Paolo Sciunnach, insegnante | L’unione
matrimoniale, finalizzata alla procreazione, avviene esclusivamente con
la compartecipazione diretta del Creatore. Tre sono coloro che
partecipano alla creazione di un uomo: Il Santo e Benedetto Egli Sia,
il padre e la madre.
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Anna
Foa,
storica |
Non
era la bandiera del Terzo Reich, cioè quella nazista, ma quella di
guerra del Secondo Reich, in vigore in Germania fino al 1919, e usata
invece di quella nazista che è proibita, dai gruppi neonazisti in tutta
Europa. Parliamo, naturalmente, della bandiera appesa, ben visibile
dall’esterno, in una stanza della caserma dei carabinieri di Firenze
che sta suscitando molte polemiche. Siccome, anche senza la svastica
nazista, quella bandiera non è stata certo appesa là a rappresentare la
volontà di democrazia del carabiniere che l’ha affissa, vorrei, da
storica, suggerire alle autorità, nel momento in cui prenderanno
provvedimenti, di ricordare al Corpo dei Carabinieri, noto per il suo
attaccamento alla sua storia, e al paese tutto ciò che successe nel
1943 ai carabinieri. Infatti il 7 ottobre i carabinieri romani, che non
davano agli occupanti nazisti garanzie di fedeltà al fascismo e che
avevano giurato fedeltà al re, furono disarmati (l’ordine di disarmo fu
firmato dal Maresciallo Graziani) e deportati. Molti morirono in
deportazione. Sarebbe una buona cosa invitare in forma ufficiale a
Firenze, in questo contesto, la storica Annamaria Casavola, che questa
vicenda ha ricostruito in un suo libro. Perché serve anche conoscere e
ricordare la storia. La memoria, senza storia, si sta dimostrando
insufficiente. E questa è una storia ancora poco conosciuta, certamente
ignota al carabiniere di Firenze e ai suoi colleghi della caserma
fiorentina.
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Un fronte comune
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“Un
fronte comune, democratico e antifascista. Partiti, associazioni,
rappresentanti delle istituzioni, comunità ebraiche. Tutti d’accordo
nel chiedere un intervento del Viminale e della magistratura che porti
allo scioglimento dei movimenti neofascisti e neonazisti attivi in
Italia”, racconta Repubblica parlando della mobilitazione di diverse
istituzioni e forze politiche contro i tanti episodi legati al
riemergere della minaccia neofascita. “Basta indugi. Rinnovo il mio
appello al Viminale e alla magistratura affinché agiscano rapidamente e
sciolgano questi movimenti che ripropongono i contenuti e le modalità
tipiche del fascismo”, le parole al quotidiano della Presidente
dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Noemi Di Segni. Intanto a
Firenze è scattata l’inchiesta sul carabiniere che aveva appeso nella
sua stanza una bandiera del Secondo Reich, diventata simbolo
dell’estrema destra, “ma sarà possibile solo l’azione disciplinare”,
spiega il Mattino. Sul Corriere invece il carabiniere, un ventenne di
Rieti, cerca di spiegarsi e sostiene di non sapere “che quel vessillo
fosse un simbolo degli estremisti”.
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pagine ebraiche dicembre 2017 Dall'Intesa alla sfida del Meis,
nuove pagine tutte da sfogliare Solo
poche ore dopo la conclusione di un’intensa giornata, che ha visto i
lavori del Consiglio dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane
focalizzarsi su vari temi di importanza strategica, il numero di
dicembre giornale dell’ebraismo italiano Pagine Ebraiche è in
distribuzione con ampi resoconti dei lavori dell’assise, del
qualificato confronto sul trentennale delle Intese che ha avuto luogo
nel pomeriggio, dell’evento serale dedicato ai cento anni della
Dichiarazione Balfour con cui si aprì la strada per la proclamazione
dello Stato di Israele.
Grande spazio anche a un momento di attualità che lega passato,
presente e futuro della realtà ebraica italiana e che segnerà un
passaggio storico della sua plurimillenaria storia: l’inaugurazione il
prossimo 13 dicembre del Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della
Shoah di Ferrara che apre i battenti e inaugura con la sua prima grande
mostra “Ebrei, una storia italiana. I primi mille anni”. L’ex carcere
di Ferrara, ristrutturato in modo impeccabile per essere adibito alla
nuova destinazione d’uso assegnatagli, si appresta pertanto ad
assumere, in una sorta di contrappasso da luogo di segregazione e di
esclusione, quale è stato per tutta la durata del Novecento e in
particolare negli anni bui del fascismo, il ruolo, quanto mai
significativo, di centro di cultura, di ricerca, di didattica, di
confronto e dialogo e quindi, in una parola, di inclusione” spiega il
presidente della Fondazione MEIS Dario Disegni nelle pagine del Dossier
– curato da Ada Treves – dedicato al museo di Ferrara e alle nuove
sfide che tutti musei ebraici d’Europa sono chiamati a raccogliere,
come emerge da un recente e analitico report commissionato dalla
Rothschild Foundation. Per il Meis la prima missione intanto, complessa
quanto affascinante, sarà “raccontare l’ebraismo, e in modo particolare
la lunga e ricca esperienza degli Ebrei italiani”, sottolinea la
direttrice Simonetta Della Seta. Lo farà con la citata mostra “Ebrei,
una storia italiana. I primi mille anni”, curata da Anna Foa, Giancarlo
Lacerenza e Daniele Jalla e il cui percorso espositivo – si racconta
nelle pagine del Dossier musei – è stato realizzato da Giovanni
Tortelli e Roberto Frassoni. Ma lo farà anche con le proprie mura e con
l’intero progetto museale che sarà completato nel 2020, come racconta
l‘architetto Carla Di Francesco, recentemente nominata nuovo Segretario
Generale del Ministero dei Beni e delle attività culturali e del
Turismo, che è stata Responsabile Unico del procedimento.
Se
il Meis sarà il ponte tra passato e presente ebraico in Italia, quanto
scoperto a Bologna servirà certo a comprenderne meglio la storia: nelle
pagine alte di Pagine Ebraiche si racconta infatti dell’antico cimitero
ritrovato di recente. Per 176 anni è stato il principale luogo di
sepoltura degli ebrei bolognesi ma, dopo le bolle papali della seconda
metà del Cinquecento, è sopravvissuto per secoli solo nel toponimo di
“Orto degli Ebrei”. Ora è tornato ad essere realtà, dopo gli scavi che
hanno portato alla luce oltre 400 sepolture e con loro fatti e vicende
dimenticati e da riscoprire. E da studiare, parola d’ordine anche di un
progetto molto diverso: Fondamenti di Ebraismo, l’iniziativa rivolta a
tutte le comunità ebraiche italiane sotto il coordinamento di Dario
Calimani e del rav Roberto Della Rocca, direttore dell’Area Formazione
e Cultura UCEI. Un format la cui prima lezione è stata un grande
successo e che vuole tenere unita, grazie anche agli strumenti
tecnologici moderni, la realtà ebraica italiana nello studio comune
della Torah. Leggi
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consiglio ucei - il confronto "Intesa, ancora un modello"
A
trent’anni dalla fondamentale stipula dell’Intesa tra Stato italiano e
Unione delle Comunità israelitiche (come si chiamava all’epoca
l’attuale Unione delle Comunità Ebraiche Italiane) l’ebraismo italiano
è tornato a interrogarsi sul significato di quell’accordo. In occasione
della riunione del Consiglio dell’Unione tenutasi a Roma è stato
infatti organizzato un momento di riflessione dedicato proprio
all’anniversario dell’Intesa, momento di svolta epocale nei rapporti
tra Stato e realtà ebraica, che metteva finalmente in atto i principi
stabili dall’articolo 8 della Costituzione dedicata alla libertà di
culto. “L’ebraismo italiano in questi trent’anni – ha spiegato
dell’introduzione all’incontro il vicepresidente UCEI Giulio Disegni –
ha retto ad una sfida importante: dimostrare allo Stato e alla società
che l’essere ebrei è una condizione irrinunciabile e che i diritti e
l’identità ebraica così faticosamente conquistati si esplicano e si
mantengono solo sedendosi paritariamente di fronte allo Stato come fa
qualsiasi altro gruppo o confessione religiosa che intende tutelare e
preservare le proprie specificità e il proprio essere”. Principi non
così scontati come ha ricordato nel suo intervento il giurista
Francesco Margiotta Broglio. “È necessario ricordare alcuni passaggi
del Schermata 2017-12-04 alle 13.26.51lavoro della Costituente
sull’articolo 8 e le reazioni ebraiche per capire il quadro che portò
alle Intese del 1987” ha spiegato Margiotta Broglio, che di
quell’accordo fu uno dei protagonisti, avendo presieduto la commissione
governativa sotto l’egida di Giuliano Amato, allora sottosegretario a
Palazzo Chigi, che negoziò l’Intesa con la commissione dell’Unione
guidata invece dai giuristi Guido Fubini, Vittorio Ottolenghi, Giorgio
Sacerdoti e Dario Tedeschi. Proprio Sacerdoti e Tedeschi durante
l’incontro per ricordare il trentennale dell’Intesa hanno richiamato la
loro esperienza nella commissione per spiegare il significato di quel
passaggio storico. Un antecedente divenuto modello anche per le altre
confessioni religiose, come ha spiegato Roberto Mazzola, docente di
Diritto ecclesiastico e canonico. Leggi
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l'intervento del vicepresidente ucei "Intesa, garanzia di libertà"
Gli
anni Ottanta sono stati testimoni, nel nostro Paese, di una svolta
decisiva nella storia dei rapporti tra lo Stato e le confessioni
religiose. Dopo un quarantennio dall’entrata in vigore della
Costituzione, una parte assai importante
della Costituzione repubblicana, fino ad allora rimasta confinata sul
piano dei princìpi, ha trovato finalmente attuazione sul piano
sostanziale, con nuove e più solide basi del diritto di libertà
religiosa delle confessioni di minoranza. Gli ebrei, con l’Intesa
siglata con lo Stato nel 1987 hanno avuto la grande opportunità di
veder applicati i principi fondanti del loro essere ebrei: ma è
necessario chiedersi se l’intesa conclusa tra la Repubblica italiana e
l’Unione delle comunità ebraiche sia riuscita nel difficile compito di
rispondere alle specialissime esigenze di tutela manifestate dalla
realtà ebraica in ragione delle peculiarità che da sempre la
caratterizzano – tutelando, nella sostanza, non solo quella che si
configura come una vera e propria «libertà religiosa intesa in senso
ebraico» ma anche la stessa complessa e stratificata identità ebraica,
che non si risolve nel solo elemento religioso, rispettando allo stesso
tempo, la parità e l’uguaglianza dei cittadini e delle
confessioni.
Giulio Disegni, Vicepresidente UCEI Leggi
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qui roma - la tavola rotonda
"Balfour, 100 anni di legittimità" “Egregio
Lord Rothschild, è mio piacere fornirle, in nome del governo di Sua
Maestà, la seguente dichiarazione di simpatia per le aspirazioni
dell’ebraismo sionista che è stata presentata, e approvata, dal
governo. ‘Il governo di Sua Maestà vede con favore la costituzione in
Palestina di un focolare nazionale per il popolo ebraico, e si
adopererà per facilitare il raggiungimento di questo scopo, essendo
chiaro che nulla deve essere fatto che pregiudichi i diritti civili e
religiosi delle comunità non ebraiche della Palestina, né i diritti e
lo status politico degli ebrei nelle altre nazioni’. Le sarò grato se
vorrà portare questa dichiarazione a conoscenza della federazione
sionista”.
È il 2 novembre del 1917 quando l’allora ministro degli Esteri del
governo inglese Arthur Balfour invia questa lettera a Lionel Walter
Rothschild. Una lettera che passerà alla storia come Dichiarazione
Balfour e che segna il riconoscimento ufficiale della legittimità
dell’aspirazione del movimento sionista a costituire il proprio Stato
nella patria millenaria del popolo ebraico.
A cent’anni dalla Dichiarazione, un’occasione di confronto organizzata
nella sede del Centro Bibliografico UCEI ha cercato di ricostruire
profili e momenti chiave di quei giorni. Introdotti da Raffaella Di
Castro, e dopo un saluto della presidente dell’Unione Noemi Di Segni e
dell’ambasciatore israeliano Ofer Sachs, sono stati i giornalisti
Fiamma Nirenstein e Massimo Lomonaco e gli storici Claudio Vercelli e
Francesco Lucrezi a ricostruire “storie, percorsi e personaggi” di
un’epoca spesso citata ma non così approfonditamente conosciuta. Leggi
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Oltremare - Quasi Chanukkah
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Quando
si sono passati quattro inverni (lunghi, e freddi) a New York,
l’impatto dell’inverno telavivese si tende a dimenticarlo presto,
ovvero a darlo presto per scontato. Perfettamente normale poter ancora
fare il bagno in mare il due dicembre, anzi, un po’ deludente quelle
poche volte che la stagione raffredda “già” a metà novembre. E poi
giacconi invernali veramente pesanti che si trasformano in modernariato
nell’armadio. E soprattutto l’assenza quasi totale di due elementi
centrali dell’inverno americano (e anche un po’ di quello italiano, ma
in misura molto minore): le musiche natalizie, ubique dal giorno dopo
Thanksgiving, inarrestabili, inevitabili, zuccherose, francamente
deprimenti e comunque ripetitive. E, ovviamente, degli alberi di
Natale. Che ci vorrebbe un movimento di protesta globale di ecologisti
solo per vietare di far crescere tutti quei pini con l’unico fine di
tagliarli e riempirli di palline colorate, poverini, cosa avranno fatto
di male. Quanto a quelli di plastica, peggio ancora, inquinamento,
petrolio e via dicendo. Insomma, passare l’inverno a Tel Aviv significa
poco freddo (salvo il gelo eterno delle case non riscaldate) e
pochissimi arredi natalizi.
Daniela Fubini, Tel Aviv
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Nili, storia da riscoprire
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Il
31 ottobre del 1917, nell’anticamera della sala dove è in corso il
Gabinetto Britannico per la discussione finale sulla Dichiarazione
Balfour ci sono due uomini in attesa. Uno è Chaim Weizmann, il sionista
inglese artefice dell’operazione in corso; l’altro è Aaron Aaronsohn,
un suddito ottomano, quindi un nemico di guerra. L’attesa è breve. Poco
dopo, la porta si apre e Sir Mark Sykes, diplomatico e consigliere per
il Medio Oriente del Gabinetto di Guerra, annuncia ai due che la
Dichiarazione (‘Il bambino’, come la chiama sorridendo) è nata. Poi li
invita da entrare: entrambi stringono le mani del premier David Lloyd
George, del ministro degli esteri Arthur James Balfour e degli altri
membri del Gabinetto. Ma che ci fa un avversario dell’Impero britannico
nel cuore della sua capitale? E per di più nel ‘sancta sanctorum’
politico-militare inglese?
Massimo Lomonaco, giornalista
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