Se non leggi correttamente questo messaggio, clicca qui      3 Novembre 2020 - 16 Cheshvan 5781
VIENNA IL GIORNO DOPO L'ATTACCO TERRORISTICO

“Luoghi ebraici chiusi per sicurezza”

Restate a casa, non indossate la kippah. Non è la prima volta che dai vertici di una Comunità ebraica europea arriva questo drammatico appello. È successo ancora una volta a Vienna, durante l’azione terroristica delle scorse ore. Un attacco in più punti, iniziato come noto a pochi metri dalla sinagoga principale della capitale austriaca. Tutte le attività ebraiche nel Paese sono oggi chiuse, dalle sinagoghe ai supermercati casher. Ad annunciarlo è stato il presidente degli ebrei austriaci Oskar Deutsch. Un intervento cautelativo, concordato con le autorità, mentre prosegue senza sosta la caccia ai terroristi che si sono dati alla fuga e che, si teme, potrebbero colpire nuovamente. “Siamo vicini col pensiero ai parenti delle vittime e a tutti i feriti”, ha sottolineato in una nota Deutsch. “Il movente dei terroristi è evidente. Quanto accaduto – ha poi affermato – ci ricorda che l’odio antiebraico di una parte del mondo islamico non è una minaccia solo per gli ebrei, ma per tutte le persone che si riconoscono nella democrazia e nella libertà”. “Un attacco alla coesistenza”: così l’ha definito il rabbino capo di Vienna rav Jaron Engelmayer. “Molte comunità – il suo pensiero – vivono fianco a fianco in pace e reciproco rispetto. L’attacco ha lo scopo di minacciare questo stato delle cose”.

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L'INTERVISTA DI PAGINE EBRAICHE AL GRANDE INTELLETTUALE MAREK HALTER 

“Imam contro il fondamentalismo,
aiutiamo la loro voce ad emergere”

Marek Halter ci risponde mentre si sta preparando a un appuntamento molto significativo. Nel pomeriggio infatti diversi imam d’Europa, da lui coordinati, si confronteranno con il ministro dell’Interno francese. Il tema sarà il contrasto all’Islam radicale che sta insanguinando, ancora una volta, le strade di Francia e d’Europa. 
“È curioso che sia stato io, un ebreo, a organizzare questo incontro. È però fondamentale, soprattutto in un momento così drammatico, che il messaggio sia unitario. L’impegno contro odio e violenza deve essere forte, deciso, determinato. Il mondo islamico, interpellato in modo diretto dallo Stato, deve parlare chiaro. Solo così ci salveremo da una catastrofe”.
Il grande intellettuale nato a Varsavia ma francese d’adozione, avrà al suo fianco un buon amico: Hassen Chalghoumi, l’imam di Drancy da anni sotto scorta per le molte minacce ricevute a causa della sua lotta contro fondamentalismo e antisemitismo. 
“La sua – dice Halter a Pagine Ebraiche – è una voce preziosa e coraggiosa. Ma non è l’unica. Dobbiamo fare in modo che anche altre emergano. Che lascino un segno nella comunità islamica. Sarà dura, ma ce la possiamo fare. Il momento è però adesso. Non si può più esitare”. 
Anche gli intellettuali, sottolinea, devono fare la loro parte. “A differenza di molti miei amici islamici – afferma Halter – il Corano io l’ho letto e continuo a leggerlo. Maometto lo dice chiaramente: se Allah avesse voluto, avrebbe creato una sola comunità umana. È un concetto che non è passato abbastanza e della cui trasmissione anche lo Stato deve interessarsi. Evidentemente non basta dire: queste sono le nostre leggi, rispettatele. Bisogna forse fare di più. Aiutare le persone di buona volontà ad esprimersi, coinvolgerle, dare forza al loro impegno. Solo così potremo contrastare questa terribile minaccia”. 
Con Pagine Ebraiche, in una intervista che sarà pubblicata sul prossimo numero del mensile, Halter ha parlato anche del suo nuovo libro in uscita: Un Monde Sans Prophetes (Un mondo senza profeti). “I grandi uomini politici del passato hanno avuto al fianco grandi menti. Grandi pensatori che li hanno ispirati e in cui hanno potuto riflettersi. Oggi non sembra esserci più posto per tutto ciò. La crisi della politica – riflette Halter – ne è la prima immediata conseguenza”.

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LE ELEZIONI USA E LA PREOCCUPAZIONE PER LE TENSIONI SOCIALI

“Biden o Trump, qualsiasi sia il risultato
l'America rimanga unita"

Per descrivere il clima negli Stati Uniti nel grande giorno delle elezioni presidenziali, il vignettista israeliano Amos Biderman ha scelto un modo forse un po' estremo: ha rappresentato lo scontro tra i sostenitori del repubblicano Donald Trump e del democratico Joe Biden come fosse una riedizione della guerra civile del 1861. Fortunatamente non siamo a quel punto, ma i media raccontano di un'America mai così divisa e di un voto ad alta tensione. Per questo ci sono molti appelli, anche per parte ebraica, all'unità, qualsiasi sia l'esito del voto. “Tutti noi dobbiamo far sentire la nostra voce nel 2020. E dobbiamo rimanere uniti una volta che arriveranno i risultati, dobbiamo unirci dietro lo spirito che può fare di questo Paese un faro di compassione per il mondo”, l'appello del presidente dell'organizzazione ebraica Anti-Defamation League Jonathan Greenblatt. In una lettera aperta, Greenblatt sottolinea come il voto sia “un semplice e sacro atto al centro della nostra democrazia”, la mantiene “vitale, rappresentativa ed equa. Il voto è fare in modo che a tutti sia data la possibilità di esprimersi; che ci assicuriamo una società giusta e inclusiva per tutti”. In questo quadro, il direttore dell'ADL – organizzazione impegnata nella lotta all'antisemitismo – descrive le iniziative intraprese dall'ente per tutelare la libertà dei cittadini di esprimere il proprio voto.

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IL MESSAGGIO DEL PRESIDENTE ARMENO A GERUSALEMME

“Nagorno-Karabakh, Israele è dalla parte sbagliata.
Non rimanga con la Turchia e i suoi mercenari”

"Israele dovrebbe porsi la domanda: non sta forse combattendo de facto a fianco della Turchia e dei mercenari nel Nagorno-Karabakh? Questa posizione le conviene? Se lo è, Dio sia con lei. Ma penso che ci saranno conseguenze specifiche, e (Israele) dovrà affrontarle”. Le parole del Primo ministro armeno Nikol Pashinyan al Jerusalem Post suonano contemporaneamente come un appello e come una minaccia. Per Pashinyan Gerusalemme deve riflettere sulle sue strategie nel conflitto in corso tra milizie armene e azere: la vendita di armi israeliane all'Azerbaigian rappresenta, per il Premier armeno, un sostegno indiretto all'esercito di Baku nell'attuale scontro nella regione del Nagorno-Karabakh. Ma dalla parte azera si è anche apertamente schierata la Turchia, sempre più aggressiva a livello internazionale, sia con un sostegno militare diretto sia pagando mercenari siriani per combattere nell'area contesa da decenni. Volete veramente stare dalla loro parte? L'interrogativo di  Pashinyan rilanciato nell'intervista rilasciata in esclusiva al Post.

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IL RICONOSCIMENTO DELL'ASSOSTAMPA FRIULI-VENEZIA GIULIA

San Giusto d’Oro 2020, premiato Andrea Segrè

È l’economista Andrea Segrè (nell’immagine) il vincitore della 54esima edizione del San Giusto d’Oro, prestigioso riconoscimento nato nel 1967 su iniziativa del Gruppo Giuliano Cronisti. Lo ha stabilito l’Assostampa Fvg, articolazione territoriale della Fnsi, sindacato unitario dei giornalisti italiani, che organizza il premio.
Ospite in passato del seminario Mercati e Valori organizzato dalla redazione di Pagine Ebraiche, Segrè ha svolto in questi anni un importante lavoro di ricerca ed elaborazione sulla lotta agli sprechi alimentari. “È partito – sottolinea Carlo Muscatello, presidente dell’Assostampa Fvg – da un dato di fatto: a fronte di oltre 800 milioni di persone che nel mondo soffrono ancora la fame, quasi un terzo del cibo viene sprecato senza nemmeno arrivare in tavola. Uno spreco eticamente non accettabile che è anche un problema ambientale, essendo fra i responsabili del surriscaldamento globale”.
Una targa speciale sarà invece assegnata a Giovanna Botteri. Un riconoscimento che, spiega Muscatello, va a premiare il lavoro “di una collega giornalista nata a Trieste, che qui ha mosso i primi passi di una carriera che l’ha portata a essere testimone dei grandi avvenimenti internazionali degli ultimi decenni”.

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QUI MILANO - LA RACCOLTA FONDI 

Beth Shlomo, una storia da salvare

“In questo storico edificio tornò a vita dopo lo scempio delle persecuzioni fasciste e naziste la Comunità ebraica di Milano. Qui furono attivi tra il 1945 e i primi anni ’50 un luogo di culto, un centro di accoglienza profughi. Qui decine di migliaia di ebrei strappati alle loro case e alle loro famiglie trovarono amorevole assistenza, rifugio, sostentamento, cure mediche, notizie di familiari dispersi. Per molti fu da qui organizzato l’approdo alle sponde della Terra Promessa”. Così recita la targa commemorativa apposta nel cortile di Palazzo Odescalchi in via Unione 5, oggi sede della Polizia di Stato, che ricorda i giorni della rinascita dell’ebraismo milanese alla fine della seconda guerra mondiale. Una rinascita che ebbe tra i suoi luoghi simbolo la sinagoga con il suo Aron HaKodesh del campo di concentramento di Ferramonti, in Calabria, e i Sifrei Torah portati a Milano dal rabbino capo di Genova Riccardo Pacifici. Un luogo creato attraverso l’impegno dei soldati ebrei dell’esercito Britannico – tra cui i volontari della Brigata Ebraica – e dei profughi giunti a Milano per trovare riparo e, in parte, per fare l’Aliyah. Un luogo carico di storia di cui nel tempo si è fatto custode il Beth Shlomo She’erit Haplità – oggi con sede in Porta Romana – che rappresenta l’erede di quella prima sinagoga di via Unione 5 (nell’immagine un matrimonio celebrato in quella sede). Proprio il Beth Shlomo, memoria della rinascita ebraica a Milano, rischia oggi di dover chiudere per mancanza di fondi, e per questo è stata lanciata una campagna di crowdfunding per sostenerlo. 

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Rassegna stampa

Europa sotto attacco
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In trepida attesa
Non chiederemo agli islamici di dissociarsi dal terrorismo islamista, come non abbiamo mai accettato che nessuno chiedesse a noi, ebrei, di dissociarci dal male commesso da un qualsiasi ebreo in giro per il mondo. Ma solo la coscienza etica e umanitaria dell’Islam può levare la sua voce per isolare e fermare la mano del fanatismo islamista. Educando alla convivenza civile e al rispetto dell’identità e della cultura altrui.
Rimaniamo fiduciosi in trepidissima attesa.
Dario Calimani
As Time(s) goes by
Dopo la decapitazione in strada del professore francese che aveva mostrato in classe delle vignette blasfeme su Maometto (che, personalmente, non condivido affatto, ma ciò che non si condivide non può comportare il taglio della testa) il New York Times ha titolato “French Police shoot and kill man after a fatal knife attack”, seguendo uno stile che, in Italia, è riservato alle vicende israeliane dove, nel caso di uccisione di un attentatore, si cita prima la reazione e poi l’azione, dimostrando, ancora una volta, che siamo un laboratorio politico.
Emanuele Calò
Cosa rappresenta la Francia
Da almeno cinque anni la Francia è il principale bersaglio dell’Islam, sul piano terroristico ma anche su quello semplicemente ideologico. Alla fine di questo tormentato 2020 l’acredine e la violenza contro la République e quello che essa rappresenta agli occhi del mondo musulmano sembrano velocemente tornare ai livelli del 2015, anno siglato a gennaio dall’ “esecuzione” della redazione di “Charlie Hebdo” e dal massacro del supermercato Hyper Cacher e a novembre dalla strage per le vie del centro di Parigi; o a quelli del 2016, quando il 14 luglio venne funestato dalla carneficina della Promenade des Anglais di Nizza. 
David Sorani
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