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14 maggio 2017 - 18 Iyar 5777
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la brusca chiusura dell'emittente pubblica radiotelevisiva

La riforma dell'informazione di Stato:
voluta, votata e infine contestata

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Pezzi di Israele che scompaiono. Così è stata percepita la brusca fine di Mabat LaHadashot, il telegiornale della televisione statale israeliana (Canale 1), chiuso dopo quasi mezzo secolo di onorato servizio. Lacrime in diretta televisiva sono state versate da alcune conduttrici e giornaliste, e in molti non hanno nascosto la rabbia per la modalità con cui è stata annunciata la chiusura: perché se tutti sapevano che il giorno di mettere le cose negli scatoloni sarebbe arrivato presto a causa della riforma che coinvolge tutta l'IBA, la Israeli Broadcasting Authority - ovvero l’ente della tv pubblica israeliana – nessuno pensava a un preavviso di sole due ore. “Che cosa siamo, criminali?”, lo sdegno espresso dal giornalista Yaakov Ahimeir, giornalista considerato una delle colonne di Mabat. “È stato come aver demolito una casa – ha commentato Haim Yavin, anchorman dell'edizione serale del tg dal 1968 al 2008 – Puoi farmi andare via da Mabat ma non puoi far andar via Mabat da me”, la chiosa di Yavin.
Anche un'altra emittente storica, la radio Kol Israel, è stata toccata dalla riforma: dopo 81 anni la Voce d'Israele (traduzione di Kol Israel) ha smesso di accompagnare le giornate degli israeliani. “Riprenderà a trasmettere ma non è ancora chiaro quale sarà la sua programmazione – spiega a Pagine Ebraiche Amit Schejter, capo del dipartimento di Scienze della Comunicazione della Ben Gurion University e con un passato all'interno dell'IBA – In realtà tutta questa riforma non è chiara. Era partita con le migliori intenzioni, ma poi è stata modificata e ora è un pacchetto confuso e pieno di errori”. La casa-IBA spiega Schejter, da tempo infatti voleva essere se non demolita, profondamente ristrutturata.

Daniel Reichel


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lo shin bet monitora i social network per contrastare le minacce

I terroristi si fermano (anche) con i big data

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Il 2 dicembre 2015, Tashfeen Malik e il marito Syed Rizwan Farook fanno fuoco sui colleghi di quest’ultimo al party natalizio dell’Inland Regional Center di San Bernardino, California, dove l’uomo lavora come ispettore sanitario. Quattordici persone rimangono uccise e oltre venti ferite. Qualche settimana dopo, suscita indignazione la notizia che Malik, che aveva ottenuto il visto per entrare negli Stati Uniti proprio per sposare Farook, cittadino americano originario come lei del Pakistan, aveva postato sui propri profili dei social network messaggi inneggianti alla jihad, che nonostante gli approfonditi controlli dell’autorità per l’immigrazione non erano in precedenza emersi. Nell’era della condivisione di vita, immagini e opinioni su internet, le simpatie per radicalismi e terrore spesso non fanno eccezione. E così, per i servizi di intelligence, monitorare nel modo più esaustivo possibile quanto pubblicato nel mare dei nuovi media diviene una sfida fondamentale, soprattutto per la prevenzione. Un lavoro che costituisce uno dei capisaldi delle forze di sicurezza israeliane. Secondo quanto riportato in un recente articolo di Haaretz, sono stati centinaia i potenziali attacchi evitati in meno di un anno, con 2200 palestinesi fermati nelle loro fasi preparatorie dallo Shin Bet (servizio per gli affari interni) o dall’intelligence militare, e altrettanti nominativi trasmessi alle forze di sicurezza dell’Autorità nazionale palestinese perché li gestissero direttamente.

Rossella Tercatin


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il giurista Hanina Ben-Menahem spiega il sistema israeliano

Lo Stato e il pluralismo del diritto ebraico

img headerHanina Ben-Menahem si è formato alla facoltè di Legge della Hebrew University, dove ora insegna, e a Oxford, dove ha ottenuto il suo dottorato. È specialista in filosofia del diritto e in filosofia del Mishpat ivri [diritto ebraico]. Gli interessi di Ben-Menahem, giurista e filosofo, spaziano da Nietzsche al Rambam senza trascurare gli aspetti di attualità legati a Israele. È proprio attraverso questo intrecciarsi di competenze teoretiche e preoccupazioni di carattere sociale che Ben-Menahem mostra l’attualità e l’interesse, anche per l’ebraismo secolare, dei temi provenienti dal Mishpat ivri.

Professore, lei ha sostenuto il carattere pluralista del diritto ebraico, cosa si intende con questo? E, prima ancora, come definiamo il diritto ebraico rispetto alla tradizione orale [Torà she-be-al pe] che già presentava un chiaro côté normativo?
La storia del diritto ebraico ha 2000 anni, tutto quello che c’è stato prima, nell’epoca biblica e in quella successiva fino all’inizio dell’Era Volgare non è considerato tale perché non abbiamo sufficienti conoscenze storiche di quel periodo, per cui si parla di diritto ebraico a partire dall’epoca della Mishnà. Da quel momento in poi esso si evolve, come vediamo dai due Talmudim, e tale evoluzione prosegue nel periodo dei Gheonim e successivamente nei differenti centri in Europa e in Africa settentrionale. Fino alla fondazione dello Stato di Israele il diritto ebraico si è sviluppato sotto il dominio di potenze straniere, si parlava solo di diritti che venivano concessi alle diverse comunità di giudicare i propri appartenenti secondo le proprie istituzioni. Il mishpat ivri è maturato nella vastità della Diaspora, attraverso forme molto differenti tra loro. Non è quindi possibile parlare di un unico diritto ebraico, ma di una pluralità di versioni, nello spazio e nel tempo, con un denominatore comune. L’idea fondamentale che, a mio giudizio, ha apportato alla filosofia del diritto è proprio l’istanza comunitaria, la possibilità di parlare di pluralismo giudiziario all’interno di un unico sistema. Ciò non è facilmente accettabile per il pensiero giuridico moderno dove è privilegiata la centralizzazione, ove si deve avere una Corte suprema che stabilisca cosa devono fare gli organismi inferiori..

Cosimo Nicolini Coen



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l'esperto israeliano di energia

'Il futuro? È ecosostenibile'

Israele deve puntare in 20 anni a passare più di metà del suo parco macchine ai combustibili alternativi, in particolare veicoli elettrici, sfruttando il gas naturale, di cui e' ricco, e le energie rinnovabili.
È la visione fortemente sostenuta da Amit Mor, amministratore delegato di Eco Energy, societa' di consulenza finanziaria e strategica, esperto israeliano in campo energetico, da quasi 30 anni consigliere di governi, imprese e istituzioni, pubbliche e private. Parlando con AGI, Mor ha spiegato punto per punto gli argomenti a favore.
"Siamo un Paese piccolo, un''isola' che non è connessa ne' con i Paesi arabi né con l'Europa, a forte vocazione imprenditoriale, con 3 milioni di mezzi in circolazione e ingenti riserve di gas", grazie alla scoperta nel 2009-2010 dei giacimenti Tamar e Leviathan, quest'ultimo considerato tra i maggiori nel Mediterraneo. Ecco perché, di fronte al "problema del cambiamento climatico", il governo israeliano deve "indirizzare molti dei suoi sforzi" a promuovere la 'Clean Transportation Vision', "per dimostrare a se stesso e al mondo che in 15/20 anni è possibile passare piu' della metà del parco macchine a combustibili alternativi", puntando in primis sulle "auto elettriche".

Cecilia Scaldaferri, Agi

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il padiglione israele  a venezia

Gal conquista la Biennale

Gal Weinstein, artista apprezzato e noto per i suoi lavori spesso critici della politica di Israele, rappresenta quest’anno Israele alla Biennale di Venezia con una mostra intitolata Sun Stand Still. L’immensa opera site-specific sarà esposta nel Padiglione progettato dall’architetto Zev Rechter nello spirito della Bauhaus, inaugurata proprio alla Biennale di Venezia nel 1952. Rechter è stato il primo architetto israeliano a utilizzare il linguaggio del modernismo universale in Israele prima della fondazione dello stato e dopo l’indipendenza.
Lo stile internazionale dell’architettura modernista, che giunse in Israele grazie agli architetti ebrei europei, era estremamente compatibile con la funzionalità e semplicità proprie di quel periodo storico. L’estetica affusolata delle linee dritte e sobrie si adatta alla perfezione all’utopia sionista e agli ideali socialisti di quel tempo. Il padiglione israeliano a Venezia comprenderà nuove opere site-specific che rappresentano “l’evoluzione” del corpus più recente di Gal.
L’artista ci spiega come è cambiata la sua vision in questa intervista.



Rachel Vancelette, Vogue  

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