Un anno per il rinnovamento

Amiche e amici carissimi,
Questo Rosh Hashanah non assomiglia ai precedenti. Abbiamo trascorso un inaspettato, durissimo inverno. Abbiamo sperimentato di persona le parole del piyyut “Unetanneh Tokef”, pronunciate lo scorso Rosh Hashanah: “Chi per epidemia…”. Personalmente, posso dire che all’inizio dell’inverno ero una persona diversa da quella che sono adesso. Ciò che abbiamo passato durante questi difficili drammatici mesi è rimasto impresso nella nostra coscienza.
Ritengo sia doveroso per me trarre insegnamenti da questo periodo: a livello nazionale in Israele, sui rapporti italo-israeliani, a livello internazionale nei confronti dei paesi del mondo, a livello professionale e anche a livello personale. Un dramma del genere non può passare solo come una questione meramente sanitaria, una specie di virus fastidioso che tutti aspettiamo che scompaia. Traiamone invece una buona lezione per la nostra vita. L’ambasciata d’Israele a Roma è stata qui tutto questo tempo. Siamo stati con il meraviglioso popolo italiano nel suo lutto e nel suo dolore, e siamo stati anche con i nostri fratelli e sorelle nelle varie comunità ebraiche. Siamo sempre al vostro servizio.
Un nuovo anno non comincia dal nulla, ma si aggiunge a quelli precedenti, anni buoni e anni cattivi. Né un nuovo inizio cancella ciò che lo ha preceduto; si ricomincia da capo sulla base di inizi e di fini precedenti. Anche se non abbiamo ottenuto ciò che desideravamo, non bisogna disperare. Quello che sembra essere un fallimento, ha comunque creato qualche cambiamento; gli sforzi che abbiamo compiuto hanno comunque lasciato un’impronta nella realtà, e ciò che appare in superficie non è ciò che sta accadendo in profondità. Quel che non abbiamo fatto in tempo a concludere, lo continueremo il prossimo anno. Pazienza.
Quando siamo nati, appena usciti dal grembo di nostra madre, che cosa abbiamo fatto? Abbiamo emesso un grande grido. A Rosh Hashanah – “Yom Harat Olam”, il giorno in cui è nato il mondo – nasce un nuovo anno e noi con esso, stupefatti dal mistero del rinnovamento della vita. Al centro della festa c’è il suono dello shofàr; e che altro è esso, se non la riproduzione del primissimo grido del neonato?
Al termine del processo della creazione descritto nel libro della Genesi arriva l’uomo, che è stato creato con la “polvere del suolo” e attende che lo spirito lo faccia vivere: “E soffiò nelle sue narici un alito di vita”, similmente all’operazione di rianimazione che tutti noi abbiamo appreso a lezione di primo soccorso. Soffiò nelle sue narici, come una persona che gonfia pazientemente un palloncino, finché esso non si regge in piedi e diventa un’“anima vivente”. Il respiro di Dio rimane nell’uomo e lo fa vivere. Qualcosa di esso rimane in noi, una parte suprema, spirituale.
Ecco, nel primo giorno dell’anno noi riproduciamo quel primo giorno della nascita del primo uomo, e soffiamo il nostro respiro nello shofàr; lasciamo una parte di noi nel corno dell’ariete, e così facendo si leva un grido, un’esplosione che si rompe in un grande clamore. Questo è il principio intrinseco: per dar vita a una voce, dobbiamo emettere fiato, spirito da dentro di noi; per elevarci al di sopra di noi stessi e del nostro posto, dobbiamo pagare un prezzo sotto forma di rinuncia a una parte di noi stessi.
L’anno scorso abbiamo chiesto, come ogni anno, “Avinu Malkenu, nostro Padre, nostro Re, stabilisci la pace sulla terra”. E in effetti, al termine dell’anno ebraico, abbiamo ricevuto un dono, sotto forma di accordo di pace tra Israele e gli Emirati Arabi Uniti e di una dichiarazione di pace (che maturerà in un altro accordo) con il Bahrein. Anche con l’Arabia Saudita il dialogo è cresciuto ed è divenuto ormai manifesto. Questi paesi arabi si sono resi conto che l’assenza di relazioni con Israele era un prezzo gravoso per loro, e che non era giusto per loro restare prigionieri degli obiettivi di altri gruppi di pressione in Medio Oriente. Questo accordo di pace introduce un paradigma diverso in Medio Oriente: la pace per la pace, cioè la normalizzazione con Israele, in cambio di molte nuove possibilità che si aprono per loro in economia, sicurezza, scienza e cultura.
Un nuovo anno accende in noi la speranza che sia possibile rinnovarsi, chiudere “finestre” spiacevoli nella nostra vita, e aprirne di nuove e migliori. “Hayom harat ‘olam”, “Oggi è nato il mondo”, si dice nella preghiera, e a questo è volto anche il suono dello shofàr: risvegliatevi dal torpore del caldo estivo, da fissazioni mentali, da pensieri di disperazione; risvegliatevi e rinnovatevi, perché c’è speranza per il nostro futuro, e dai frammenti (Shevarìm) della nostra vita si leverà un grande squillo (Teru‘àh) che risuonerà con il grande shofàr per la nostra libertà, e chiederemo: “Abbia fine un anno con le sue maledizioni, abbia inizio un anno con le sue benedizioni”. Shanà tovà u-metukà a tutti voi e alle vostre famiglie, all’Italia, a Israele e al mondo intero. Amen.

Dror Eydar, ambasciatore d’Israele in Italia

(18 settembre 2020)