ISRAELE - I RISULTATI DEFINITIVI DEL VOTO CERTIFICANO LO STALLO
Alleanze di governo, Bibi punta su Bennett e Saar
Sono arrivati i risultati finali delle elezioni israeliane, e nulla è cambiato: lo stallo politico è la realtà del paese. Né il blocco guidato da Benjamin Netanyahu, né quello avverso, sono in grado di formare da soli una coalizione di maggioranza. Per sbloccare la situazione, è iniziato il lavoro dietro le quinte dei partiti per intessere nuovi legami, costruire accordi, ricucire strappi. Senza grandi manovre, non sarà infatti possibile dare a Israele un esecutivo. Per questo nelle file del Likud, che sarà il primo partito in Parlamento, è circolata l’idea di aprire a un sostegno esterno del partito arabo Raam. Un sostegno però respinto senza tanti convenevoli da uno degli alleati dichiarati del Likud: il partito ultranazionalista Tziyonut Datit. Il leader della compagine di estrema destra Bezalel Smotrich ha infatti affidato in queste ore ai social il suo no irremovibile: “Non sorgerà nessun governo di destra basato su Raam. Punto. Né all’interno, né all’esterno, né attraverso l’astensione, né attraverso qualche altro tipo di schema”. Per cui il Primo ministro in carica Benjamin Netanyahu dovrà trovare altrove i seggi da aggiungere alla sua coalizione, per ora ferma a 52. C’è da convincere, a destra, il leader di Yamina Naftali Bennett (7 seggi), ma non basta. E così i sostenitori di Netanyahu dicono che inizieranno una campagna per fare pressione su Gideon Saar affinché rientri dalla porta da cui è uscito con tanto clamore nel novembre scorso. Ex likudniki, Saar ha dichiarato che non siederà mai con Netanyahu Premier, ma i suoi ex compagni sperano di fargli cambiare idea. E portare così nella coalizione i suoi sei seggi. Con Saar e Bennett ci sarebbe una coalizione di destra chiara e un governo possibile.
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LE INIZIATIVE IN RICORDO DELL'ECCIDIO
"Fosse Ardeatine, la Memoria nei nomi e nelle storie"
Trecentotrentacinque vittime. La sfida, riferita a ciascuna di loro, di raccontarne storia, speranze e sogni infranti dalla barbarie. Memoria come pilastro ed elemento vivificante di una società. Un tema da sempre caro al Capo dello Stato Sergio Mattarella e che è stato il cardine della visita compiuta ieri alle Fosse Ardeatine, nel 77esimo anniversario dell’eccidio, in compagnia della Presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Noemi Di Segni e del Presidente Associazione Nazionale Famiglie Italiane Martiri Francesco Albertelli. Per la prima volta nel segno di Marian Reicher ed Heinz Eric Tuchman, i due caduti cui è stata da poco restituita un’identità e cui il Quirinale, nella comunicazione ufficiale successiva alla visita, ha dato un rilievo particolare.
In futuro, auspicabilmente in presenza dei familiari, l’intenzione è quella di organizzare un momento loro dedicato.
“Ogni anno celebriamo Yom HaShoah. In questa data ho sempre acceso il ner neshamah, la candela commemorativa per mio padre. Perché in quella data? Perché non sapevo quando mio padre fosse morto. Ora lo so, è tutto sarà diverso. È importante avere questa nuova consapevolezza” aveva raccontato a Pagine Ebraiche David Reicher, il figlio di Marian, pochi giorni dopo il riconoscimento.
Nomi e tasselli che vanno ricomponendosi. Una ricerca che prosegue anche su un piano biografico. Di questo spirito è permeato “Le Fosse Ardeatine: dodici storie” (ed. Gangemi), volume di recente uscita che è l’esito di una collaborazione tra il Dipartimento di Cultura della Comunità ebraica di Roma e l’Anfim.
L’anniversario è stata l’occasione di una presentazione online dell’opera, che ha la prefazione della senatrice a vita Liliana Segre ed è stato curata da Claudio Procaccia.
“Questo libro – ha affermato Ruth Dureghello, presidente della Comunità ebraica – è il primo passo di un percorso significativo per ridare dignità alla memoria dei martiri di quell’eccidio. Un eccidio che è un simbolo per l’Italia intera di resistenza fisica, valoriale, identitaria e di tradizione”.
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VERSO PESACH - LA TESTIMONIANZA
Il Seder, il ricordo dell’Egitto e i silenzi di papà Nedo
Tra pochi giorni le famiglie ebraiche torneranno a sedersi alla tavola del Seder di Pesach. Un appuntamento che si rinnova da millenni ed è al centro di uno dei capitoli più significativi de Il profumo di mio padre (ed. Piemme): la storia di Nedo Fiano, sopravvissuto ad Auschwitz e tra i primi Testimoni italiani a rompere il silenzio, raccontata dal figlio Emanuele.
Per gentile concessione dell’autore ve ne proponiamo un brano.
Avadim Ainu (fummo schiavi) è un brano che si legge ogni anno nella celebrazione serale del Pèsach, la cosiddetta Pasqua ebraica; è sempre stato un passaggio fisso, un appuntamento, fin da piccolo, fin da quando mi ricordi io.
I primi sedarim (cene della Pasqua ebraica) sono stampati nella mia mente per sempre; erano quelli che svolgevamo a casa del Rabbino Capo, Elia Kopciowsky, un amico caro dei miei, che nonostante il cognome così chiaramente dell’est, polacco, aveva un accento dolce, romano, e tendeva sempre a trasformare in una lezione le sue parole.
Io lo chiamavo Yom Hashishì, che vuol dire sesto giorno, perché era sempre lui, quando io piccolissimo frequentavo la sinagoga di via Eupili, a intonare il Kiddush, la preghiera di santificazione del sabato e del riposo, della cessazione dei lavori, che è la radice della parola Shabbath, da cui sabato, e che appunto inizia con il racconto della fine della creazione narrando di quando: «Nel sesto giorno (Yom Hashishì) furono completati il cielo, la terra e le loro schiere. E Dio terminò nel settimo giorno il regno che aveva creato e Dio si riposò nel settimo giorno da qualsiasi lavoro che aveva fatto, e benedisse Dio il settimo giorno e lo santificò, perché venne il riposo per il regno creato».
Di questa preghiera, io non dimenticherò mai la melodia del canto intonato alla fiorentina da papà, anche se qui a Milano è un canto non conosciuto da nessuno. E che ormai, male, ricordiamo probabilmente solo noi fratelli.
Nelle sere del Pèsach, quella che nella successiva tradizione cattolica è diventata la Pasqua anche se con significati diversi, c’è un passaggio cantato particolare che si chiama Avadim Ainu (fummo schiavi), in quella cena che si chiama appunto Seder (ordine) e nel quale si narra pubblicamente ai commensali dell’uscita del popolo ebraico dalla terra d’Egitto, quello, un minuto prima della narrazione del «noi fummo schiavi» era il momento di mio padre. Era il legame tra gli schiavi ebrei che costruivano le piramidi e i compagni di papà con la casacca a righe gasati a Birkenau. Era il suo modo di spiegarci cosa voleva dire mantenere il ricordo della schiavitù per sempre e la difesa della libertà come valore supremo.
Emanuele Fiano
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IL MEDICO ISRAELIANO LANCIATO DA PRANDELLI
"Il calcio ha ancora bisogno di lui"
Non solo il mondo del calcio discute e si confronta sulle dimissioni shock di Cesare Prandelli. “In questi mesi è cresciuta dentro di me un’ombra che ha cambiato anche il mio modo di vedere le cose”, le parole con cui il popolare allenatore ha dato il proprio addio alla Fiorentina. E forse anche alla professione.
Un malessere, un disagio interiore che cresce fino a diventare insostenibile. La forza di ammettere la propria fragilità in un ambiente che, almeno in superficie, non sembra contemplare mancanze e debolezze. Anche in questo sta la grandezza del suo gesto. Ne è convinto Lior Many, medico e dietologo per lo sport dal cuore viola che proprio con Prandelli, nella sua prima esperienza a Firenze (2005-2010), ha mosso i primi passi nell’ambiente.
“Cesare – racconta Lior a Pagine Ebraiche – è una persona speciale. Pochi hanno la sua umanità, la sua profondità di pensiero. Le sue parole mi hanno molto colpito. Non me l’aspettavo. Ma dobbiamo rispettare questa decisione, alla quale avrà senz’altro pensato e ripensato”.
Il ricordo degli anni in Fiorentina resta indelebile. “Due anni e mezzo speciali anche grazie a Cesare. Che con me, come con chiunque altro, è sempre stato gentile, accogliente, premuroso. Con lui era come stare in famiglia”. All’epoca era studente universitario, un tirocinante. Fu subito responsabilizzato: “Entro nello spogliatoio e Prandelli, un po’ scherzando, ma neanche troppo, mi dice: Riccardo Montolivo è troppo magro, ho bisogno che si irrobustisca”.
Il rapporto è proseguito nel tempo. Non a caso è stato proprio Lior, dietista tra gli altri del Beitar Gerusalemme e della nazionale femminile di ginnastica artistica, ad accogliere l’allora commissario tecnico in Israele in occasione di un viaggio organizzato dalla Federcalcio alcuni anni fa. “Fu un’esperienza bellissima. Prandelli era molto attratto dal Paese. Faceva tante domande, si mostrava incuriosito da ogni dettaglio e sfumatura. Ho il ricordo – dice – di giornate radiose”. Oggi quel sorriso sembra essersi spento. “Quando le cose vanno male è normale vedere tutto buio e pensare di dire basta. Mi auguro però che, nel suo caso, non sia così. Verranno giornate migliori, ne sono sicuro. Dalla depressione, come insegna con la sua storia anche un campione del calcio come Gigi Buffon, si può uscire. Ed essere ancora più forti. Il calcio ha bisogno di Prandelli. E Prandelli – conclude Lior – ha ancora molto da dargli”.
(Nell'immagine Lior Many accoglie Cesare Prandelli in visita in Israele)
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Setirot - La festa dell'interrogativo
Intanto auguri di Pesach kasher vesameach ai lettori, alla redazione, alle comunità.
Saranno altri due sedarim sospesi nella gabbia della pandemia, e forse per ciò ancora più introspettivi del solito. Ragioneremo e ci interpelleremo sul significato della libertà, sia esteriore che interiore. E del suo contrario, ovvero la schiavitù. Rifletteremo su quanta oppressione e giogo ci siano nel mondo, non necessariamente lontano, distanti da noi. Ci soffermeremo su quelle righe dell’Haggadah che narrano di figli e di quesiti – una delle porzioni del libro per me essenziali e più amate. Il sapiente, il malvagio, il semplice, quello che non sa porre domande.
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Spuntino - Sollecito ardore
Il brano di Tzav che si legge questo sabato (coincidente con Shabbat HaGadol) comincia con una disposizione indirizzata da D-o ad Aronne attraverso Mosè. Rashì (Lev. 6:2) spiega che “tzav” (= disponi, stessa radice di mitzvà) implica “zeruz” (= sollecitudine, solerzia – nelle mitzvot, appunto) “miyad uldorot” (= subito e per generazioni), soprattutto allorquando bisogna rimetterci di tasca propria. Nello specifico il versetto parla dei sacrifici, in particolare di ‘olà, che va completamente bruciato sull’altare (a differenza, ad esempio, di “shlamim” che viene mangiato dai Cohanim) quindi sicuramente non può portare alcun beneficio materiale.
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Spero di poter riuscire a descrivere l’emozione incontenibile di un incontro.
Come nel resto del mondo ho insegnato durante l’ultimo anno attraverso il computer, Teams, Meet, Zoom, i grande doni della tecnica che ci hanno permesso di poter continuare l’attività pedagogica e non restare isolati in casa, ma ci hanno anche costretto a ore interminabili davanti a schermi, davanti a mezzi busti incorniciati in un alveare multicolore.
Angelica Edna Calo Livne
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