità di giudicare i propri appartenenti secondo le proprie
istituzioni. Il mishpat ivri è maturato nella vastità della Diaspora,
attraverso forme molto differenti tra loro. Non è quindi possibile
parlare di un unico diritto ebraico, ma di una pluralità di versioni,
nello spazio e nel tempo, con un denominatore comune. L’idea
fondamentale che, a mio giudizio, ha apportato alla filosofia del
diritto è proprio l’istanza comunitaria, la possibilità di parlare di
pluralismo giudiziario all’interno di un unico sistema. Ciò non è
facilmente accettabile per il pensiero giuridico moderno dove è
privilegiata la centralizzazione, ove si deve avere una Corte suprema
che stabilisca cosa devono fare gli organismi inferiori..
Cosimo Nicolini Coen
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l'esperto israeliano di energia
'Il futuro? È ecosostenibile'
Israele
deve puntare in 20 anni a passare più di metà del suo parco macchine ai
combustibili alternativi, in particolare veicoli elettrici, sfruttando
il gas naturale, di cui e' ricco, e le energie rinnovabili.
È la visione fortemente sostenuta da Amit Mor, amministratore delegato
di Eco Energy, societa' di consulenza finanziaria e strategica, esperto
israeliano in campo energetico, da quasi 30 anni consigliere di
governi, imprese e istituzioni, pubbliche e private. Parlando con AGI,
Mor ha spiegato punto per punto gli argomenti a favore.
"Siamo un Paese piccolo, un''isola' che non è connessa ne' con i Paesi
arabi né con l'Europa, a forte vocazione imprenditoriale, con 3 milioni
di mezzi in circolazione e ingenti riserve di gas", grazie alla
scoperta nel 2009-2010 dei giacimenti Tamar e Leviathan, quest'ultimo
considerato tra i maggiori nel Mediterraneo. Ecco perché, di fronte al
"problema del cambiamento climatico", il governo israeliano deve
"indirizzare molti dei suoi sforzi" a promuovere la 'Clean
Transportation Vision', "per dimostrare a se stesso e al mondo che in
15/20 anni è possibile passare piu' della metà del parco macchine a
combustibili alternativi", puntando in primis sulle "auto elettriche".
Cecilia Scaldaferri, Agi
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il padiglione israele a venezia
Gal conquista la Biennale
Gal
Weinstein, artista apprezzato e noto per i suoi lavori spesso critici
della politica di Israele, rappresenta quest’anno Israele alla Biennale
di Venezia con una mostra intitolata Sun Stand Still. L’immensa opera
site-specific sarà esposta nel Padiglione progettato dall’architetto
Zev Rechter nello spirito della Bauhaus, inaugurata proprio alla
Biennale di Venezia nel 1952. Rechter è stato il primo architetto
israeliano a utilizzare il linguaggio del modernismo universale in
Israele prima della fondazione dello stato e dopo l’indipendenza.
Lo stile internazionale dell’architettura modernista, che giunse in
Israele grazie agli architetti ebrei europei, era estremamente
compatibile con la funzionalità e semplicità proprie di quel periodo
storico. L’estetica affusolata delle linee dritte e sobrie si adatta
alla perfezione all’utopia sionista e agli ideali socialisti di quel
tempo. Il padiglione israeliano a Venezia comprenderà nuove opere
site-specific che rappresentano “l’evoluzione” del corpus più recente
di Gal.
L’artista ci spiega come è cambiata la sua vision in questa intervista.
Rachel Vancelette, Vogue
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