Niente sarà più come prima. La pandemia ha segnato la nostra quotidianità, rivoluzionato il nostro modo di vivere e di relazionarci. L'anno ebraico 5780 è iniziato all’insegna della lotta all’odio, si è concluso con la sfida di sentirsi comunità anche se lontani, di costruire una società più solidale e partecipe.
Ripercorriamo l'anno che va concludendosi in queste ore per lasciare spazio al 5781 attraverso le pagine dello speciale dossier "Fatti e persone" cui è stato integralmente dedicato il numero di Pagine Ebraiche di settembre.
Curato da Daniel Reichel con il contributo di tutta la redazione UCEI, l'approfondimento si apre con una riflessione dello storico sociale delle idee David Bidussa sul bivio storico in cui ci troviamo e sulla necessità, soprattutto in una fase così complessa, di fare le scelte giuste.
"Il Covid vincerà per manifesta superiorità intellettiva? Forse. Se accadrà - riflette Bidussa - vorrà dire che noi ci avremo messo del nostro. In misura considerevole. Richiuderemo tutto? Forse. Se accadrà sarà per l’assenza di una politica europea di prevenzione, e di un fronte comune sanitario che non esiste. Finché avremo una percezione dello Stato solo come macchina repressiva e non come forza persuasiva, è probabile che questo sarà l’effetto. Non c’è solo l’Italia a misurarsi con questo possibile effetto (si guardi a Israele) e dunque si potrebbe anche dire che non è solo il vecchio vizio italiano a risaltare in questa emergenza. E d’altra parte verrebbe da osservare che, una volta che si produce un passaggio di allentamento, è prevedibile che la maggioranza non assuma nuove regole".
All'interno del dossier, pagina dopo pagina, prendono luce i fatti più rilevanti del 5780 che si chiuderà oggi al tramonto. Momenti gioiosi e momenti luttuosi. Iniziative per la cultura, la Memoria, il futuro. Ma anche le molte minacce da fronteggiare per la stabilità sociale.
Spazio anche alle opinioni: abbiamo infatti selezionato alcuni interventi tra i più significativi pubblicati in questi dodici mesi sul giornale dell'ebraismo italiano. Li ritrovate in uno spazio apposito.
Shanà Tovà Umetukà a tutti i nostri lettori!
(Per scaricare il numero di settembre di Pagine Ebraiche con il dossier dell'anno clicca qui)
ROSH HASHANAH 5781 - L'INTERVENTO DELLA PRESIDENTE UCEI
Un nuovo anno all'insegna della vita
Pubblichiamo il testo dell’intervento della Presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Noemi Di Segni trasmesso quest’oggi dalla Rai.
La vita ebraica è scandita da un calendario lunare. Si sta chiudendo l’anno 5780 e avviando l’anno 5781, dal primo di Tishrì. Un conteggio ancorato alla genesi del mondo e non alla genesi del popolo ebraico o di un suo patriarca. Le feste ebraiche, così come la celebrazione settimanale del riposo sabbatico inizia dalla sera, dal tramonto – sempre con una spiegazione rintracciabile nella creazione del mondo – riferendo al creatore la constatazione “e fu sera e fu mattino”.
Mentre il conteggio degli anni è riferito a questo momento globale che riguarda l’intera umanità che passa dinanzi a Dio per il giudizio universale, il conteggio dei mesi è invece riferito alle vicende del popolo ebraico e il primo mese nel conteggio biblico è quello dell’uscita dall’Egitto – la conquista della libertà, formazione di una coscienza collettiva che porta poi al dono della Torah.
Il nostro Capodanno è collocato in un periodo dell’anno in cui il ciclo della vita riavvia una fase agricola del raccolto e della vendemmia, di ripresa degli studi dopo la stagione estiva e un intero mese – quello di Elul – dedicato alle preghiere di scuse e di introspezione.
Stagione che porta con sé nuove promesse e nuove speranze. Tempo di bilancio e di preghiere che recitiamo e tramandiamo da millenni, tempo di testimonianza e di affermazione che la nostra esistenza come genere umano non è solo del presente anno, che va e che viene, ma dalla creazione del mondo, e che il giorno del giudizio si estende a tutti coloro che sono giunti in questo mondo e che ci arriveranno.
Nella porzione di lettura biblica della scorsa settimana abbiamo letto proprio questo, con riferimento al momento in cui il popolo di Israele sta per attraversare il Giordano, di commiato da Mosè che ancora una volta tramanda e raccomanda di seguire la strada del bene. E precisa (parashà di Nizavim): chi è presente in quel momento non è solo chi è fisicamente presente ma anche le future generazioni per le quali si vive e alle quali si tramandano insegnamenti. Primo fra tutti quello di scegliere la vita. E questi insegnamenti non sono lontani nel cielo irraggiungibile né oltre il mare, né qualcuno di speciale deve andare a portarceli, ma sono qui, molto vicino a noi, dentro di noi, e dipende dalla nostra capacità di volerli trovare e applicare.
L’augurio che in ebraico ci scambiamo, “shanà tovà” (“buon anno”), è in fondo molto semplice e poco pretenzioso ma racchiude in sé un equilibrato auspicio, consapevoli di quanto le nostre vite siano complesse e abbinano diverse dimensioni e fatiche. Forse a suggerirlo è la millenaria saggezza che augurarsi il buono è più che significativo.
L’anno appena passato che si chiude con l’emergenza del virus, e si riapre con la permanenza, ha travolto le nostre certezze, le nostre corse in giro per il mondo e la frequentazione assidua di luoghi e persone a noi care, con le feste celebrate solo con i familiari più stretti, con limitazioni nella presenza in sinagoga, chiusure e frustrazioni, ci ha imposto nuove prescrizioni e riconsiderazioni dei nostri modi di vivere ma ha anche confermato pienamente le antiche parole incise e ripetute da secoli: scegliere la vita. Proteggerla, essere responsabili per noi e per gli altri.
Scegliere anche una vita che abbia un significato pieno di partecipazione cittadina, consapevolezza delle nostre responsabilità verso una società civile che desideriamo preservare e migliorare. Lottare contro ogni forma di odio e pregiudizio, sostenere la ricerca scientifica. Un convivere in un contesto italiano ed europeo sorretto da formidabili presidi democratici che abbiamo contribuito a scrivere e statuire, da tramandare ai giovani.
La tavola della cena che celebra il Capodanno è caratterizzata da cibi dolci che simboleggiano l’augurio di fecondità e di dolcezza, di salute, di pace e di cessazione di nemici e odiatori. Qualcosa in fondo si è avverato anche in questi ultimissimi giorni, qualcos’altro sicuramente sarà accolto nei prossimi giorni di intensa introspezione e di continua ricerca del bene.
Shanà Tovà.
ROSH HASHANAH 5781 - LA RIFLESSIONE DELL'AMBASCIATORE
Un Capodanno diverso dal solito
Amiche e amici carissimi,
Questo Rosh Hashanah non assomiglia ai precedenti. Abbiamo trascorso un inaspettato, durissimo inverno. Abbiamo sperimentato di persona le parole del piyyut “Unetanneh Tokef”, pronunciate lo scorso Rosh Hashanah: “Chi per epidemia…”. Personalmente, posso dire che all’inizio dell’inverno ero una persona diversa da quella che sono adesso. Ciò che abbiamo passato durante questi difficili, drammatici mesi è rimasto impresso nella nostra coscienza.
Ritengo sia doveroso per me trarre insegnamenti da questo periodo: a livello nazionale in Israele, sui rapporti italo-israeliani, a livello internazionale nei confronti dei paesi del mondo, a livello professionale e anche a livello personale. L’ambasciata d’Israele a Roma è stata qui tutto questo tempo. Siamo stati con il meraviglioso popolo italiano nel suo lutto e nel suo dolore, e siamo stati anche con i nostri fratelli e sorelle nelle varie comunità ebraiche. Siamo sempre al vostro servizio.
Un nuovo anno non comincia dal nulla, ma si aggiunge a quelli precedenti, anni buoni e anni cattivi. Né un nuovo inizio cancella ciò che lo ha preceduto; si ricomincia da capo sulla base di inizi e di fini precedenti. Anche se non abbiamo ottenuto ciò che desideravamo, non bisogna disperare. Quello che sembra essere un fallimento, ha comunque creato qualche cambiamento; gli sforzi che abbiamo compiuto hanno comunque lasciato un’impronta nella realtà, e ciò che appare in superficie non è ciò che sta accadendo in profondità. Quel che non abbiamo fatto in tempo a concludere, lo continueremo il prossimo anno. Pazienza.
Quando siamo nati, appena usciti dal grembo di nostra madre, che cosa abbiamo fatto? Abbiamo emesso un grande grido. A Rosh Hashanah – “Yom Harat Olam”, il giorno in cui è nato il mondo – nasce un nuovo anno e noi con esso, stupefatti dal mistero del rinnovamento della vita. Al centro della festa c’è il suono dello shofàr; e che altro è esso, se non la riproduzione del primissimo grido del neonato?
Al termine del processo della creazione descritto nel libro della Genesi arriva l’uomo, che è stato creato con la “polvere del suolo” e attende che lo spirito lo faccia vivere: “E soffiò nelle sue narici un alito di vita”, similmente all’operazione di rianimazione che tutti noi abbiamo appreso a lezione di primo soccorso. Soffiò nelle sue narici, come una persona che gonfia pazientemente un palloncino, finché esso non si regge in piedi e diventa un’“anima vivente”. Il respiro di Dio rimane nell’uomo e lo fa vivere. Qualcosa di esso rimane in noi, una parte suprema, spirituale.
Ecco, nel primo giorno dell’anno noi riproduciamo quel primo giorno della nascita del primo uomo, e soffiamo il nostro respiro nello shofàr; lasciamo una parte di noi nel corno dell’ariete, e così facendo si leva un grido, un’esplosione che si rompe in un grande clamore. Questo è il principio intrinseco: per dar vita a una voce, dobbiamo emettere fiato, spirito da dentro di noi; per elevarci al di sopra di noi stessi e del nostro posto, dobbiamo pagare un prezzo sotto forma di rinuncia a una parte di noi stessi.
L’anno scorso abbiamo chiesto, come ogni anno, “Avinu Malkenu, nostro Padre, nostro Re, stabilisci la pace sulla terra”. E in effetti, al termine dell’anno ebraico, abbiamo ricevuto un dono, sotto forma di accordo di pace tra Israele e gli Emirati Arabi Uniti e di una dichiarazione di pace (che maturerà in un altro accordo) con il Bahrein. Anche con l’Arabia Saudita il dialogo è cresciuto ed è divenuto ormai manifesto. Questi paesi arabi si sono resi conto che l’assenza di relazioni con Israele era un prezzo gravoso per loro, e che non era giusto per loro restare prigionieri degli obiettivi di altri gruppi di pressione in Medio Oriente. Questo accordo di pace introduce un paradigma diverso in Medio Oriente: la pace per la pace, cioè la normalizzazione con Israele, in cambio di molte nuove possibilità che si aprono per loro in economia, sicurezza, scienza e cultura.
Un nuovo anno accende in noi la speranza che sia possibile rinnovarsi, chiudere “finestre” spiacevoli nella nostra vita, e aprirne di nuove e migliori. “Hayom harat ‘olam”, “Oggi è nato il mondo”, si dice nella preghiera, e a questo è volto anche il suono dello shofàr: risvegliatevi dal torpore del caldo estivo, da fissazioni mentali, da pensieri di disperazione; risvegliatevi e rinnovatevi, perché c’è speranza per il nostro futuro, e dai frammenti (Shevarìm) della nostra vita si leverà un grande squillo (Teru‘àh) che risuonerà con il grande shofàr per la nostra libertà, e chiederemo: “Abbia fine un anno con le sue maledizioni, abbia inizio un anno con le sue benedizioni”. Shanà tovà u-metukà a tutti voi e alle vostre famiglie, all’Italia, a Israele e al mondo intero. Amen.
Una settimana fa è mancato Amos Luzzatto z”l. Era il 9 settembre, esattamente ottant’anni dopo il bombardamento italiano di Tel Aviv che distrusse la casa dove abitava, in Rechov Frischman, lasciandolo miracolosamente illeso. Ha potuto vivere ancora molti anni, per nostra fortuna. Qualche settimana fa, a metà luglio, Amos mi ha parlato e le sue parole hanno ispirato una riflessione che mi piace condividere con i lettori di questo giornale. Che il suo ricordo sia di benedizione per questo nuovo anno che si apre, Shanah Tovà.
Amos Luzzatto, classe 1928, è mio padre. Da diverso tempo è con noi solo raramente. La sua mente si è progressivamente chiusa in un mondo a parte e viaggia esplorando dimensioni che noi possiamo solo intuire. I suoi occhi buoni, spesso sornioni, ogni tanto tornano a guardare il nostro presente, ma di regola ormai sono chiusi o non vedono quel che noi vediamo o crediamo di vedere. In uno dei pochi momenti di comunicazione almeno in apparenza coerente assume il cipiglio del dirigente di un tempo e detta un messaggio al mondo: “Scrivi!”. Così, fra parole che paiono poco centrate e neologismi fantasiosi che emergono da scambi elettrici intermittenti e inusuali che attraversano neuroni, sinapsi e cellule gliali, ecco la frase stupefacente che si staglia netta nella sua grandiosità: “Passerò lì, dove si può rinnovare il tempo”.
Mai come quest’anno il capodanno ebraico arriva accompagnato dagli auguri di tutti, non solo ebrei. In parte è una coincidenza: in questi giorni ci si scambiano gli auguri per l’inizio del nuovo anno scolastico, con la consapevolezza che ne abbiamo tutti un gran bisogno: gli allievi appena maturati che stanno per affrontare un percorso universitario insolito, fatto di complicate alternanze di lezioni in presenza e a distanza; i ragazzi che tornano sui banchi (singoli) di scuola dopo quasi sette mesi e, come noi, si dovranno adattare a regole insolite, immobilità, mancanza di intervalli, impossibilità di condividere materiale; e tutto con lo spettro di un nuovo lockdown che ci spinge a progettare piani B in ogni ambito prima che sia troppo tardi.
In ogni tefillà che recitiamo dalla prima sera di Rosh ha shanà, fino a Yom Kippur, nelle prime tre benedizioni della ‘amidà aggiungiamo alcune frasi rispetto alla consuetudine giornaliera del resto dell’anno. Nella prima benedizione, chiamata “birkat avot” (A’ sefatai tiftach ecc.) aggiungiamo la frase che recita le seguenti parole: “Zokhrenu le chaiim-ricordaci per la vita oh Re che gradisci la vita, e iscrivici nel libro della vita, in Tua grazia oh D-o vivente”.
L’accordo tra Israele, gli Emirati Arabi e il Bahrein ha colto tutti di sorpresa, e sembra sia stato accolto con seppur moderato entusiasmo da persone di svariate tendenze e simpatie politiche. Eppure tra le numerose analisi che ho avuto modo di leggere pare che le reali motivazioni sfuggano un po’ a chiunque. Sino a qualche mese fa gli argomenti che riguardavano la regione erano il “piano di pace” di Donald Trump, l’annessione imminente della Valle del Giordano e il tramonto della “soluzione a due stati”.