Giuseppe Momigliano,
rabbino
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“Israele
(Giacobbe) prediligeva Yosef fra tutti i suoi figli perché era per lui
il figlio della vecchiaia e gli aveva fatto una pregiata tunica di
lana” (Genesi 36,3) . A proposito di questo episodio si osserva nel
Talmud: “Rabbì Chammà bar Guryà, a nome di Rav, diceva – “Non si
facciano mai distinzioni nelle dimostrazioni di affetto per i figli,
perché a causa di una tunica di lana di due selaim, che Giacobbe aveva
donato a Yosef, è divampata la gelosia tra i fratelli ed è giunta al
punto di causare eventi tremendi, fino a condurre la famiglia dei
nostri padri in Egitto”.
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Davide Assael ricercatore
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«Ho
abitato con Labano e mi sono attardato fin’ora», abbiamo appena letto
in Vayshlakh. Le tempistiche sono molto importanti per la tradizione
ebraica. In ogni campo, anche in politica. Il riconoscimento di
Gerusalemme, non importa sotto quale status, come capitale dello Stato
ebraico è un obiettivo da sempre auspicato, che significherebbe
l’accettazione definitiva della comunità internazionale ai diritti di
Israele di vivere nell’area culla della sua cultura e identità. Ma, i
tempi sono importanti, appunto e, se si sbagliano, si rischia di fare
più danni che altro.
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La mossa di Trump
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Oggi
è previsto l’annuncio da parte del presidente Usa Donald Trump del
riconoscimento di Gerusalemme come capitale d’Israele. Secondo i
quotidiani israeliani, l’ambasciata americana invece non sarà spostata
per il momento da Tel Aviv a Gerusalemme. E i quotidiani italiani
dedicano ampio spazio al tema con aperture in prima pagina e
approfondimenti. Il Corriere parla di “strappo di Trump” evidenziando
le reazioni del mondo arabo e dell’Europa di fronte all’annuncio
dell’amministrazione americana: “Una minaccia per la pace mondiale”,
dicono dall’università cairota AlAzhar, guida mondiale dei sunniti.
“Gerusalemme è unica e fondamentale per le tre religioni”, le parole
del re del Marocco a nome del Jerusalem Committee. “Tutti i leader del
mondo arabo – scrive Repubblica – hanno chiesto alla Casa Bianca di non
pronunciarsi sulla possibilità di spostare l’ambasciata da Tel Aviv a
Gerusalemme”. Sul Corriere, un po’ controcorrente, Paolo Lepri nella
sua analisi sottolinea che forse questo strappo di Trump potrebbe
portare a un cambiamento in positivo, costringendo le parti in causa a
superare la stagnazione in cui sono finiti i negoziati di pace. Due
scrittori israeliani, Avraham Yehoshua e Assaf Gavron, rispettivamente
su Repubblica e Corriere, – pur critici nei confronti di Trump –
sottolineano l’ipocrisia occidentale sulla questione di Gerusalemme
capitale: “Israele ha unificato e dichiarato la città propria capitale
sessant’anni fa e, di fatto, il mondo riconosce già Gerusalemme come
capitale di Israele: i leader mondiali vengono alla Knesset, e sono
solo le ambasciate a rimanere a Tel Aviv”. “A rischio d’inimicarmi il
90 per cento dei miei connazionali che in queste ore non credono alle
loro orecchie, voglio dire che la fuga in avanti di Trump è un grosso
errore e non fa affatto gli interessi di Israele”, il commento del
generale Giora Eiland, analista ed ex capo dell’Israeli National
Security Council a La Stampa: “da queste parti non si scherza con i
simboli, diventano subito pretesti incendiari”, afferma il generale
preoccupato delle possibili reazioni violente dei palestinesi
all’annuncio di Trump. Secondo un articolo pubblicato domenica scorsa
dal New York Times, nelle scorse settimane intanto, Jared Kushner,
genero e consigliere di Trump, e Mohammed Bin Salman, erede al trono in
Arabia Saudita, avrebbero messo a punto un piano “rivoluzionario” per
raggiungere l’accordo tra Israele e Autorità palestinese. Gerusalemme,
compresa la parte Est, diventerebbe la capitale dello Stato ebraico;
quella della Palestina sarebbe, invece, Abu Dis, un sobborgo della
Città Santa. “Non c’è bisogno di andare oltre: è bastato questo
passaggio per suscitare la reazione rabbiosa del mondo arabo”, scrive
il Corriere. Ancora, sul Mattino Fabio Nicolucci critica la scelta di
Trump ma afferma che la strada potrebbe essere annunciare di
riconoscere “la centralità di Gerusalemme per Israele anche come
capitale ufficiale”, a cui affiancare però un approccio negoziale. "A
cominciare dal riconoscere fattivamente e magari formalmente che i
Palestinesi hanno diritto ad uno Stato e ad una capitale”.
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la reazione degli italiani di israele
"Aspettiamo le parole di Trump, ma Gerusalemme è già capitale"
Le
parole che Donald Trump sceglierà nel suo annuncio su Gerusalemme
saranno decisive per capire le sue intenzioni: secondo indiscrezioni
giornalistiche, il presidente degli Stati Uniti riconoscerà in queste
ore ufficialmente la città come capitale d’Israele ma per quanto
riguarda lo spostamento dell’ambasciata da Tel Aviv a Gerusalemme ci
sarà da attendere mesi, se non anni. “Trump è un personaggio
imprevedibile – spiega a Pagine Ebraiche il demografo Sergio Della
Pergola, docente dell’Università Ebraica di Gerusalemme – E questo
annuncio ha il sapore di un diversivo dalla caccia all’uomo sulla
questione russa in cui è coinvolto. In ogni caso attendiamo le sue
parole che potrebbero creare un danno se le teste calde in Medio
Oriente decidessero di mettersi in azione”. I palestinesi hanno
annunciato tre giorni di protesta e dal mondo arabo e non sono arrivate
critiche o parole bellicose: è il caso della Turchia di Erdogan che ha
minacciato di rompere i legami – appena ricuciti – con Israele se Trump
(nell’immagine con il Presidente d’Israele Reuven Rivlin durante la sua
visita a Gerusalemme della scorsa primavera) dovesse procedere a
spostare l’ambasciata americana. “Vedremo se Erdogan darà
effettivamente seguito a questa minaccia ma intanto sono scettico
sull’opportunità di questa mossa del presidente Usa – sottolinea
Beniamino Lazar, presidente del Comites (Comitati degli Italiani
all’Estero) di Gerusalemme – Parlo a titolo assolutamente personale: mi
fa piacere da una parte il riconoscimento ma dall’altra non posso dire
di essere contento di questa iniziativa. Sono infatti preoccupato che
possano iniziare nuove violenze e non è un caso se Israele ha
rinforzato in queste ore le misure di sicurezza. Vedremo che cosa dirà
Trump e nei prossimi giorni, soprattutto venerdì, cosa faranno i
palestinesi”. Sul fronte palestinese e arabo il problema è soprattutto
dal punto di vista simbolico, con gli occhi puntati sulla Spianata
delle Moschee a Gerusalemme, luogo sacro per tutti musulmani: già in
estate polemiche pretestuose sui controlli israeliani nei pressi del
luogo, avevano incendiato gli animi sul fronte arabo e le parole di
Trump potrebbero fare nuovamente gioco agli istigatori all’odio. “Anche
se Trump dovesse annunciare che Gerusalemme è la capitale dello Stato
ebraico mi pare che la cosa sposti ben poco – l’analisi
dell’ambasciatore Sergio Minerbi, assieme a Della Pegola e Lazar,
membro della Comunità degli Italkim (gli italiani d’Israele) – Sono
scettico sull’opportunità di quella che mi sembra un’azione
dichiarativa. Mi pare sia lettera morta e non risolva nulla sul piano
concreto a meno di promettere qualcosa in cambio ai palestinesi”. Trump
inoltre probabilmente durante il suo annuncio firmerà anche la proroga
alla legge approvata dal Congresso americano nel 1995 che obbliga gli
Stati Uniti ad aprire un’ambasciata a Gerusalemme. Da allora, ogni sei
mesi, tutti i presidenti in carica, democratici o repubblicani, hanno
siglato un atto temporaneo per ritardare lo spostamento.
Sia Della Pergola sia Lazar poi rilevano l’ipocrisia di buona parte del
mondo occidentale rispetto allo status di Gerusalemme: le ambasciate
sono a Tel Aviv “ma gli ambasciatori giurano a Gerusalemme dal
Presidente Reuven Rivlin, vengono qui i capi di Stato da tutto il
mondo. Il governo, la Knesset, la Corte Suprema è a Gerusalemme. Questa
è la nostra capitale, non ci sono dubbi”, sottolinea Lazar. “Lo
sappiamo tutti che lo è – ribadisce Della Pergola – Ed è patetico
vedere reazioni scandalizzate di fronte a un dato di fatto”. Quello che
cambia a Gerusalemme sono i numeri, come ha raccontato lo stesso Della
Pergola su Pagine Ebraiche di novembre: “Alla fine del 2016,
Gerusalemme aveva una popolazione di 882700 abitanti, di cui 550100
ebrei e 332600 arabi. Durante questi 49 anni la percentuale di ebrei (e
persone senza religione) sul totale cittadino è costantemente
diminuita, da 73,5% alla fine del 1967, 71,4% nel 1983, 67,6% nel 1995,
66,0% nel 2005, e 62,3% alla fine del 2016”. All’interno del Likud i
dati presentati dal demografo (le cui proiezioni demografiche sulla
situazione hanno avuto un margine di errore minimo: dopo 20 anni dalla
data iniziale del calcolo, l’errore si attesta all’1%) hanno aperto una
nuova discussione: “i dati rilevano che la natura ebraica di
Gerusalemme è a rischio visto che la popolazione araba aumenta più
velocemente e questo ha portato la nascita di una nuova proposta
interna al Likud di scorporare alcune zone della città in un municipio
autonomo che potrebbe diventare la base per un’eventuale capitale
palestinese”, spiega Della Pergola. All’interno del Likud, la divisione
di Gerusalemme è sempre stata fortemente osteggiata ma questa proposta
sembra esserne una premessa ed è stata appoggiata anche da figure come
Ze’ev Elkin, considerato un falco all’interno della destra. Aspettando
Trump, la politica israeliana si muove.
Daniel Reichel
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qui roma - il convegno
Memorie, esilio, integrazione "Ebrei di Libia un esempio"
Un
percorso di oltre due anni, che ha preso avvio nel novembre del 2015
con un workshop allargato per mettere a fuoco temi, sensibilità e
diversi obiettivi e che si concluderà, il prossimo 20 dicembre, con
l’inaugurazione della sala libica al Museo ebraico di Roma.
Il
cinquantesimo della cacciata degli ebrei di Libia è stato tra gli
appuntamenti che maggiormente hanno sollecitato la Comunità ebraica
romana in questo 2017. Un lavoro intenso, declinato in molteplici
forme. Come ha riassunto oggi, in un suo intervento all’Università Roma
Tre, l’assessore alla Cultura Giorgia Calò, che tra i vari momenti di
questo lungo percorso ha ricordato la significativa visita del Premier
Paolo Gentiloni in sinagoga e le sue parole di elogio per quello che
questa realtà, in varie forme, ha dato al paese.
IL’occasione è stata la seconda giornata di lavori del convegno Gli
ebrei di Libia a Roma, apertosi ieri alla Camera dei deputati e
proseguito stamane nei locali dell’ateneo. Un confronto articolato, che
ha messo a fuoco diverse sfaccettature di questo tema. Leggi
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Ticketless - Fortunato?
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Rileggo
dopo tanti anni Storia di un ebreo fortunato di Vittorio Dan Segre. La
Comunità di Torino lo ha ricordato, a tre anni dalla morte, con una
serata di studio. Per l’occasione mi sono riletto anche una parte dei
suoi interventi su Israele e mi sono chiesto. Davvero un ebreo
“fortunato”? Sicuramente sì, per ciò che concerne la sua vita:
avventurosa, emozionante, romanzesca se non quasi cinematografica.
Avrei dei dubbi a definire “fortunata” la sua visione della politica
internazionale, nella fattispecie del conflitto medio-orientale. A
dispetto del Segre, teorico del “neutralismo”, che mi sembra sia da
considerare un virtuosismo accademico, la sua visione della politica
incarnava la parte migliore del realismo cavouriano. Topograficamente
Govone e Cavour non sono così distanti. La politica intesa come
conflitto di forze, diplomazie spregiudicate, strategie che puntano al
fine ignorando i mezzi, realpolitik, ostilità insomma verso ogni
utopismo. Una linea di tendenza e di pensiero fra le più “sfortunate”
nel secondo dopoguerra italiano. Una lezione nel deserto, che si
dovrebbe riascoltare più spesso per arginare la voce tuonante degli
ingegneri che progettano castelli in aria.
Alberto Cavaglion
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Periscopio - Balfour
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Di
grande interesse si è dimostrata la tavola rotonda, organizzata
dall’UCEI e dal Centro Bibliografico Tullia Zevi nei locali del Centro
sul tema “1917-2017: Dichiarazione Balfour ed epopea di NILI”, alla
quale hanno preso parte, oltre al sottoscritto, Massimo Lomonaco,
Fiamma Nirenstein e Claudio Vercelli (con i saluti della Presidente
dell’UCEI, Noemi Di Segni, e dell’ambasciatore di Israele in Italia,
Ofer Sachs, moderatrice Raffella Di Castro). Un incontro che ha dato
l’occasione di riflettere, cent’anni dopo, su quel “longus et unus
annus” (per usare una famosa espressione di Tacito) che fu il 1917, e
che parve davvero – mentre si consumava l’immane tragedia della Grande
Guerra, destinata, com’è noto, ad anticiparne di poco un’altra, ancora
più terribile – spezzare la storia, dividendola in un “prima” e un
“dopo”.
Che significato ebbe, in quel contesto, la famosa Dichiarazione
Balfour, generalmente considerata come il primo riconoscimento
ufficiale, a livello politico e diplomatico, della legittimità del
futuro Stato di Israele?
Francesco Lucrezi
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Diversi ed eguali
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L'ebraismo
riformato nacque in Germania nel sec. XIX come un diverso approccio nei
riguardi della Halakhah; conobbe una vasta diffusione in Germania,
Polonia e negli Usa.
La Wielka Synagoga di Varsavia (nella foto), completata nel 1878
dall’architetto Leandro Marconi, era la sinagoga (ma anche il fulcro
artistico–culturale) della comunità ebraica riformata di Varsavia; nel
tempio riformato si tenevano concerti corali, organistici e da camera.
Il 16 maggio 1943, a tragico coronamento della distruzione del Ghetto
di Varsavia e della conseguente deportazione degli eroici combattenti
del Ghetto verso Campi di concentramento e sterminio, il generale
tedesco Jürgen Stroop distrusse la Wielka Synagoga; il simbolo del
crollo di Varsavia ebraica e della sua immensa vita culturale è la
distruzione di una sinagoga riformata.
Francesco Lotoro
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