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6 Dicembre 2017 - 18 Kislev 5778
PAGINE EBRAICHE 24


ALEF / TAV DAVAR PILPUL

alef/tav
Giuseppe Momigliano,
rabbino
“Israele (Giacobbe) prediligeva Yosef fra tutti i suoi figli perché era per lui il figlio della vecchiaia e gli aveva fatto una pregiata tunica di lana” (Genesi 36,3) . A proposito di questo episodio si osserva nel Talmud: “Rabbì Chammà bar Guryà, a nome di Rav, diceva – “Non si facciano mai distinzioni nelle dimostrazioni di affetto per i figli, perché a causa di una tunica di lana di due selaim, che Giacobbe aveva donato a Yosef, è divampata la gelosia tra i fratelli ed è giunta al punto di causare eventi tremendi, fino a condurre la famiglia dei nostri padri in Egitto”.
 
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Davide Assael
ricercatore


«Ho abitato con Labano e mi sono attardato fin’ora», abbiamo appena letto in Vayshlakh. Le tempistiche sono molto importanti per la tradizione ebraica. In ogni campo, anche in politica. Il riconoscimento di Gerusalemme, non importa sotto quale status, come capitale dello Stato ebraico è un obiettivo da sempre auspicato, che significherebbe l’accettazione definitiva della comunità internazionale ai diritti di Israele di vivere nell’area culla della sua cultura e identità. Ma, i tempi sono importanti, appunto e, se si sbagliano, si rischia di fare più danni che altro.
 
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La mossa di Trump
Oggi è previsto l’annuncio da parte del presidente Usa Donald Trump del riconoscimento di Gerusalemme come capitale d’Israele. Secondo i quotidiani israeliani, l’ambasciata americana invece non sarà spostata per il momento da Tel Aviv a Gerusalemme. E i quotidiani italiani dedicano ampio spazio al tema con aperture in prima pagina e approfondimenti. Il Corriere parla di “strappo di Trump” evidenziando le reazioni del mondo arabo e dell’Europa di fronte all’annuncio dell’amministrazione americana: “Una minaccia per la pace mondiale”, dicono dall’università cairota AlAzhar, guida mondiale dei sunniti. “Gerusalemme è unica e fondamentale per le tre religioni”, le parole del re del Marocco a nome del Jerusalem Committee. “Tutti i leader del mondo arabo – scrive Repubblica – hanno chiesto alla Casa Bianca di non pronunciarsi sulla possibilità di spostare l’ambasciata da Tel Aviv a Gerusalemme”. Sul Corriere, un po’ controcorrente, Paolo Lepri nella sua analisi sottolinea che forse questo strappo di Trump potrebbe portare a un cambiamento in positivo, costringendo le parti in causa a superare la stagnazione in cui sono finiti i negoziati di pace. Due scrittori israeliani, Avraham Yehoshua e Assaf Gavron, rispettivamente su Repubblica e Corriere, – pur critici nei confronti di Trump – sottolineano l’ipocrisia occidentale sulla questione di Gerusalemme capitale: “Israele ha unificato e dichiarato la città propria capitale sessant’anni fa e, di fatto, il mondo riconosce già Gerusalemme come capitale di Israele: i leader mondiali vengono alla Knesset, e sono solo le ambasciate a rimanere a Tel Aviv”. “A rischio d’inimicarmi il 90 per cento dei miei connazionali che in queste ore non credono alle loro orecchie, voglio dire che la fuga in avanti di Trump è un grosso errore e non fa affatto gli interessi di Israele”, il commento del generale Giora Eiland, analista ed ex capo dell’Israeli National Security Council a La Stampa: “da queste parti non si scherza con i simboli, diventano subito pretesti incendiari”, afferma il generale preoccupato delle possibili reazioni violente dei palestinesi all’annuncio di Trump. Secondo un articolo pubblicato domenica scorsa dal New York Times, nelle scorse settimane intanto, Jared Kushner, genero e consigliere di Trump, e Mohammed Bin Salman, erede al trono in Arabia Saudita, avrebbero messo a punto un piano “rivoluzionario” per raggiungere l’accordo tra Israele e Autorità palestinese. Gerusalemme, compresa la parte Est, diventerebbe la capitale dello Stato ebraico; quella della Palestina sarebbe, invece, Abu Dis, un sobborgo della Città Santa. “Non c’è bisogno di andare oltre: è bastato questo passaggio per suscitare la reazione rabbiosa del mondo arabo”, scrive il Corriere. Ancora, sul Mattino Fabio Nicolucci critica la scelta di Trump ma afferma che la strada potrebbe essere annunciare di riconoscere “la centralità di Gerusalemme per Israele anche come capitale ufficiale”, a cui affiancare però un approccio negoziale. "A cominciare dal riconoscere fattivamente e magari formalmente che i Palestinesi hanno diritto ad uno Stato e ad una capitale”.
 
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  davar
la reazione degli italiani di israele
"Aspettiamo le parole di Trump, ma Gerusalemme è già capitale"
Le parole che Donald Trump sceglierà nel suo annuncio su Gerusalemme saranno decisive per capire le sue intenzioni: secondo indiscrezioni giornalistiche, il presidente degli Stati Uniti riconoscerà in queste ore ufficialmente la città come capitale d’Israele ma per quanto riguarda lo spostamento dell’ambasciata da Tel Aviv a Gerusalemme ci sarà da attendere mesi, se non anni. “Trump è un personaggio imprevedibile – spiega a Pagine Ebraiche il demografo Sergio Della Pergola, docente dell’Università Ebraica di Gerusalemme – E questo annuncio ha il sapore di un diversivo dalla caccia all’uomo sulla questione russa in cui è coinvolto. In ogni caso attendiamo le sue parole che potrebbero creare un danno se le teste calde in Medio Oriente decidessero di mettersi in azione”. I palestinesi hanno annunciato tre giorni di protesta e dal mondo arabo e non sono arrivate critiche o parole bellicose: è il caso della Turchia di Erdogan che ha minacciato di rompere i legami – appena ricuciti – con Israele se Trump (nell’immagine con il Presidente d’Israele Reuven Rivlin durante la sua visita a Gerusalemme della scorsa primavera) dovesse procedere a spostare l’ambasciata americana. “Vedremo se Erdogan darà effettivamente seguito a questa minaccia ma intanto sono scettico sull’opportunità di questa mossa del presidente Usa – sottolinea Beniamino Lazar, presidente del Comites (Comitati degli Italiani all’Estero) di Gerusalemme – Parlo a titolo assolutamente personale: mi fa piacere da una parte il riconoscimento ma dall’altra non posso dire di essere contento di questa iniziativa. Sono infatti preoccupato che possano iniziare nuove violenze e non è un caso se Israele ha rinforzato in queste ore le misure di sicurezza. Vedremo che cosa dirà Trump e nei prossimi giorni, soprattutto venerdì, cosa faranno i palestinesi”. Sul fronte palestinese e arabo il problema è soprattutto dal punto di vista simbolico, con gli occhi puntati sulla Spianata delle Moschee a Gerusalemme, luogo sacro per tutti musulmani: già in estate polemiche pretestuose sui controlli israeliani nei pressi del luogo, avevano incendiato gli animi sul fronte arabo e le parole di Trump potrebbero fare nuovamente gioco agli istigatori all’odio. “Anche se Trump dovesse annunciare che Gerusalemme è la capitale dello Stato ebraico mi pare che la cosa sposti ben poco – l’analisi dell’ambasciatore Sergio Minerbi, assieme a Della Pegola e Lazar, membro della Comunità degli Italkim (gli italiani d’Israele) – Sono scettico sull’opportunità di quella che mi sembra un’azione dichiarativa. Mi pare sia lettera morta e non risolva nulla sul piano concreto a meno di promettere qualcosa in cambio ai palestinesi”. Trump inoltre probabilmente durante il suo annuncio firmerà anche la proroga alla legge approvata dal Congresso americano nel 1995 che obbliga gli Stati Uniti ad aprire un’ambasciata a Gerusalemme. Da allora, ogni sei mesi, tutti i presidenti in carica, democratici o repubblicani, hanno siglato un atto temporaneo per ritardare lo spostamento.
Sia Della Pergola sia Lazar poi rilevano l’ipocrisia di buona parte del mondo occidentale rispetto allo status di Gerusalemme: le ambasciate sono a Tel Aviv “ma gli ambasciatori giurano a Gerusalemme dal Presidente Reuven Rivlin, vengono qui i capi di Stato da tutto il mondo. Il governo, la Knesset, la Corte Suprema è a Gerusalemme. Questa è la nostra capitale, non ci sono dubbi”, sottolinea Lazar. “Lo sappiamo tutti che lo è – ribadisce Della Pergola – Ed è patetico vedere reazioni scandalizzate di fronte a un dato di fatto”. Quello che cambia a Gerusalemme sono i numeri, come ha raccontato lo stesso Della Pergola su Pagine Ebraiche di novembre: “Alla fine del 2016, Gerusalemme aveva una popolazione di 882700 abitanti, di cui 550100 ebrei e 332600 arabi. Durante questi 49 anni la percentuale di ebrei (e persone senza religione) sul totale cittadino è costantemente diminuita, da 73,5% alla fine del 1967, 71,4% nel 1983, 67,6% nel 1995, 66,0% nel 2005, e 62,3% alla fine del 2016”. All’interno del Likud i dati presentati dal demografo (le cui proiezioni demografiche sulla situazione hanno avuto un margine di errore minimo: dopo 20 anni dalla data iniziale del calcolo, l’errore si attesta all’1%) hanno aperto una nuova discussione: “i dati rilevano che la natura ebraica di Gerusalemme è a rischio visto che la popolazione araba aumenta più velocemente e questo ha portato la nascita di una nuova proposta interna al Likud di scorporare alcune zone della città in un municipio autonomo che potrebbe diventare la base per un’eventuale capitale palestinese”, spiega Della Pergola. All’interno del Likud, la divisione di Gerusalemme è sempre stata fortemente osteggiata ma questa proposta sembra esserne una premessa ed è stata appoggiata anche da figure come Ze’ev Elkin, considerato un falco all’interno della destra. Aspettando Trump, la politica israeliana si muove.

Daniel Reichel


qui roma - il convegno 
Memorie, esilio, integrazione
"Ebrei di Libia un esempio"

Un percorso di oltre due anni, che ha preso avvio nel novembre del 2015 con un workshop allargato per mettere a fuoco temi, sensibilità e diversi obiettivi e che si concluderà, il prossimo 20 dicembre, con l’inaugurazione della sala libica al Museo ebraico di Roma.
Il cinquantesimo della cacciata degli ebrei di Libia è stato tra gli appuntamenti che maggiormente hanno sollecitato la Comunità ebraica romana in questo 2017. Un lavoro intenso, declinato in molteplici forme. Come ha riassunto oggi, in un suo intervento all’Università Roma Tre, l’assessore alla Cultura Giorgia Calò, che tra i vari momenti di questo lungo percorso ha ricordato la significativa visita del Premier Paolo Gentiloni in sinagoga e le sue parole di elogio per quello che questa realtà, in varie forme, ha dato al paese.
IL’occasione è stata la seconda giornata di lavori del convegno Gli ebrei di Libia a Roma, apertosi ieri alla Camera dei deputati e proseguito stamane nei locali dell’ateneo. Un confronto articolato, che ha messo a fuoco diverse sfaccettature di questo tema.
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qui milano - l'incontro
"Comunicare è anche costruire"
La gestione della comunicazione all’interno del mondo ebraico italiano, a partire da un problema identitario; la capacità delle Comunità di attirare i propri iscritti e di autosostenersi economicamente; il problema dell’antisemitismo e della percezione di sé come ebrei. Sono alcuni dei temi toccati ieri a Milano nel corso del confronto organizzato da Keshet tra il direttore dell’area Cultura e Formazione dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane rav Roberto Della Rocca e il direttore della redazione giornalista UCEI Guido Vitale. C’è un certo grado di malumore all’interno del mondo ebraico italiano che appare controproducente, ha sottolineato in apertura Vitale parlando delle sfide che deve affrontare questa realtà. “C’è la tendenza più che a costruire, ad impedire ad altri di esistere, a dare segnali in negativo invece che in positivo. Credo sia fondamentale lavorare per intervenire in modo attivo sulla realtà e non in modo reattivo: dobbiamo essere noi a guidare il treno e non doverci correre dietro".
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qui firenze - la mostra
Fratelli Rosselli, eredità viva
La Fondazione Circolo Fratelli Rosselli presieduta dall’onorevole Valdo Spini ha presentato a Firenze a Villa Salviati, sede dell’Istituto Universitario Europeo, una mostra sui Fratelli Carlo e Nello Rosselli, la loro vita, il loro pensiero socialista liberale e antifascista, i loro ideali politici e la loro barbara uccisione, in occasione dell’ottantesimo anniversario del loro assassinio attuato a Bagnoles de l’Orne nel 1937 da una formazione eversiva della destra francese (Cagoule) su mandato del fascismo italiano. Sono venti pannelli con ampi testi e foto che ripercorrono tutto il percorso della loro vita. 


Renzo Bandinelli
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gli studenti fiorentini a tel aviv
"Israele, un arricchimento"
Coordinato dalla professoressa Silvia Guetta, un gruppo di studenti dell'Università fiorentina ha da poco concluso un'esperienza di incontro in più giornate con alcuni loro coetanei delle Università di Tel Aviv e Bar Ilan.
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pilpul
Ticketless - Fortunato?
Rileggo dopo tanti anni Storia di un ebreo fortunato di Vittorio Dan Segre. La Comunità di Torino lo ha ricordato, a tre anni dalla morte, con una serata di studio. Per l’occasione mi sono riletto anche una parte dei suoi interventi su Israele e mi sono chiesto. Davvero un ebreo “fortunato”? Sicuramente sì, per ciò che concerne la sua vita: avventurosa, emozionante, romanzesca se non quasi cinematografica. Avrei dei dubbi a definire “fortunata” la sua visione della politica internazionale, nella fattispecie del conflitto medio-orientale. A dispetto del Segre, teorico del “neutralismo”, che mi sembra sia da considerare un virtuosismo accademico, la sua visione della politica incarnava la parte migliore del realismo cavouriano. Topograficamente Govone e Cavour non sono così distanti. La politica intesa come conflitto di forze, diplomazie spregiudicate, strategie che puntano al fine ignorando i mezzi, realpolitik, ostilità insomma verso ogni utopismo. Una linea di tendenza e di pensiero fra le più “sfortunate” nel secondo dopoguerra italiano. Una lezione nel deserto, che si dovrebbe riascoltare più spesso per arginare la voce tuonante degli ingegneri che progettano castelli in aria.

Alberto Cavaglion 

Periscopio - Balfour
Di grande interesse si è dimostrata la tavola rotonda, organizzata dall’UCEI e dal Centro Bibliografico Tullia Zevi nei locali del Centro sul tema “1917-2017: Dichiarazione Balfour ed epopea di NILI”, alla quale hanno preso parte, oltre al sottoscritto, Massimo Lomonaco, Fiamma Nirenstein e Claudio Vercelli (con i saluti della Presidente dell’UCEI, Noemi Di Segni, e dell’ambasciatore di Israele in Italia, Ofer Sachs, moderatrice Raffella Di Castro). Un incontro che ha dato l’occasione di riflettere, cent’anni dopo, su quel “longus et unus annus” (per usare una famosa espressione di Tacito) che fu il 1917, e che parve davvero – mentre si consumava l’immane tragedia della Grande Guerra, destinata, com’è noto, ad anticiparne di poco un’altra, ancora più terribile – spezzare la storia, dividendola in un “prima” e un “dopo”.
Che significato ebbe, in quel contesto, la famosa Dichiarazione Balfour, generalmente considerata come il primo riconoscimento ufficiale, a livello politico e diplomatico, della legittimità del futuro Stato di Israele?


Francesco Lucrezi
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Diversi ed eguali
L'ebraismo riformato nacque in Germania nel sec. XIX come un diverso approccio nei riguardi della Halakhah; conobbe una vasta diffusione in Germania, Polonia e negli Usa.
La Wielka Synagoga di Varsavia (nella foto), completata nel 1878 dall’architetto Leandro Marconi, era la sinagoga (ma anche il fulcro artistico–culturale) della comunità ebraica riformata di Varsavia; nel tempio riformato si tenevano concerti corali, organistici e da camera.
Il 16 maggio 1943, a tragico coronamento della distruzione del Ghetto di Varsavia e della conseguente deportazione degli eroici combattenti del Ghetto verso Campi di concentramento e sterminio, il generale tedesco Jürgen Stroop distrusse la Wielka Synagoga; il simbolo del crollo di Varsavia ebraica e della sua immensa vita culturale è la distruzione di una sinagoga riformata.


Francesco Lotoro
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