Roberto
Della Rocca,
rabbino
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La
festa di Sukkòt è definita dalla Tradizione “zemàn simchatenu”, “il
tempo del nostro rallegramento”. Come si può essere allegri a comando e
in un tempo stabilito? La gioia, come ogni altro sentimento, è qualcosa
che nasce spontaneamente e che si manifesta attraverso tempi e modalità
che non controlliamo razionalmente. Eppure nell’ebraismo non è proprio
così.
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Dario
Calimani,
Università di Venezia
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Chi
è più pericoloso per la stabilità dell’Occidente e del mondo tout
court? L’estremismo islamico (o l’Islam in sé) o la destra fascista e
neonazista incardinata nei nostri sistemi sociali e politici? È la
domanda che si pongono alcuni intellettuali per puntare il dito contro
la disattenzione della politica nei riguardi del pericolo islamico
portato dalle recenti massicce migrazioni.
Si afferma così che mentre l’informazione di sinistra spinge l’opinione
pubblica a concentrarsi sul falso pericolo rappresentato dal
neofascismo e dal neonazismo, nessuno si accorge della minaccia vera
per l’Occidente: il pericolo islamico. E si vorrebbe, per contro che ci
si concentrasse sul pericolo islamico e si smettesse di prestare troppa
attenzione ai rigurgiti di fascismo e di neonazismo da cui è percorsa
l’Europa in quanto essi sarebbero eccessivamente enfatizzati.
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L'America ferita
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Ampio
spazio sui quotidiani italiani per la strage di Las Vegas, dove un uomo
ha sparato sul pubblico di un concerto, uccidendo 59 persone e
ferendone 527. Nella sua camera – era in albergo da tre giorni e da lì
ha sparato sulla folla – aveva 23 armi da fuoco, tra le quali due
fucili sistemati su treppiedi alla finestra. “Per i primi cinque
secondi abbiamo creduto fossero fuochi d’artificio – racconta la
sopravvissuta Jordin Akins – poi tutti abbiamo cominciato a scappare.
Ma non sapevamo dove rifugiarci, non si capiva da dove venivano gli
spari, non vedevamo che era lassù in alto”. Drammatico, scrive
Repubblica, l’appello della sindaca Carolyn Goodman: “Donate sangue,
non ne abbiamo abbastanza per curare i feriti, questa è un’emergenza
senza precedenti”. L’Isis ha cercato di rivendicare la paternità del
terribile attacco ma Fbi e Cia smentiscono: “non è terrorismo”. Il
massacro di Las Vegas, spiega il Corriere, è la peggiore sparatoria
della storia Usa. “Un atto di pura malvagità” il commento del
presidente Donald Trump.
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qui roma - la mostra al museo ebraico Diritti e doveri del matrimonio,
la parola alle antiche ketubbot
La
prima forma di tutela della donna nell’ebraismo, che all’unione tra
marito e moglie attribuisce una funzione centrale (“Non è bene per
l’uomo essere solo” dice la Genesi). Ma anche un modo diverso, una
prospettiva più originale per guardare alla storia degli ebrei italiani
nelle loro complesse vicende spazio-temporali. Sono le ketubbot, i
contratti matrimoniali stipulati in occasione dello sposalizio, ad
animare la mostra “Concordia maritale” inaugurata al Museo ebraico di
Roma.
Realizzata grazie al sostegno di Poste Italiane, curata dalla studiosa
Olga Melasecchi e introdotta dal rabbino capo rav Riccardo Di Segni,
che ha illustrato storia e specificità dei diversi contratti in uso nel
corso dei secoli (a Roma e non solo), la mostra porta all’attenzione
del pubblico un’antica collezione di esemplari che non ha mancato di
suscitare interesse ed emozione. E insieme immagini fotografiche di
matrimoni d’epoca, documenti d’archivio, libri di preghiera.
Ottantasei
in tutto i contratti di matrimonio in pregiata pergamena di pecora,
scritti a mano e decorati all’acquarello, conservati presso il museo e
l’archivio comunitario. Tra i punti di forza della mostra, 11 Ketubbot
di famiglia ritrovate e attentamente studiate da Celeste Pavoncello
Piperno e Giovanna Grenga. Il loro dono, per il museo, “è testimonianza
non solo del forte legame con la tradizione, ma anche della fiducia
conferita al museo, che è diventato lo scrigno della memoria ebraica a
Roma”. Suggestivo al riguardo l’itinerario tracciato nell’allestimento,
presentato al pubblico anche dalla presidente della Comunità ebraica
romana Ruth Dureghello e dall’amministratore delegato di Poste italiane
Matteo Del Fante. In primo piano ketubbah romana, una vera e propria
arte che raggiunse l’apice del suo splendore nell’epoca del ghetto.
Spicca tra gli altri un esemplare del 1627, concesso eccezionalmente in
prestito dal Museo Israel di Gerusalemme. Vi si celebra il matrimonio
di una delle figlie del banchiere della famiglia Toscano. Al centro del
contratto un elegante portale sostenuto da quattro colonne, sormontato
da una menorà dorata. Ancora più in alto, una visione di Gerusalemme.
È
dalla prima metà del 18esimo secolo, è stato spiegato ieri, che l’arte
della ketubbah raggiunse a Roma i massimi livelli di perfezionamento.
Tra i motivi maggiormente ricorrenti nelle raffigurazioni proposte
scene bibliche e figure allegoriche personificate, oltre a scene e
figure mitologiche. Caratteristiche iconografiche queste che sono
peculiari delle ketubbot romane. Forse poco consone alla tradizione
ebraica, “ma diffusissime nella Roma barocca, ad ulteriore
dimostrazione della continua osmosi tra il ghetto e il resto della
città”.
Il valore sociale delle ketubbot all’epoca era altissimo. Attraverso di
esse infatti le famiglie “non solo manifestavano il proprio status, ma
spessissimo celebravano anche momenti esaltanti di libertà”. Numerosi,
tra gli 86 contratti conservati a Roma, sono decorati con i colori
della bandiera francese (risalenti dunque al favorevole periodo della
dominazione napoleonica a Roma). Molti ancora quelli con i colori della
bandiera italiana, databili al periodo dell’emancipazione, quando con
l’Unità d’Italia, e soprattutto con la fine del potere temporale dei
papi e l’abolizione definitiva del ghetto, gli ebrei romani venivano
finalmente equiparati agli altri loro concittadini.
Per meglio illustrare il fasto della cerimonia di matrimonio,
all’interno della mostra è stata allestita anche una chuppah, il
baldacchino, che rappresenta la coabitazione della nuova coppia, con i
manti nuziali e gli altri ornamenti dedicati.
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Di nuovo Marx
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La
settimana scorsa si sono svolte le elezioni tedesche: sembrava l’evento
geopolitico del 2017 e invece non se ne parla più. Del resto, viviamo
un’epoca che mastica tutto velocemente. Tra i dati emersi –
tralasciando la crisi dei partiti tradizionali, in particolare quello
socialdemocratico – spicca il successo di “Alternative fuer
Deutschland”, il movimento anti-governativo, populista e xenofobo che
ha trionfato nelle periferie e all’Est.
Un’analisi più approfondita del fenomeno sarebbe necessaria. È vero che
le biografie non si traducono automaticamente in pensiero, ma è chiaro
che se di “nazismo” si vuole parlare, una leader donna, lesbica,
sposata con una asiatica e filo-israeliana, configura un profilo di
(sub)cultura politica almeno problematico. Io stesso ricordo, per aver
vissuto in Sassonia tra 2004 e 2005, come gruppi simili non siano nuovi
a notevoli successi elettorali, ma si siano poi rivelati assai fragili
alla distanza, mostrando più che altro una capacità di presa sui ceti
poveri delle campagne, preoccupati dalla crisi che allora mordeva la
Germania più del resto d’Europa.
Tobia Zevi, Associazione Hans Jonas
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Storie - Il Tribunale Speciale |
L’Italia
ha il triste primato di aver inventato il fascismo e di averlo
esportato in tutto il mondo. Benito Mussolini, dopo le elezioni
politiche del 1924 e l’omicidio di Giacomo Matteotti, mise fuori legge
i partiti e perseguitò migliaia di oppositori, assassinandoli,
incarcerandoli, confinandoli o costringendoli ad emigrare all’estero.
Esce ora per i tipi della Galzerano Editore la ristampa del libro Il
Tribunale Speciale Fascista (pag. 144, €. 10), pubblicato nel 1932 a
Parigi dalle Edizioni «Giustizia e Libertà» di Carlo Rosselli, che
veniva inviato clandestinamente in Italia per sostenere la lotta al
fascismo.
Scritto da Gaetano Salvemini, ma pubblicato anonimo, il libro denunzia
le aberrazioni giuridiche e politiche del Tribunale Speciale per la
Difesa dello Stato, istituito da Mussolini nel 1926 per colpire
duramente anarchici, comunisti, socialisti, giellisti, popolari.
Mario Avagliano
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Fake news
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Coloro
che non nutrono un amore esagerato per gli ebrei provano a sostenere
che non vi siano loro radici storiche nell’area mediorientale che
secondo la Bibbia sarebbe stata loro assegnata. Sennonché, apprendiamo
che degli studi genetici hanno chiarito che dall’esame fatto in Israele
del cromosoma Y di 120 fra ebrei sefarditi e askenaziti e quasi 150
arabi israeliani e palestinesi sia scaturito che il 70% degli ebrei e
il 50% degli arabi avevano antenati comuni vissuti migliaia di anni
addietro in Medio Oriente (G. Remuzzi, Siamo figli di tre migrazioni (e
l’etnia dei celti non esiste), La Lettura, supplemento del Corriere
della Sera, 20 agosto 2017, p. 7). Se dopo duemila anni di esilio, gli
ebrei hanno addirittura più legami genetici col Medio Oriente degli
arabi, hai voglia a spostare monumenti e rivisitare la storia.
Emanuele Calò
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