Se non leggi correttamente questo messaggio, clicca qui               18 Marzo 2021 - 5 Nissan 5781
ISRAELE E LE CONVERSIONI NON ORTODOSSE - L'INTERVENTO DEL RAV SOMEKH 

"Sentenza della Corte, un fallimento per tutti"

“Con il rinnovamento della vita ebraica in Terra Santa vi era la speranza di un rinnovamento del potere creativo di entrambe: halakhah e aggadah… Eppure oggi molte guide spirituali, la cui cultura e il cui zelo pur evocano rispetto, non si rendono conto che alcune delle loro decisioni contengono un elemento di eresia pan-halakhica” (“Rassegna Mensile di Israel”, 39/2, febbraio 1973, p. 91).
Con queste parole, a suo tempo definite profetiche, Abraham Joshua Heschel si rivolgeva al 22° Congresso Sionistico Mondiale a Yerushalaim nel gennaio 1972, pochi mesi prima della sua morte. Peccato che l’autore, uno dei più grandi esperti di Midrash dell’ultimo secolo, non fosse osservante: Heschel insegnava etica e mistica ebraica in prestigiosi istituti del mondo riformato (Hebrew Union College) e conservative (Jewish Theological Seminary) americano e, di fatto, lo rappresentava.
Voglio confrontare questo testo con la recente sentenza della Corte Suprema israeliana che riconosce agli effetti civili le conversioni effettuate dai rabbini reform in Israele. Non è questo che un ulteriore passo verso il pieno riconoscimento di un rabbinato alternativo nella società israeliana. Attribuire il problema a un vero o presunto strapotere della Corte Suprema e quindi a un difetto nell’ordinamento statale è riduttivo e forse anche pericoloso. Qualcuno ha addirittura chiesto come contropartita di introdurre il principio che i giudici siano eletti dal popolo. A parte il fatto che non è detto di poter contare sempre su una maggioranza a noi favorevole, che il potere giudiziario resti indipendente dalla volontà popolare è una tutela della democrazia anziché no. Per non finire come con certi uomini politici italiani che sognano di poter tutelare i propri capricci invocando un controllo sui giudici!
Il fenomeno di cui parliamo è ormai evidente non solo nei tribunali, ma anche in altri ambienti non meno influenti come l’accademia. Agli studenti delle facoltà scientifiche in Israele il curriculum richiede di frequentare anche alcuni corsi di cultura umanistica, detti avnè pinnah (lett. “pietre angolari”). Ciò è di per sé un bene, nella misura in cui questi insegnamenti si prefiggono di formare non solo degli scienziati, ma prima di tutto dei cittadini. Il problema è che l’impostazione di questi corsi, per lo più di cultura ebraica, è spesso molto lontana dalla visione del mondo dell’ebraismo tradizionale. La simpatia di molti professori per la riforma è palpabile, come se l’Università volesse di proposito legittimare una coscienza umanistica nazionale che sostituisca quella della yeshivah.
Parliamo dunque di un problema non solo istituzionale, ma culturale e identitario: la società israeliana, sotto questo profilo, mostra di essere in crisi non meno della stessa Diaspora. Le ragioni sono a mio avviso almeno tre. Anzitutto la perdita di credibilità del rabbinato ufficiale, che non ottiene più lo stesso rispetto nel vasto pubblico. Per carità, questo problema è in realtà sempre esistito, ma non nelle proporzioni odierne. Fatto culturale? Semplice incapacità di comunicazione, o c’è dell’altro? Le parole di Heschel richiedono qualche riflessione da parte nostra. La seconda ragione è legata al progressivo interessamento dell’ebraismo riformato al sionismo, che un tempo era poco o nullo. Oggi i magnati americani della riforma investono in Israele soprattutto forze economiche e pretendono un riconoscimento. Ma l’aspetto più grave è a mio avviso il terzo. Un tempo la riforma era costituita da ebrei che volevano sembrare non ebrei, oggi è l’inverso: si tratta di non ebrei che vogliono apparire come ebrei. Quand’ero bambino il matrimonio misto era per lo più visto come un’irregolarità anche da molti non osservanti. Oggi il fenomeno è talmente dilagante che tutti vogliono naturalizzare coniugi e figli nel senso etimologico del termine: chiedono cioè che essi siano accettati come automaticamente ebrei per natura, come se niente fosse.
Ciò non è possibile. Il rabbinato riformato, che per lo più indulge a questo fenomeno, finge di non riconoscere che il matrimonio misto non è solo severamente proibito dalla halakhah, ma anche dalla tanto rimpianta aggadah. Sfido io gli eredi e successori di Heschel a trovare una qualsivoglia fonte midrashica non dico a giustificazione, ma semplicemente a comprensione di questo fenomeno. La cultura ebraica è una cultura rigorosamente endogamica e questo fattore pesa sulle scelte di molti correligionari, ormai anche in Israele. Liberi di scegliere, naturalmente, ma senza pretendere di voler garantire la continuità ebraica a ogni costo.
La sentenza della Corte costituisce a mio avviso un fallimento di tutti. Nella società israeliana la volontà di abbattere una “discriminazione” ne creerà di fatto un’altra: quella, odiosa, fra ebrei di serie A e ebrei di serie B. Fuori da Israele sarà senz’altro oggetto di imitazione in molte Comunità della Diaspora, spingendo alla legittimazione di un rabbinato alternativo anche dove questo non era finora riconosciuto. Ciò accelererebbe la loro fine, soprattutto di quelle realtà piccole per le quali ci si illude di ritenere più adatta proprio questo tipo di soluzione.
Come affrontare il problema? Per il matrimonio misto esiste l’opzione del Ghiyur ka-Halakhah, compiuto al cospetto di un tribunale rabbinico osservante e riconosciuto da tutti. Ma soprattutto occorre intensificare l’educazione ebraica dei giovani nei valori tradizionali, rappresentati sia dalla halakhah che dalla aggadah. Occorre saper trasmettere loro quei valori che li invoglino a distinguere, come si diceva una volta in Italia, fra il “din” (ebraismo autentico) e il… “comodin”.

Rav Alberto Moshe Somekh

(Nell'immagine la Corte Suprema d'Israele)

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L'INTERVENTO DI JOEL ZISENWINE, DIRETTORE DEL DIPARTIMENTO DELLO YAD VASHEM

"Bartali tra i Giusti, dibattito fuori contesto:
da noi massima trasparenza con tutti"

Nell’ultimo periodo abbiamo letto con dispiacere di pubblicazioni contro il riconoscimento di Gino Bartali quale “Giusto tra le Nazioni”. Leggendole, si ha la sensazione che molti dettagli erronei provengano da una mancanza di comprensione del processo di riconoscimento dei Giusti fra le Nazioni e dell’attività della Commissione a questo preposta…Per questo vorrei chiarire alcuni punti, nella speranza che questo possa dare le informazioni necessarie a riportare il dibattito nel giusto contesto.
Secondo gli intenti dei fondatori di Yad Vashem, fra cui molti erano loro stessi sopravvissuti alla Shoah, e secondo la legge promulgata nel 1953 dal Parlamento israeliano, la Knesset, fu deciso di assegnare il riconoscimento di Giusto tra le Nazioni a coloro che tentarono di salvare ebrei durante la Shoah. Yad Vashem decise allora, negli anni ’60 del secolo scorso, di nominare una Commissione pubblica, costituita da membri volontari, superstiti dalla Shoah ed esperti delle vicende nelle varie comunità durante la Shoah, per portare avanti il processo di esame dei casi e il riconoscimento.
A presiedere questa Commissione, che è autonoma ed esterna a Yad Vashem, c’è un giudice della Corte Suprema a riposo. Il compito di Yad Vashem è quello di coordinare ed assistere nella preparazione delle pratiche dei candidati al titolo, che vengono poi presentate, analizzate, discusse e sottoposte al voto da parte dei vari membri. Ogni pratica contiene testimonianze e ogni altro tipo di documentazione necessaria per ricostruire la storia del salvataggio. Nel decidere sul caso, la Commissione si basa sul concetto che “Chi salva una vita è come se salvasse il mondo intero”, per cui il numero di ebrei che sono stati aiutati da chi li ha messi in salvo non è una delle condizioni per assegnare il riconoscimento.
La Commissione agisce come una giuria: esamina la storia del salvataggio con l’aiuto dei documenti esistenti ed il contesto storico in cui si sono svolti i fatti. La storia del salvataggio viene esaminata alla luce di alcuni criteri di base, fra cui il fatto che sia stato compiuto senza compenso, per la volontà di dare aiuto ad ebrei e a rischio della propria vita. La decisione della Commissione viene sottoposta alla convalida del suo presidente.
Nel caso di Gino Bartali, nonostante la pratica sia stata aperta già nel 2007, è stata discussa in Commissione solo nel 2013, dopo un lungo processo di ricerca di testimonianze. La Commissione si è basata nelle discussioni e nella sua decisione su molteplici testimonianze di sopravvissuti che hanno portato al riconoscimento.
Contrariamente a quanto è stato pubblicato, tutte le pratiche relative al riconoscimento dei Giusti, compresa quindi quella di Gino Bartali, sono aperte alla consultazione del pubblico, comprese le testimonianze presenti nel fascicolo. Con questo, allo scopo di permettere ai membri della Commissione una discussione libera da influenze esterne e da pressioni, i verbali delle riunioni e le corrispondenze interne sono riservati.
Voglio sperare che queste righe permettano una migliore comprensione dell’operato della Commissione in generale e del caso Bartali in particolare.

Joel Zisenwine, Direttore del dipartimento Giusti tra le Nazioni dello Yad Vashem

(Nell'immagine lo Yad Vashem, il Memoriale della Shoah di Gerusalemme)

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MENO DI UNA SETTIMANA ALLE ELEZIONI 

Israele si prepara al voto (anche in aeroporto)

Molti i viaggi al centro della cronaca israeliana di questi giorni. C’è quello in corso del Presidente Reuven Rivlin in Europa, che si conclude in queste ore a Parigi con l’incontro con Emmanuel Macron. C’è quello saltato del Primo ministro Benjamin Netanyahu negli Emirati Arabi Uniti che, scrivono i media, ha fatto indispettire la controparte araba. Ci sono quelli delle migliaia di cittadini che auspicano di rientrare nel paese ora che l’Alta Corte ha dichiarato illegittimo il tetto di tremila ingressi giornalieri imposto dal governo. Su questo ultimo punto, la speranza di migliaia di passeggeri è di non assistere più alla continua cancellazione dei voli (anche dall’Italia). Secondo il quotidiano economico Marker, nelle ultime ore le compagnie aeree israeliane e straniere hanno iniziato “a richiedere slot (finestre temporali di atterraggio) all’Autorità degli aeroporti (IAA) e a pianificare il loro nuovo programma di volo”.
La sentenza ha anche avuto un’altra conseguenza: la decisione del Comitato centrale per le elezioni di aprire per la prima volta quattro seggi all’aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv.

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L'INIZIATIVA INSIEME AI RAGAZZI DELLE SCUOLE TORINESI

"Emanuele Artom, le sue parole ancora un monito"

La tradizionale marcia che si svolge ogni anno a Torino in ricordo di Emanuele Artom è ormai da tempo un appuntamento atteso. Una tappa tra le più significative di quel calendario civile della Memoria che aiuta, rivolgendo lo sguardo ai drammatici fatti del passato, a costruire un futuro di impegno e consapevolezza.
Per via dell’emergenza sanitaria e delle restrizioni correlate la marcia, almeno quest’anno, non si è potuta svolgere. Ma il grande esempio di vita fornito da Artom, che aderì alla Resistenza, fu autore di un diario destinato a diventare tra le più importanti testimonianze sull’Italia di quegli anni e venne poi trucidato 29enne nelle carceri cittadine, è stato comunque al centro di una partecipata iniziativa svoltasi online su impulso della Comunità ebraica torinese, della Comunità di Sant’Egidio, del Consiglio regionale del Piemonte, dell’amministrazione comunale e delle Comunità ebraiche di Vercelli e Casale Monferrato. 
Protagonisti, ancora una volta, i ragazzi. Quelli della scuola ebraica, che di Artom porta il nome. E quelli dell’istituto Calamandrei. Al centro dei loro interventi due parole chiave che ne hanno orientato la vita: responsabilità e coraggio. “I pensieri e la forza formativa di Artom non cessano di mantenere una straordinaria attualità, con la loro capacità di coinvolgerci e interrogarci ancora oggi” ha sottolineato in apertura d’incontro Dario Disegni, presidente della Comunità di Torino. Insegnamenti che restano preziosi per immaginare anche il mondo dopo il Covid. Anche alla luce delle molte problematiche aperte, rinfocolate da uno stato di crisi che porta tra le sue insidie anche il veleno di quelli che Disegni ha definito i “cattivi maestri”. E cioè i professionisti dell'odio, della menzogna, dell'antisemitismo, tornati prepotentemente alla ribalta. 

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LA DISTRIBUZIONE DEI PACCHI ALIMENTARI COORDINATA DALL'UCEI 

Pesach nel segno della solidarietà

Dal pane azzimo al vino, dalle ciambellette al parmigiano reggiano. Oltre 250 pacchi alimentari sono in distribuzione in tutta l’Italia ebraica per aiutare le famiglie meno abbienti a celebrare la prossima festa di Pesach. A coordinare lo sforzo l’assessore UCEI alla Casherut Jacqueline Fellus, che commenta: “Dalle aziende del settore che ci hanno fornito prodotti, ma anche supporto professionale e mezzi, ai volontari accorsi per dare una mano nell’imballaggio e nella distribuzione: ad ogni livello ho riscontrato grande impegno e collaborazione. C’è tanta voglia di aiutare. E questo, ovviamente, è molto positivo”. 


Parte del costo dei pacchi, proposti a un prezzo calmierato, è assorbito dall’UCEI. Per quanto riguarda la restante componente alcune Comunità, come quella di Roma, destinataria del maggior numero di pacchi, se ne sono fatte carico. Sottolinea al riguardo Fellus: "Un segnale importante, in un momento di grave difficoltà per così tanti nuclei familiari”. 

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PROTAGONISTA DI UNA GRANDE STAGIONE DI IMPEGNO NELL'EBRAISMO ITALIANO

Paolo Foa (1938-2021)

Paolo Foa, un caro amico di sempre, è recentemente scomparso. Bisogna ritornare indietro ormai di molti anni per rammentare il nostro primo incontro che risale al ritorno delle nostre famiglie alla normale attività dopo la guerra, terminato il periodo della clandestinità. Con Paolo eravamo coetanei, lui nato quattro giorni dopo di me.
Insieme abbiamo frequentato le scuole elementari e le medie alle Scuole Ebraiche di Torino, e poi il medesimo liceo e il Politecnico.
Siamo stati un bel gruppetto di amici e man mano che crescevamo abbiamo accumulato e vissuto fianco a fianco nuove esperienze anche al di fuori della scuola. 
Anni dopo ci accomunava l’interesse e la partecipazione alla vita della nostra Comunità, da un lato guidati dal rabbino Disegni, figura ieratica, e dall’altro da giovani della generazione precedente reduci da esperienze ben più dure delle nostre. Loro ci hanno avviati a prendere coscienza delle problematiche ebraiche e a impegnarci personalmente in modo attivo. 

Enrico Hirsch

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Setirot - I giovani e il virus
Vedo ragazze e ragazzi – grandicelli e più piccoli – sulle panchine dei giardini e dei parchi in cui noi “anziani” ci concediamo un paio di passeggiate al giorno. Seduti uno appiccicato all’altro, rigorosamente senza mascherina, spesso semi urlanti che quasi puoi vedere l’aerosol maledetto avvolgerli tipo cartone animato. 
Stefano Jesurum
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Spuntino - Modestamente
Il terzo libro della Torah, che iniziamo a leggere questa settimana, comincia con la parola da cui prende il nome (insieme alla parashà) VaYikrà (= e chiamò) scritta con la lettera alef “ze’yirà,” cioè piccola, come se si potesse ignorare ottenendo così la parola VaYikar (=e accadde per caso). 
 
Raphael Barki
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Machshevet Israel - Davanti al mare
Come leggiamo ogni anno, ciascuno di noi “ha il dovere di considerarsi come se egli stesso fosse uscito dall’Egitto. E ciò be-kol dor va-dor, in ogni generazione. E se anche fossimo tutti intelligenti e sapienti, non per questo saremmo sollevati dal dovere intergenerazionale di narrare e commentare e tramandare il ricordo degli eventi dell’esodo dall’Egitto. 
Massimo Giuliani
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