Setirot – I giovani e il virus

Vedo ragazze e ragazzi – grandicelli e più piccoli – sulle panchine dei giardini e dei parchi in cui noi “anziani” ci concediamo un paio di passeggiate al giorno. Seduti uno appiccicato all’altro, rigorosamente senza mascherina, spesso semi urlanti che quasi puoi vedere l’aerosol maledetto avvolgerli tipo cartone animato. Se glielo fai presente ti mandano un bel vaffa. A me prudono le mani ed essendo di natura fumantina rischio a volte di prenderne un sacco. Mi incammino verso casa e immancabilmente incontro qualche trentenne smascherato che parla tranquillo al cellulare con la chirurgica o la FFP2 calata. Fai segno che andrebbe tenuta su naso e bocca e non sul collo o in tasca. Di nuovo botta e risposta, spesso con reciproca – sì, reciproca – aggressività e villana intolleranza. Più tardi telefono a mia figlia, chiedo come sta la mia nipotina treenneemezzo: sta bene, è in DAD dal nido. Loro sono fortunati per motivi facilmente immaginabili legati alle dimensioni dell’abitazione, alle condizioni sociali e alla cultura con cui abbiamo cercato di tirarli su. Già.
Ed ecco che al telefono con amici e conoscenti impegnati da sempre nella cura dei disagi giovanili e delle malattie psichiche in età precoce, si animano gli incubi che avevi sì, è vero, letto sul giornale, ma che erano volati via in nome, temo, della autoconservazione. E così a sberle non prenderesti più quella faccetta impertinente e maleducata che al parco ti ha regalato il vaffa. O meglio: non prenderesti a ceffoni soltanto lui (o lei). E ti rendi conto che quando, più che giustamente, chiedi furibondo le dimissioni di una giunta regionale, non lo fai solamente perché il vaccino antinfluenzale te lo sei pagato tu, perché hanno raso al suolo la medicina territoriale, perché hanno collezionato errori e prosopopea, ma lo fai anche per tua nipote lasciata a casa dal nido, e per quei tipi schiamazzanti sulle panchine. Sì – lo ha scritto magnificamente qui David Sorani – questa è una generazione che sarà segnata profondamente. E mentre leggi Sorani pensi a come eri tu da ragazzo. «Eccoli chiusi irrimediabilmente in casa, privi da tempo delle spensierate serate con i coetanei, delle interminabili chiacchierate fuori dal pub con la bottiglia in mano. Come e quando mai potranno recuperare gli anni migliori della loro vita?». I primi amori, la scoperta di tutto… Chi potrà mai rendere loro il tempo irrimediabilmente perduto, il più bello e importante dell’intera esistenza? «Ne deriveranno certo negli anni traumi e ferite difficilmente rimarginabili, che li porteranno a essere più tristi, più introiettati, più chiusi, forse più freddi». Teniamolo presente quando, tra una settimana, rivivremo la nostra uscita dall’Egitto.

Stefano Jesurum

(18 marzo 2021)