Setirot
La festa dell’interrogativo

Intanto auguri di Pesach kasher vesameach ai lettori, alla redazione, alle comunità.
Saranno altri due sedarim sospesi nella gabbia della pandemia, e forse per ciò ancora più introspettivi del solito. Ragioneremo e ci interpelleremo sul significato della libertà, sia esteriore che interiore. E del suo contrario, ovvero la schiavitù. Rifletteremo su quanta oppressione e giogo ci siano nel mondo, non necessariamente lontano, distanti da noi. Ci soffermeremo su quelle righe dell’Haggadah che narrano di figli e di quesiti – una delle porzioni del libro per me essenziali e più amate. Il sapiente, il malvagio, il semplice, quello che non sa porre domande. Qualche Maestro ha sostenuto che non necessariamente debba trattarsi di quattro individui diversi; potrebbero essere svariati momenti, stadi dell’Io del medesimo figlio, di ognuno di noi. Ciascuno di noi: non possiamo forse passare dall’essere sapienti all’allontanarci dalla propria identità fino a non riconoscerci più come membri della collettività, fino a non essere più in grado di porre domande se non in modo semplicistico o addirittura di porre domande tout court, convinti come si è di avere la verità in tasca? Il seder, soprattutto se solitario, è un grande specchio in cui ognuno di noi si riflette – o meglio, sarebbe bene si riflettesse.
Prendiamo il rasha, il cosiddetto malvagio: è, appunto, colui che dice «voi», quasi che il popolo, il prossimo, la nostra storia non lo riguardassero. Condannabile? Bè, sì. Però la lettura più approfondita di alcuni Maestri ci porta a meditare che il figliolo più che malvagio è critico, in qualche modo oppositivo. Quindi è fondamentale fargli capire di essere parte di un gruppo in cui anche la domanda perplessa ha il suo posto. La richiesta, il dubbio, l’opinione differente, ci pongono nella condizione di fermarsi e di riflettere. Siamo o non siamo il popolo del Talmud? E Pesach con il seder non è forse la festa dell’interrogativo? E chi meglio dei nostri bambini può insegnarci la libertà? Un uomo asservito non può porsi domande e deve sottomettersi senza discutere. Nella sera di Pesach più si parla – fosse pure con se stessi – più ci si interroga e più si prova la propria libertà.

Stefano Jesurum

(25 marzo 2021)