Cosa rappresenta la Francia

Da almeno cinque anni la Francia è il principale bersaglio dell’Islam, sul piano terroristico ma anche su quello semplicemente ideologico. Alla fine di questo tormentato 2020 l’acredine e la violenza contro la République e quello che essa rappresenta agli occhi del mondo musulmano sembrano velocemente tornare ai livelli del 2015, anno siglato a gennaio dall’ “esecuzione” della redazione di “Charlie Hebdo” e dal massacro del supermercato Hyper Cacher e a novembre dalla strage per le vie del centro di Parigi; o a quelli del 2016, quando il 14 luglio venne funestato dalla carneficina della Promenade des Anglais di Nizza. Solo pochi giorni dopo l’orrenda decapitazione del professor Samuel Paty, reo di voler formare i suoi studenti alla riflessione critica, accanto alla aperta condanna del fanatismo islamista da parte delle istituzioni e alla indignata protesta popolare stava emergendo sui mass media un preoccupante dibattito circa la liceità delle vignette pubblicate dal settimanale satirico, quand’ecco che la violenza omicida e gratuita torna a colpire tre persone qualsiasi, colpevoli solo di essere cristiane e di trovarsi nella cattedrale di Nizza.
È evidente che la rovente polemica antifrancese e il clima di intimidazione montato negli ultimi dieci giorni dal premier turco Erdogan hanno alimentato in alcuni ambienti musulmani l’atmosfera di odio vendicatore capace di provocare questa ulteriore atrocità.
Perché definisco “preoccupanti” i dubbi di legittimità sollevati intorno alle vignette di “Charlie Hebdo”? Perché trovo preoccupante e sconsolante che si possa concedere anche solo una parvenza di sostenibilità alle posizioni del tiranno turco. Deve essere chiaro che da una parte c’è il mondo aperto della democrazia, della libertà e del diritto di critica, di ironia e di satira; dall’altra l’universo chiuso dell’oscurantismo e della sopraffazione, il regno della verità unica e indiscutibile che arriva dall’alto e viene usata come strumento di dominio politico-religioso. Mi pare inquietante che all’interno del clima culturale occidentale, fondato sulla libera ricerca e sul diritto al dissenso, sia possibile giustificare in qualche modo le posizioni autoritarie di un Erdogan o di un Rohani.
Eppure accade. Un sano e di per sé apprezzabile relativismo, che anima la stessa visione liberal-democratica di cui siamo figli, porta oggi un occidente insicuro e tormentato dalla crisi sanitaria-economico-sociale provocata dalla pandemia a dimenticare la lezione dell’illuminismo, a dubitare dei principi fondanti della propria visione del mondo, a rimetterli in discussione e talvolta a giustificare freni o ostacoli alla loro applicazione. E’ vero, le immagini pubblicate da “Charlie Hebdo” possono non piacerci; possono apparirci volgari e superficiali, gratuitamente violente e finanche offensive. Quindi “discutibili”, e perciò stesso degne di essere pubblicate, dibattute, criticate. La satira è per sua natura irriverente, se no non è satira. E senza satira la libertà di pensiero, di espressione, di dissenso sono irrimediabilmente mutilate. Ecco, forse nella sua incertezza attuale il mondo occidentale sta in parte smarrendo lo spirito di tolleranza necessario a comprendere e apprezzare la forza graffiante e totalmente “altra” dell’ironia, a sorriderne e contemporaneamente a criticarla con intelligenza per “andare oltre”. Sinché questa incapacità è espressione delle frange fanatiche e totalitarie di un islamismo jihadista o del fondamentalismo politico-religioso che le nutre (sunnita e sciita, Turchia e Iran) non c’è niente di nuovo sotto il sole. Quando invece il timore di dare spazio a immagini dissacranti, la paura della profanazione e delle sue conseguenze, l’idea che pubblicare una caricatura sgradita ad autorità religiose corrisponda a blasfemia ed empietà emergono dalla realtà sedicente democratica, allora un processo di involuzione è in corso al suo interno.
La Francia ferita di oggi, pur con tutte le sue ingiustizie passate e recenti, rappresenta il diritto e l’esigenza di libertà dell’occidente. Grandeur e colonialismo, affare Dreyfus e antisemitismo, collaborazionismo filonazista, guerra d’Algeria, pregiudizio anti-israeliano, jihadismo antisemita di una sua componente islamista costituiscono macchie e lacerazioni profonde del suo tessuto. Ma la lezione centrale di democrazia e di partecipazione politica ci giunge comunque dalla sua storia, a partire dall’illuminismo e dalla Rivoluzione dell’89. E ancora ai nostri giorni non possiamo farne a meno. Ecco perché, di fronte all’attacco concentrico che si sviluppa oggi nei suoi confronti, non possiamo non dirci cittadini francesi.

David Sorani