Se non leggi correttamente questo messaggio, clicca qui    1 Febbraio 2021 - 19 Shevat 5781
PAGINE EBRAICHE - FEBBRAIO 2021 

“Covid-19, non lasciamo soli i malati”

Con il proprio volto stampato sul camice, Limor Di Segni da mesi entra ogni giorno nelle stanze dove sono ricoverati i pazienti con Covid-19. Si mette al loro fianco, parla con loro, li aiuta ad affrontare le ansie, la paura di morire, la profonda solitudine. Da vent’anni Limor collabora con gli ospedali israeliani, mettendo al servizio dei pazienti le sue competenze di assistente sociale. “Non avrei mai immaginato però di assistere a una situazione come quella che stiamo vivendo: migliaia di persone ricoverate che non possono neanche incontrare i propri cari”, racconta a Pagine Ebraiche. La solitudine è uno dei più tragici effetti del Covid-19. I ricoverati non hanno la possibilità di avere un contatto reale con i propri famigliari fuori. Telefonate e videochiamate sono, quando possibile, l’unico importante legame con l’esterno. Milioni di persone se ne sono andate senza poter dare l’ultimo saluto a figli, mogli, mariti, amici. “La cosa che fa più paura è morire soli” sottolineava a Pagine Ebraiche Liliana Segre, mentre l’Italia affrontava la prima tragica ondata della pandemia. “Da noi la prima fase non è stata così critica come in Italia, ma comunque nessuno poteva visitare i pazienti”, spiega Limor. Poi anche in Israele il virus ha iniziato a diffondersi, costringendo in ospedale migliaia di persone, chiuse in reparti isolati. “Dalla seconda ondata nel mio ospedale, il Carmel di Haifa, abbiamo deciso di cambiare strategia. E, oltre alle videochiamate con i parenti, ho iniziato ad entrare nelle stanze per dare assistenza psicologica ai pazienti. Lavorare con loro per affrontare le paure e la solitudine, essere di conforto e sostegno per persone che si sentono perse e abbandonate. Non siamo abituati a una cosa del genere, a una malattia che ci costringe a tagliare i ponti con tutti, a morire soli”.

QUI MILANO - L'APPROFONDIMENTO ONLINE 

Perseguitati razziali e benemerenze,
il punto sulle novità normative

Sollevare dalle spalle di chi subì la persecuzione anti-ebraica in Italia l'obbligo, complicato e paradossale, di dover dimostrare di aver sofferto e di aver subito atti di violenza e sevizie, con documenti originali o testimoni. È una delle storiche innovazioni introdotte dall'ultima legge di Bilancio in merito alle richieste degli assegni di benemerenza per i perseguitati razziali. Con questa modifica, i perseguitati non hanno più l'onere di dover di dimostrare la discriminazione. Per le richieste, dovranno invece solamente fornire prova della cittadinanza italiana e dell'iscrizione a una Comunità ebraica, aggiungendo una descrizione analitica della discriminazione subita. A spiegare in modo dettagliato cosa è cambiato, come si è arrivati alle modifiche alla legge Terracini (inerente al riconoscimento degli assegni di benemerenza per i perseguitati politici e razziali) e il ruolo dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, gli avvocati Giulio Disegni e Davide Jona Falco, rispettivamente Vicepresidente e Consigliere UCEI. Occasione per analizzare a fondo l'argomento, l'incontro online parte del programma di Kesher, il ciclo di iniziative a cura della Comunità ebraica di Milano (clicca qui per rivederlo). Una serata aperta dalla presentazione da parte della storica Liliana Picciotto del libro Ci salveremo Insieme di Ada Ottolenghi, a cui è seguita un'analisi introduttiva della Presidente UCEI Noemi Di Segni sul lavoro dell'Unione in merito alla legge Terracini così come su altri fronti.

QUI ROMA - IL QUADERNO DELLA FONDAZIONE MURIALDI

“Giornalisti cacciati nel ’38,
ricordo e impegno concreto”

Il 16 febbraio 1940 almeno trenta giornalisti ebrei vennero radiati dall’albo in seguito all’applicazione delle leggi razziste. Tra loro anche Alberto Pincherle, meglio conosciuto come Alberto Moravia.
A distanza esatta di 80 anni, la Fondazione sul giornalismo Paolo Murialdi, in collaborazione con la Comunità ebraica di Roma, aveva organizzato un evento in loro memoria segnato anche dalla simbolica reiscrizione di quanti furono allora epurati. Uno degli ultimi appuntamenti a svolgersi in presenza prima dell’avvento dell’epidemia e dell’ingresso del Paese in lockdown.
A quell’iniziativa è dedicato il numero tre dei quaderni Murialdi, recentemente stampato a cura della All Around Edizioni. All’interno diversi interventi dedicati a quel tema. Tra cui quelli di Vittorio Roidi, che della fondazione è il presidente; Paola Spadari, presidente del Consiglio regionale dell’Ordine dei Giornalisti del Lazio; Silvia Antonucci, responsabile dell’archivio storico della Comunità; Massimo Finzi, assessore comunitario alla Memoria.

QUI BOLOGNA - LA MOSTRA

“Le parole di Primo Levi, un atto d’amore”

Nel 1961 Francesco Berti Arnoaldi Veli, il “partigiano Checco”, invita Primo Levi a portare la sua testimonianza sull’esperienza del lager a margine di una lezione tenuta da Enzo Enriques Agnoletti nell’ambito della rassegna Trent’anni di storia italiana. Un ciclo di dodici appuntamenti serali presso il Teatro comunale di Bologna. Insieme a Primo Levi, quella sera ci sono anche Giorgio Bassani, Piero Caleffi e Giulio Supino. Tre ebrei e un prigioniero politico. Due internati e due scampati alla persecuzione e alla cattura. Tutti, compreso Enriques Agnoletti, fratello della partigiana Anna Maria uccisa dai nazisti il cui padre era ebreo, sono uniti dal comune sentimento antifascista.
La rassegna delle lezioni di storia italiana, che fa seguito ad altre due analoghe già svoltesi in anni precedenti a Roma e a Torino, nasce proprio dall’urgenza di consolidare la ritrovata democrazia tramite la memoria dei tragici fatti accaduti sotto la dittatura fascista e nel periodo della guerra.
Un appuntamento attorno al quale ruota la mostra “1961. Primo Levi a Bologna”, curata da Caterina Quareni. L’elaborazione online di una mostra che il Museo ebraico cittadino aveva organizzato nel 2016 in collaborazione con l’Istituto Storico Parri Emilia-Romagna. Tra i nuovi contenuti proposti in digitale una videolezione di Alberto Cavaglion, storico e docente dell’Università degli Studi di Firenze, tra gli studiosi più apprezzati dell’opera di Primo Levi.

QUI VERONA 

Il campo di Montorio e la tutela della Memoria viva

Nonostante la pioggia e il Covid, una piccola rappresentanza degli enti coinvolti nella sua scoperta si sono ritrovati nelle scorse ore a Montorio – frazione di Verona – davanti alla targa che ricorda il campo di concentramento ivi situato. Utilizzato con questo fine nei primi mesi del 1944 – poi luogo di detenzione di prigionieri politici fino al termine della seconda guerra mondiale – vide la presenza di una sessantina di ebrei, successivamente trasferiti a Fossoli e quindi ad Auschwitz. Alcune lettere ritrovate, unitamente ad atti amministrativi dell’epoca e alle testimonianze di chi – sopravvissuto – ha raccontato la sua esperienza, hanno portato alla precisa individuazione di questo campo e alla sua identificazione come “campo di concentramento”. Soltanto nel 2017 la targa di commemorazione e alcuni cartelli esplicativi forniti di foto vennero posizionati in un punto particolarmente importante per la fruizione da parte dei cittadini, trovandosi accanto ad un percorso pedonabile e ciclabile.

La prevenzione dei genocidi 
Il 27 gennaio, in occasione della Giornata della Memoria, il presidente di Gariwo, Gabriele Nissim, ha formulato in un’audizione alla Commissione Esteri della Camera dei Deputati tre proposte, poi approvate dalla Commissione, per la prevenzione e la repressione dei genocidi.
L’idea di prevenire e combattere i genocidi è stata all’origine della riflessione di un giurista ebreo polacco rifugiatosi nel 1939 negli Stati Uniti, Raphael Lemkin.
Anna Foa
Il Giorno della Memoria, tra luci e ombre 
Dopo essere stata rimossa o derubricata e ridimensionata a favore di letture meno allarmanti e consolatorie, che hanno in parte coinvolto anche il mondo ebraico, la memoria della Shoah è progressivamente assurta a mito di fondazione di quel che l’Europa e il mondo non avrebbero più voluto che si ripetesse. 
Nella crisi che ha coinvolto le grandi narrazioni ideologiche del Novecento, la memoria della Shoah ha finito per riempire un vuoto identitario e di appartenenza, assumendo il valore di un paradigma.
David Meghnagi
Oltremare - Start-up vaccini
Avendo oggi gloriosamente raggiunto, seppur con ritardo, il resto della popolazione adulta e vaccinata (a metà per il momento), posso a questo punto certificare che i vaccini Pfizer che vengono somministrati in Israele esistono davvero e non sono frutto di una propaganda governativa per farci sentire temporaneamente più tranquilli.  
Daniela Fubini
Controvento - Elogio di una vita minima
Il 27 gennaio, Giorno della Memoria, è mancato mio cugino Alessandro Nistor. Noi lo chiamavamo Sandel. Era un uomo di profonda e multiforme cultura, di intelligenza fuori dal comune e di squisita sensibilità umana.
In un mondo in cui tutti sognano la notorietà, sgomitano per apparire, inanellano followers, aspirano alle luci della ribalta, lui aveva scelto di vivere nell’ombra. Una vita minima, come quella di William Stoner, protagonista del formidabile romanzo di John Williams, o dell’indimenticabile scrivano Bartleby di Melville.
Viviana Kasam
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