Qui Milano – Tra identità ebraica e comunicazione

20171206_113958La gestione della comunicazione all’interno del mondo ebraico italiano, a partire da un problema identitario; la capacità delle Comunità di attirare i propri iscritti e di autosostenersi economicamente; il problema dell’antisemitismo e della percezione di sé come ebrei. Sono alcuni dei temi toccati ieri a Milano nel corso del confronto organizzato da Keshet tra il direttore dell’area Cultura e Formazione dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane rav Roberto Della Rocca e il direttore della redazione giornalista UCEI Guido Vitale. C’è un certo grado di malumore all’interno del mondo ebraico italiano che appare controproducente, ha sottolineato in apertura Vitale parlando delle sfide che deve affrontare questa realtà. “C’è la tendenza più che a costruire, ad impedire ad altri di esistere, a dare segnali in negativo invece che in positivo. Credo sia fondamentale lavorare per intervenire in modo attivo sulla realtà e non reattivo: dobbiamo essere noi a guidare il treno e non doverci correre dietro”, sottolinea Vitale, ricordando come la scelta di cosa comunicare, attraverso i propri media, è un punto fondamentale per il futuro ebraico e per decidere dove l’ebraismo italiano si posiziona all’interno della società. “Dobbiamo fare anche un’autocritica su come è rappresentiamo la comunità al nostro interno – spiega rav Della Rocca – Quando vedo iscritti che riempiono le sale dei teatri a eventi che, con gli stessi relatori, sono andati deserti in Comunità, mi devo interrogare sul perché? E molte delle risposte che ricevo sono che ‘la comunità mette tristezza’. Ma come diceva Guido per l’ebraismo la gioia è una mitzvah per cui è necessario cambiare questa percezione”. Il rav poi ha parlato della necessità di una maggiore responsabilità da parte dei singoli iscritti rispetto alla propria comunità: “prima che esistesse l’Otto per Mille, l’ebraismo italiano si basava sui contributi dei suoi membri: anche quando non c’erano persone facoltose, si manteneva vivo l’impegno a finanziare scuole, Bet Haknesset, e la vita comunitaria mettendosi le mani in tasca e facendo sacrifici. Oggi ci sentiamo invece un po’ deresponsabilizzati, abbiamo perso il senso del piacere e dovere di sostenere la nostra Comunità”.