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16 Maggio 2018 - 2 Sivan 5778
PAGINE EBRAICHE 24


ALEF / TAV DAVAR PILPUL

alef/tav
Giuseppe Momigliano,
rabbino
L’ultimo capitolo dei Pirkè Avot, che leggeremo questo shabbat, è propriamente una raccolta di Baraytot, cioè insegnamenti dei Maestri non raccolti nella Mishnà; questo testo è particolarmente dedicato alle qualità che caratterizzano lo studio della Torà, pertanto è detto “Kinyan ha-Torà”, ovvero “acquisizione della Torà”.
 
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Davide
Assael,
ricercatore
Diciamo la verità, il momento dello spostamento dell’ambasciata statunitense da Tel Aviv a Gerusalemme ce lo eravamo immaginati in altro modo. Pensavamo sarebbe stato il momento del riconoscimento di Israele, il momento di pacificazione col mondo arabo e musulmano, un momento di pace. Invece, abbiamo morti (molti), feriti (moltissimi), crisi diplomatiche con Paesi che aspettano solo di poter allungare le proprie mani sulla crisi della Striscia, sfruttando tutta la sua carica simbolica per ergersi a difensori della causa islamica.
 
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Scontro diplomatico
Dopo i fatti di lunedì, il conflitto tra israeliani e palestinesi è tornato al centro del dibattito internazionale. E lo scontro, spiegano i quotidiani, si fa diplomatico: su quanto accaduto al confine con Gaza, “tedeschi e i britannici pretendono ‘un’inchiesta indipendente’. – scrive il Corriere della Sera – La stessa richiesta al Consiglio di sicurezza dell’Onu è stata bloccata dal veto degli americani, che riconoscono agli israeliani ‘il diritto di difendere il loro confine’”. Il quotidiano apre parlando dei funerali tenutisi ieri a Gaza (oltre 60 i palestinesi morti negli scontri) e chiude con la testimonianza di un palestinese che si è rifiutato di partecipare alle manifestazioni indette da Hamas: “Non andiamo a farci ammazzare per i fondamentalisti – spiega Mohammed al Tauli -. Sono responsabili della miseria in cui viviamo”. Il Fatto Quotidiano racconta come Hamas ha preparato lo scontro e l’assalto alla barriera: “un compito affidato ai più giovani – si legge nell’articolo – che utilizzano tronchesi per rompere il filospinato. A separare i palestinesi di Gaza dal confine c’è una zona-cuscinetto: Hamas manda i ragazzi in quel settore sebbene Israele già da marzo aveva avvisato che chiunque si sarebbe avvicinato alla zona sarebbe stato colpito”. Il presidente francese Emmanuel Macron ha parlato di “diritto di Israele a difendersi, seppur con moderazione”, spiega il Sole 24 Ore. L’Europa esprime preoccupazione e Belgio e Irlanda hanno richiamato gli ambasciatori di Israele. Ma lo scontro più duro è con la Turchia che ha espulso l’ambasciatore israeliano. “Erdogan è fra i principali sostenitori di Hamas e non vi è dubbio che capisca perfettamente il terrorismo e i massacri, non ci venga a dare lezioni di morale”, la risposta del Primo ministro israeliano Netanyahu (La Stampa). Erdogan ha chiesto ai paesi arabi di agire contro Gerusalemme ma molti di loro, spiega il Foglio “per anni campioni della causa palestinese, hanno pubblicato note e comunicati simili nei toni e nella forma a quelli europei: estremamente formali. Più che l’indignazione delle cancellerie questi testi rivelano quanto i palestinesi siano sempre più isolati in una regione in cui gli alleati di sempre hanno altre priorità: arginare l’espansionismo dell’Iran, ed evitare la possibilità di un’altra “primavera” come quella del 2011”. Sempre il Foglio racconta invece come proprio l’Iran sia tra i maggiori sponsor dei disordini a Gaza.
 
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  davar
la riflessione della presidente ucei
Gaza, il dolore e la chiarezza
"Non rimanere ciechi e sordi di fronte all'evidenza: distinguere chi davvero non desidera la pace ed esporta odio e guerra ovunque, distinguere chi invece che guidare i palestinesi verso il futuro li ingabbia nel passato, chi invece di distribuire speranza, dispensa odio, e invece che proteggere, usa la vita dei suoi stessi cittadini per mantenere il potere". È quanto chiede - rivolgendosi a opinione pubblica, istituzioni e mondo dell'informazione - la Presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Noemi Di Segni dopo i recenti scontri tra l'esercito israeliano e manifestanti palestinese al confine con la Striscia di Gaza. "Quanto succede a Gaza è doloroso per chiunque ha a cuore i diritti umani e lo è anche per chi scrive", sottolinea la Presidente che invita però a individuare i veri responsabili della tragedia palestinese.
Di seguito il testo integrale del suo intervento.

Quest'anno abbiamo celebrato e festeggiato i 70 anni d'Israele. Uno Stato nato da un sogno e diventato non solo una realtà ma una prospera democrazia in un Medio Oriente per lo più dichiaratamente ostile. 70 anni fa i padri fondatori dello Stato accettarono la partizione della Palestina mandataria, accettarono la soluzione di avere confini ben delineati: due popoli, due Stati, l'uno a fianco all'altro, che potessero vivere in pace e sicurezza. Nel testo della proclamazione dello Stato ebraico avvenuta il 14 maggio 1948 è chiaro ed esplicito l’invito a tutti i residenti arabi a voler costruire assieme il Paese, con pieno riconoscimento dei diritti, partecipazione e rappresentanza, così come l’invito a tutti i Paesi confinanti a condividere l’impegno per la Pace, nel reciproco riconoscimento e per portare progresso e nell’intera regione. Questo era ed è il nostro sogno ed invito perenne.
Come sappiamo, solo la parte ebraica accettò quella divisione e i risultati di quella scelta sono tutt'ora davanti ai nostri occhi. A pagare le conseguenze di quella scelta sono stati i palestinesi e ancora oggi, l'incapacità, la corruzione, l'odio di quelli che dovrebbero essere i loro leader li portano verso la sofferenza e la morte. Ancor peggio, li portano a scegliere e a pensare che la morte dei proprio figli e neonate, sia l’unica arma per promuovere il loro riconoscimento e futuro. Ben sanno che per l’intero mondo e per tutti noi la vita invece è sacra.
Quanto succede a Gaza è doloroso per chiunque ha a cuore i diritti umani e lo è anche per chi scrive. Forse lo è ancor più perché, oltre al grave lutto per la perdita delle vite, si aggiunge la disperazione per la consapevolezza che potevano essere evitate, se solo avessero voluto. Se solo non si fossero obbligate masse di civili ad assembrarsi sul confine. Se solo non si fosse celato sotto la parola “manifestazione” l’intento di raggiungere le città e i villaggi israeliani e spargere sangue e terrore. Forse lo è ancor più perché al sangue versato si aggiunge la sollecita indignazione di un intero mondo – istituzioni, media, cittadini – che condanna e pensa di fare giustizia accogliendo come vera la più grave strumentalizzazione che vi possa essere, negando ad Israele il diritto di difendersi e di non vedere trucidati i propri cittadini e bruciati i propri insediamenti.
Tutto questo, dimenticando che la difesa dal nemico iraniano non esclude quella dall’aggressione subita dal proprio vicino, finanziato dallo stesso Iran. Disconoscendo il legame tra Gerusalemme e il popolo ebraico e accettando di considerare la questione di Gerusalemme, nella quale vi è convivenza e sviluppo nonostante i conflitti, come perno di ogni altra forma di convivenza in qualsiasi altra parte del globo. Esprimendo il sostegno pieno e universale ad un’associazione terroristica e ad una leadership palestinese che continua a non riconoscere il diritto all’esistenza di Israele e a riconoscere una Shoah auto ricercata, quando non negata. Che continua ad organizzare una sistematica e sofisticatissima guerra armata. Che continua ad usare i soldi che la comunità internazionale riversa nelle casse di Gaza per costruire costosissimi tunnel del terrore e armare milizie, formate da bambini e di giovani, invece che usarli per realizzare infrastrutture pubbliche e dare un futuro alla sua popolazione, in un territorio ricevuto e liberato da presenza ebraica oltre dieci anni fa per farlo fiorire.
I feriti ed i morti sono tutti sulle nostre coscienze, anche le centinaia di migliaia di morti negli ultimi mesi in molti altri Paesi della Regione mediorientale, anche i milioni di profughi che tentano di raggiungere le nostre sponde del Mediterraneo, anche quelli colpiti dal terrorismo in Europa, dimenticati sistematicamente dallo stesso benpensante mondo e dall’Onu. Ma non da noi. Non li dimentichiamo. Perché è Israele, e non certo Hamas, che sistematicamente porge una mano ad ogni ferito per curarlo nei propri ospedali e con tecnologie israeliane. Perché la memoria della storia dei tanti massacri subiti, l’antisemitismo e il radicalismo li conosciamo bene e vorremmo disperatamente far comprendere questo male antico a tutti voi che siete convinti di potervi svegliare domani mattina e continuare ad andare al lavoro e a scuola e a cucinare quel che più vi piace.
Siamo e siete responsabili tutti assieme. Perché oltre alle immagini e al di là delle feroci urla e vendette d’odio, è dovere di ogni istituzione e organo di stampa chiedersi il perché di quanto si vede e ricordarsi che vi è un lato oscuro della luna che evidentemente non illumina a sufficienza le coscienze e la memoria. Non interessa perché quell’immagine distorta che ci raggiunge nella notte pare sufficiente. Ma è pura illusione e l’Europa nella quale siamo immersi continua sonnambula ad inebriarsi di quella luce. E prima o poi, e molto prima di quanto non immaginiamo quelle forze che oggi si abbattono su Israele e i suoi confini, raggiungeranno sia fisicamente, sia con loro ideologie, anche le nostre terre, invadendo le nostre giornate e diventeranno l’incubo delle nostre notti. Nessun raggio di luna sarà allora sufficiente.
Qui non si nega la possibilità di criticare le scelte di un governo, che sia quello di Israele o degli Stati Uniti, ma di condividere il concetto di vita. Di capire che i nostri figli non saranno mai e poi mai venduti per una manciata di dollari a seminare odio e morte, ma cresciuti con l’amore per una terra coltivata con fatica e resi partecipi delle più belle celebrazioni internazionali. Qui non si tratta di decidere se Gerusalemme ha o meno uno status internazionale e di quali patti nucleari mantenere ma di non rimanere ciechi e sordi di fronte all'evidenza: distinguere chi davvero non desidera la pace ed esporta odio e guerra ovunque, distinguere chi invece che guidare i palestinesi verso il futuro li ingabbia nel passato, chi invece di distribuire speranza, dispensa odio, e invece che proteggere, usa la vita dei suoi stessi cittadini per mantenere il potere. La comunità internazionale deve finalmente alzare la voce contro tutto questo, aiutata da un'informazione veramente libera da preconcetti e da retoriche che non servono alla pace che tutti desideriamo, primi fra tutti israeliani e palestinesi che sognano di vivere con le loro famiglie. Questo è quello che vi chiediamo.

Noemi Di Segni,

Presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane


dopo gli scontri degli scorsi giorni
Hamas: 'Quasi tutte le vittime

erano dei nostri agenti'
Cinquanta dei sessantadue palestinesi che sono morti negli scontri con Israele sul confine con Gaza appartenevano al movimento terroristico di Hamas. A confermarlo un rappresentante dello stesso gruppo che controlla l’enclave palestinese: “Prendete la sua parola per buona. Non è stata una protesta pacifica”, il commento del portavoce dell’esercito israeliano Jonathan Conricus. Secondo Conricus e i vertici dell’esercito, le proteste delle scorse settimane così come quella più sanguinosa di lunedì erano state orchestrate da Hamas per creare disordine e minacciare i civili israeliani. Prima di questa manifestazione, avvenuta mentre a Gerusalemme veniva inaugurata l’ambasciata Usa, l’esercito israeliano aveva avvisato che Hamas intendeva “compiere un massacro in Israele”, cercando di usare le proteste di massa per aprirsi un varco nella barriera di sicurezza e infiltrarsi oltre confine.
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giro d'italia - l'inaugurazione del museo
Assisi, la Memoria è sui pedali
A metà strada tra l’avvio di Gerusalemme e l’epilogo a Roma, la tappa del Giro d’Italia partita quest’oggi da Assisi alla volta di Osimo prosegue (anche se con alcuni evitabili inciampi) nel percorso di Memoria e condivisione di valori non strettamente sportivi su cui è stata costruita l’intera edizione 101 della corsa rosa.
Alla presenza tra gli altri dell’ambasciatore israeliano in Italia Ofer Sachs e del suo omologo presso la Santa Sede Oren David, nella città umbra da cui sono stati lanciati in questi anni molti impegni per il Dialogo, è stato inaugurato in mattinata il nuovo “Museo della Memoria Assisi 1943-44” con l’obiettivo di valorizzare le storie locali di coraggio che portarono, sotto il coordinamento del vescovo Giuseppe Placido Nicolini, tanti assisani a distinguersi nel salvataggio di ebrei perseguitati dal nazifascismo. Circa 300, si stima, trovarono rifugio nei conventi.
Un nuovo impegno, quello varato oggi, che nasce anche nel nome di Gino Bartali e delle sue azioni di solidarietà tra Firenze e Assisi.


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qui ferrara - il progetto zikaron basalon
"L'orrore e il ritorno alla vita"
“In tutti i momenti e i giorni della mia vita, ho girato con inquietudine e affanno intorno ad Auschwitz, portando, e continuando a portare con me, un grande peso”.
Non le ha vissute direttamente, Marcella Ravenna, la guerra, le persecuzioni e la Shoah, perché non era ancora nata. Eppure, come ha raccontato agli alunni della V G dell’Istituto “Orio Vergani” di Ferrara, suoi ospiti nell’ambito del progetto dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane “Zikaron Ba Salon”, quelle vicende l’hanno segnata profondamente, tanto da condizionare anche il suo percorso di psicologa sociale.
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qui firenze - l'incontro
La Grande Guerra e il '38
Il Liceo classico Michelangiolo, considerato da sempre uno dei migliori di Firenze, per la sua ubicazione nei pressi del grande nuovo Tempio e quindi nel quartiere dove a fine Ottocento si sono trasferite tante famiglie ebraiche, è stato quello prescelto per ricordare il centenario della fine della prima guerra mondiale. Ovviamente dal 1930 al 1944 il liceo è stato anche quello demandato a seguire i corsi istituiti dalla Comunità per gli alunni ebrei espulsi e dove dovevano sostenere gli esami di ammissione, quelli di passaggio da una classe alla successiva ed infine quelli finali. Nelle lapidi apposte nel porticato interno per i giovani caduti nella prima guerra mondiale e per le vittime della seconda, unendo i militari ai partigiani e ai deportati, figurano molti nomi di giovani ebrei, tra questi anche quello di rav Nathan Cassuto.


Lionella Viterbo
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dopo il successo israeliano all'eurovision
Tehila, la diva è "Kosher"
Si fa chiamare “Tehila, the Kosher Diva”, e la sua cover della canzone con cui Netta Barzilai ha conquistato il pubblico dell’Eurovision, portando Israele alla vittoria, si intitola Goy. Pubblicata online qualche giorno prima della finale non è l’unica risposta ebraica al successo di Toy, la canzone che già nelle settimane precedenti aveva avuto un notevole successo, ma di sicuro è quella più curiosa.
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pilpul
Ticketless - Lo sciocco mestiere
L’editoriale di Ernesto Galli della Loggia, uscito sul “Corriere della Sera” di mercoledì scorso (Tre leader frutto dei tempi), dedicato alla mediocrità e alla incultura dell’attuale classe dirigente, mi ha fatto ritornare in mente un famosisimo – e criticatissimo – articolo di Benedetto Croce sulla “mentalità massonica” uscito nel giugno 1918 nel pieno di una crisi politica, quella del primo dopoguerra, che (per nostra fortuna) non è (ancora) comparabile alla crisi di un secolo dopo. L’Italia del 2018 vedrà andare al governo grillini e leghisti: in televisione fa capolino una galleria di personaggi sedicenti giovani, ma dal volto antico, molto antico. Croce paventava il pericolo derivante dalla fortuna popolare di leaders “non più ignoranti o ingenui, ma non ancora addottrinati e avveduti, uomini di mezzana cultura”. Peccato che nell’elenco mettesse in un sol fascio categorie di persone che, ovviamente, se la presero a male: maestri di scuola primaria, diplomati di scuola tecnica, laureati farmacisti e anche, ahimé, molti ebrei. Quanti ebrei abbiano votato 5stelle o Salvini – temo parecchi – ma la cosa mi interessa poco. Mi interessa invece osservare che Croce, sapendo di averla detta grossa, correva al riparo, precisando tra parentesi: “Non mi passa per mente di far lo sciocco mestiere dell’antisemita”.

Alberto Cavaglion
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Periscopio - Gerusalemme
Non so quanto l’esatta coincidenza temporale sia stata precisamente voluta (la data ha dovuto subire qualche piccolo spostamento), ma certo è stato per me motivo di particolare gioia e onore il fatto che proprio lo scorso lunedì 14 maggio – giorno, com’è noto, in cui è caduto il 70° anniversario dell’Indipendenza di Israele – sia stato invitato a tenere, presso la Comunità Ebraica di Napoli (dalla Comunità stessa e dalla sezione napoletana dell’Amicizia Ebraico Cristiana), insieme al Collega e amico carissimo Giancarlo Rinaldi, una conferenza sul tema “Il Tempio tra storia, archeologia e teologia”. Grazie alle profonde e affascinanti considerazioni di Rinaldi, e ai brillanti commenti del qualificatissimo uditorio, è stato per me un incontro di particolare rilievo, dal quale ho molto imparato.

Francesco Lucrezi, storico
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La prospettiva che manca
Questi sono alcuni dei miei pensieri, spontanei e informali, scritti di getto, che mi vengono in mente ed ho bisogno di condividere con i miei amici ebrei in questi giorni: tante domande e poche risposte e anche tanta rabbia verso tutti coloro che hanno interesse al perpetuare di questa situazione assurda e violenta della quale paghiamo il prezzo Tutti.

Daniel Haviv, alchimista
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È ora di aprire gli occhi
Si è finalmente aperta l’ambasciata americana a Gerusalemme. Gran festa senza tragedie e con la buona pace di tutti. In pratica la decisione americana si è realizzata, non è caduto il mondo, non è scoppiata la terza guerra mondiale, né rivoluzioni né disordini di rilievo a Gerusalemme. I trambusti e morti a Gaza non hanno niente a che fare con Gerusalemme: sono la conseguenza delle pretese di Hamas di sfondare le recinzioni e compiere invasione e terrorismo in Israele, come apertamente hanno dichiarato: per “liberare la Palestina dagli infedeli”. Mandare a morire una cinquantina di palestinesi aiuta la loro politica e l’interesse del mondo per la Causa.

Gianfranco Yohanan Di Segni
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