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13 Luglio 2018 - 1 Av 5778
PAGINE EBRAICHE 24

ALEF / TAV DAVAR PILPUL

alef/tav

Pierpaolo Pinhas Punturello, rabbino
Un’antica tradizione di alcune famiglie sefardite è quella di non indicare pubblicamente le stelle con le dita la sera dell’uscita dello Shabbat quando, appunto, tre stelle ne segnano la fine.
Il motivo di questa tradizione andrebbe ricercato nel terrore del controllo dell’Inquisizione che seguiva ogni gesto dei “Cristiani nuovi” o marrani per verificarne la reale identità. Potremmo forse azzardare che questo dito nascosto alle stelle possa segnare un momento nel quale queste famiglie, fuggendo per rimanere se stesse, si siano dovute nascondere dalle maglie terribili inquisitoriali. Detto questo, Shabbat scorso in piena Madrid, in piena Spagna ho indicato istintivamente le stelle a fine Shabbat. Tra l’espulsione del 1492 e il boicottaggio BDS di alcune città del Sud, ero lì con il mio passaporto italiano, un po’ di Spagna nel sangue e il passaporto israeliano.
 
Gadi
Luzzatto
Voghera,
direttore
Fondazione CDEC
Metà di luglio del 1938. Domani, ottant’anni fa, il Giornale d’Italia pubblicherà il manifesto degli scienziati razzisti, peraltro in gran parte redatto dallo stesso Benito Mussolini. Verrà detto agli italiani che le razze umane sarebbero “una realtà fenomenica, materiale, percepibile con i nostri sensi”. Verrà scritto che l’Italia è popolata a maggioranza dalla razza ariana ormai da millenni. Verrà altresì svelato che “dopo l’invasione dei Longobardi non ci sono stati in Italia altri notevoli movimenti di popoli capaci di influenzare la fisionomia razziale della nazione”. In un’ottica pedagogica sarà quindi “additato agli Italiani un modello fisico e soprattutto psicologico di razza umana che per i suoi caratteri puramente europei si stacca completamente da tutte le razze extra–europee, questo vuol dire elevare l’italiano a un ideale di superiore coscienza di sé stesso e di maggiore responsabilità”. All’articolo 8 si stabilirà chiaramente l’estraneità di africani e di semiti: “Sono perciò da considerarsi pericolose le teorie che sostengono l’origine africana di alcuni popoli europei e comprendono in una comune razza mediterranea anche le popolazioni semitiche e camitiche stabilendo relazioni e simpatie ideologiche assolutamente inammissibili”. Quindi, all’articolo 9, l’affondo che indicava il vero oggetto del manifesto: “Gli ebrei rappresentano l’unica popolazione che non si è mai assimilata in Italia perché essa è costituita da elementi razziali non europei, diversi in modo assoluto dagli elementi che hanno dato origine agli Italiani”. Infine con l’articolo 10 si prospettava la pericolosità dell’ibridazione: “Il carattere puramente europeo degli Italiani viene alterato dall’incrocio con qualsiasi razza extra–europea e portatrice di una civiltà diversa dalla millenaria civiltà degli ariani”.
 
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L'intervento di Mattarella
Un intervento in prima persona del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha sbloccato la vicenda della nave Diciotti, bloccata dal ministro dell’Interno Matteo Salvini all’ingresso del porto di Taranto.
“Sono le undici di sera – scrive il Corriere – quando la nave inizia lo sbarco dei migranti sul molo Ronciglio. La fine di un incubo per i 67 immigrati che avevano festeggiato con canti e balli la notizia che la lunga attesa stava per terminare”.
L’iniziativa di Mattarella, si legge, è stata accolta con “stupore” dal Viminale.

L’assemblea nazionale francese ha votato all’unanimità la soppressione della parola “razza” nella Costituzione e ha anche introdotto il divieto di ogni distinzione di sesso tra i cittadini. Al voto, sottolinea il Messaggero, hanno partecipato 119 deputati di quasi ogni colore politico.
In Italia invece la Corte di Cassazione ha confermato l’aggravante della finalità di discriminazione razziale a un 40enne accusato di lesioni. L’aggravante, è stato scritto, riguarda anche chi usa espressioni generiche di disprezzo verso gli stranieri quali “Che venite a fare qua… Dovete andare via”.
In serata il ministro Salvini, che evidentemente non ha gradito, ha twittato “Andate via, andate via, andate via”.
 
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  davar
l'allarme della presidente ucei
1938, a ottanta anni dall'infamia

dignità umana ancora in pericolo
Esattamente ottanta anni fa la redazione del Giornale d’Italia confezionava le pagine che il giorno dopo sarebbero state in edicola. L’articolo più roboante, destinato ad avere ampia diffusione anche sul resto della stampa nazionale, e poi un’applicazione devastante, era quello che andava sotto il titolo “Il fascismo e il problema della razza”. Oggi lo conosciamo anche come Manifesto della razza.
Con un’operazione realizzata sotto la regia di Benito Mussolini in persona, il regime cercava di accreditare i propri progetti persecutori e di negazione dell’Altro su un piano pseudoscientifico che ancora oggi, nel rileggerle, lascia increduli dinanzi alla folle aberrazione delle statuizioni e delle certezze affermate. Un’operazione che sarà premessa – nell’indifferenza di molti – alla successiva promulgazione delle Leggi antiebraiche, alla messa ai margini di una intera parte della cittadinanza italiana, alla persecuzione, alla deportazione, all’annientamento nei campi di sterminio. Leggi e provvedimenti amministrativi perfetti e formalmente rispondenti ad ogni crisma ma sostanzialmente vuoti di ogni principio e valore.
Una ferita ancora viva, che riguarda non solo le comunità ebraiche ma una intero Paese e il suo sistema di valori. Una vicenda su cui però l’Italia non sembra aver riflettuto con la sufficiente consapevolezza, né fatte valere negli ottant’anni passati le responsabilità sul piano legale o politico.
Cosa resta oggi, qual è il lascito di quella terribile narrazione? Quanto si è riusciti a realizzare in questi lunghi anni un percorso che portasse dalla “difesa della razza” alla tutela dei diritti? Quanto si è radicato nella cultura della nostra società, italiana ed europea, il rispetto per il diritto alla vita, della dignità umana, dell’uguaglianza degli esseri umani non solo dinanzi alla legge ma anche dinanzi agli uomini?
Alla luce di quanto viviamo oggi, con il crescente manifestarsi di atti di intolleranza razziale, odio e pericolosa radicalizzazione – purtroppo alimentati e legittimati anche da esponenti delle istituzioni ‒ questo percorso appare incompiuto e ancor più faticoso.
Il tormento di oggi non è fatto solo del dolore e delle paure vissute ieri, ma anche del non essere in grado di leggere i fatti e le avvisaglie, del non riuscire a prevenire quel che pensavamo fosse superato con il varo della nostra Costituzione, e di veder nuovamente leggi e decreti democraticamente approvati, ma che violano quei fondamentali principi.
Abbiamo timore di trovarci nella condizione e con le responsabilità che abbiamo addebitato ad altri, in varie e note sedi processuali, di dover disobbedire a un decreto, a una legge, a un ordine, perché i valori supremi andavano difesi nel rispetto di quel profondo richiamo morale. Quando è allora il momento per dire” No”, “Basta”, affinché non sia di nuovo troppo tardi?


Noemi Di Segni,
Presidente Unione delle Comunità Ebraiche Italiane

la grande mostra a mantova
"Marc Chagall, pittore e poeta"
“Come nella pittura, così nella poesia”, scriveva Quinto Orazio Flacco nella sua “Ars Poetica”. Una consonanza che, secondo lo scrittore e drammaturgo surrealista André Pieyre de Mandriargues, forse nessun artista ha saputo incarnare più di Marc Chagall, “il pittore e il poeta per eccellenza”. Ed ecco spiegato perché la mostra sul pittore bielorusso di origine ebraica che sarà inaugurata a Mantova il 5 settembre abbia proprio quel sottotitolo, “Come nella pittura così, nella poesia”.
Una prima presentazione alla stampa ha visto impegnati, alla Triennale di Milano, Mattia Palazzi, sindaco del Comune di Mantova che promuove la rassegna, Rosanna Cappelli, direttore generale Arte Mostre e Musei della casa editrice Electa, cui compete l’organizzazione dell’evento, e Gabriella Di Milia, che lo ha curato in collaborazione con la Galleria di Stato Tretjakov di Mosca.
Almeno due motivi fanno della mostra su Chagall uno degli appuntamenti irrinunciabili del prossimo autunno: il ciclo completo dei sette teleri dipinti per il Teatro ebraico da camera di Mosca torna per la prima volta in Italia dopo ben diciannove anni; il medievale Palazzo della Ragione, che li ospiterà fino al 13 gennaio, riapre per l’occasione, dopo che il terremoto del 2012 lo ha congelato in un lungo periodo di inattività e di restauro.


Daniela Modonesi
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qui ferrara - la donazione al meis 
Da Picasso a Luzzati a Guttuso

Artisti in campo per la Memoria
Pablo Picasso, Käthe Kollwitz, George Grosz. E poi Renato Guttuso, Emanuele Luzzati, Giacomo Manzù, Aligi Sassu, Ernesto Treccani.
Sono solo alcuni degli artisti da poco entrati al Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah grazie alla donazione dell’israelo-svizzera Karin Ohry-Kossoy, che al Meis ha affidato l’album “Non dimenticare. Deuteronomio 25/17”, appartenuto al padre Edward e contenente ben trentadue stampe di grande valore: “Non tanto e non solo in termini economici – precisa il direttore del Museo, Simonetta Della Seta – quanto come testimonianza di una vicenda che lega profondamente l’Italia a Israele".
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tra calcio e memoria
Istvan Toth, un eroe in panchina

La commozione di Budapest
Il nome di Istvan Toth è oggi un po’ dimenticato. Eppure questo grande allenatore ungherese, uno dei Maestri della sua generazione al pari tra gli altri di Arpad Weisz ed Erno Erbstein, vittime entrambi della persecuzione antiebraica, ha letteralmente “fatto il calcio” in un momento in cui questo sport, nel solco del modello inglese, diventava un affare abbastanza serio anche in Italia (nel 1926, agli inizi della sua carriera, la Carta di Viareggio marcò in modo chiaro la differenza tra professionismo e dilettantismo). Un’opportunità di crescita per tutti, anche per i numerosi talenti in panchina che il paese magiaro sfornava in quegli anni. E così, dopo i successi in patria e dopo aver guidato persino la Nazionale, nel 1930 Toth sceglie l’Italia per insegnare calcio prima a Trieste e poi Milano, sponda nerazzurra.
Gli annali ci tramandano il ricordo di un vincente. La Storia ci ricorda che fu anche un grande uomo. Un eroe che, nel momento più drammatico, non esitò a mettere a rischio la vita (perdendola) per salvare il maggior numero possibile di ebrei dai nazifascisti. E questo in combutta con un altro grande collega e connazionale, Geza Kertész, anche lui ex calciatore, anche lui formatosi come allenatore in Italia. Grazie al loro perfetto accento tedesco, fingendosi ufficiali delle SS, i due riuscirono a tirar fuori dal Ghetto di Budapest centinaia di prigionieri destinati al lager. Una rete li sostenne, fin quando arrivò la delazione di una spia a interrompere i loro piani. E quindi l’arresto e la fucilazione, il 6 febbraio del 1945. Una settimana dopo Budapest sarebbe stata liberata.
Ieri il grande cuore di Toth, bandiera del Ferencvaros, è stato celebrato in forma solenne prima del calcio d’inizio della partita dei preliminari di Europa League che ha visto opposti i padroni di casa agli israeliani del Maccabi Tel Aviv. In campo ventidue ragazzini con una maglia raffigurante lo sportivo eroe, cui è stata dedicata anche una precedente commemorazione concertata (come il successivo omaggio) assieme alle due squadre, alla federazione degli ebrei ungheresi, al World Jewish Congress.
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pilpul
Un'occasione perduta
Per essere sicura di non parlare a sproposito mi sono andata a cercare sul sito del Comune di Torino il testo completo dell’ordine del giorno n.5 (oggetto: Gaza) approvato il 9 luglio dal Consiglio Comunale. È opportuno chiarire che Torino è gemellata con Gaza (così come con Haifa e con molte altre città nei vari continenti) e quindi non è affatto illogico che il Consiglio Comunale si occupi di una città gemella di Torino e chieda “Che i governi europei e le ONG possano farsi promotori di un canale umanitario che consenta di supportare gli ospedali locali e fornire farmaci e materiali medici per aiutare la popolazione della Striscia di Gaza che necessita di cure mediche.” Se si fosse limitato a chiedere questo, che poi è la cosa sostanziale, mi pare che l’ordine del giorno sarebbe stato perfettamente condivisibile.
Il problema è che a questa logica e condivisibile conclusione si arriva dopo un preambolo che parla di vari argomenti, abbastanza scollegati tra loro e con il tema principale. Tra questi vorrei segnalarne due di cui mi pare si sia parlato relativamente poco.


Anna Segre, insegnante
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Autodistruzione
Un conoscente, in realtà neanche poi così stupido, mi confessava che le persone provenienti da sotto il tropico del cancro – ovvero quelle di carnagione scura – non avrebbero “la testa granché a posto” visto che in migliaia di anni non sono riuscite ad arrivare al nostro grado di ricchezza e civiltà. Mi portava come esempio il caso dell’iperinflazione dello Zimbabwe, dove per cinque anni il governo diretto dal dittatore Robert Mugabe ha continuato a produrre moneta in eccesso senza provare ad arrestare la svalutazione della stessa. Al primo assunto, potrebbe rispondere senza dubbio meglio di me l’antropologo ebreo Jared Diamond con il celebre libro “Armi, acciaio, malattie” (1997) il quale cerca proprio di sfatare questo pregiudizio etnocentrico assolutamente non così raro. Per confutare la seconda questione, basterebbe chiedersi invece se una civiltà che nel giro di pochi anni ha distrutto un intero patrimonio culturale e mandato verso lo sterminio milioni di persone senza nessuna motivazione razionale, possa considerarsi davvero più intelligente di altre. Una civiltà che magari è accorta nel non produrre monete in eccesso, ma che continua giorno per giorno nella sua opera di autodistruzione.

Francesco Moises Bassano





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