DOPO L'INIZIATIVA PER SARAH HALIMI - IL FIGLIO DI MIREILLE KNOLL A PAGINE EBRAICHE

“A Parigi una manifestazione importante,
ma per il futuro resto pessimista”

“La mia decisione l’ho presa: andrò via dalla Francia. Ho già pianificato tutto: un po’ starò in Israele, un po’ vivrò in Asia. Ma prima c’è un lavoro da concludere: far sì che gli assassini di mia madre siano condannati. Almeno noi, forse, possiamo farcela”. 
Parla con l’amaro in bocca Daniel Knoll, uno dei figli di Mireille, l’anziana donna parigina sopravvissuta al rastrellamento del Vel d’Hiv ma non ai suoi vicini di casa islamici che l’hanno accoltellata più volte e poi bruciata viva. Era il 23 marzo 2018. Il processo, annuncia a Pagine Ebraiche, dovrebbe aprirsi tra ottobre e novembre.
Oltre a quello ce n’è un altro che Daniel chiede a gran voce ma che difficilmente sarà mai celebrato: quello nei confronti dell’assassino di Sarah Halimi. Per questo, per testimoniare il suo sdegno, è andato al presidio in piazza del Trocadero. Si è stretto alla famiglia Halimi e a tutti coloro che, a Parigi e nel mondo, hanno voluto esprimere la loro solidarietà. 
In piazza c’erano alcune decine di migliaia di persone. “Una manifestazione molto partecipata, ricca di calore e senso d’unità. Ma io, più che ai presenti, penso ai milioni che sono rimasti a casa. I problemi della Francia si chiamano individualismo e indifferenza”, dice Knoll a Pagine Ebraiche. Daniel racconta di essersi emozionato alle parole di William Attal, il fratello di Sarah, che dal palco ha ricordato con parole toccanti la sorella: “Nel suo dolore vedo la stessa pena che porto nel cuore. Questi lutti, queste ferite, non si rimargineranno mai”. 
“Giustizia, giustizia” si è gridato più volte dalla piazza. Daniel non si fa illusioni: “Non penso sia possibile, ormai è troppo tardi. Neanche l’opzione di un processo in Israele, di cui molto si sta parlando, mi pare praticabile. Ci spero, naturalmente. Ma come strada la vedo molto in salita, quasi un’utopia”. 
In autunno gli assassini di sua madre entreranno in un’aula di tribunale. Emotivamente un momento durissimo, ma anche molto atteso. “Rischi ce ne sono sempre. Purtroppo, come abbiamo appena visto, il nostro sistema è fragile. Ci attendiamo comunque il massimo della pena: in Francia, per un omicidio, sono 30 anni di galera”. Non l’unico “lavoro da concludere” per Daniel e per la famiglia Knoll. “In occasione della manifestazione di Parigi – spiega – ho avuto modo di parlare con la sindaca Anne Hidalgo, che mi ha ribadito l’intenzione di dare a una strada il nome di mia madre. Un’iniziativa importante, che dovrebbe concretizzarsi entro l’estate. Forse già entro luglio”. L’obiettivo è però soprattutto un altro: “Far diventare il 23 marzo la ‘Giornata Mireille Knoll’. Questo Paese, sempre più smarrito e silente davanti all’avanzata del fondamentalismo islamico, ha un gran bisogno di consapevolezza”.  

(Nell’immagine in alto Mireille Knoll con i figli Daniel e Allan)

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ISRAELE E IL RITORNO ALLA NORMALITÀ - LE VOCI DEI GIOVANI ITALKIM 

“Da Gerusalemme a Tel Aviv,
torniamo finalmente a respirare”

La sensazione comune è che finalmente Israele sia tornata a respirare. Quasi a pieni polmoni. Non solo perché all’aperto, da metà aprile, è caduto l’obbligo di mascherine, ma anche perché la vita in tutto il paese è ripartita. Si può andare al bar, al ristorante, alle partite negli stadi, ai concerti, a teatro. Non a pieno regime, ma migliaia di persone possono comunque stare insieme. Insomma si può tornare a una vita pre-covid, come dicono a Pagine Ebraiche alcuni giovani italkim, raccontando le loro emozioni in questa nuova fase per loro e per il paese. “È bellissimo poter camminare per strada e rivedere in faccia le persone. I sorrisi, le espressioni del volto”, racconta Naomi Stern da Tel Aviv. “C’è veramente la sensazione di un ritorno alla vita. E riscopri il piacere delle piccole cose: una chiacchierata all’aperto in serenità con gli amici. Senza parlare di virus e di contagi”, aggiunge Naomi Avrilingi da Gerusalemme.
“La sensazione è di essere finalmente nel dopo. – afferma Michael Sierra, anche lui da Gerusalemme – Io frequento Giurisprudenza all’Università Ebraica e la pandemia sta diventando sempre più un oggetto di studio, dalle questioni sulla privacy al tema della restrizione delle libertà personali”. È un processo che è iniziato presto, sottolinea, ma il fatto che la pandemia sia ora guardata più da lontano, come materia di studio appunto, aumenta la sensazione di distanza.
Per tutti e tre però il legame con l’Italia, dove vivono parenti e amici, è un costante monito che la pandemia è ben presente. “Non dico che mi sento in colpa perché sono qui, libera, vaccinata. – afferma Stern – Posso dire però che vivo con grande consapevolezza questa nuova normalità”.
Una sensazione simile a quella raccontata da Avrilingi. Per lei, assistente sociale in un piccolo ospedale di Maale Adumim, la crisi sanitaria è stata una presenza fissa nel lavoro quotidiano. “Da un lato avevo la libertà di andare a lavoro. E quindi sentivo meno il peso della chiusura, dall’altro ci siamo trovati a dover spiegare ai parenti dei ricoverati che non potevano più entrare a visitare i loro cari. E il carico di tensione è aumentato”. Come assistente sociale, spiega, è abituata a farsi carico dei problemi delle famiglie, in particolare dei pazienti terminali che segue, dando risposte su questioni burocratiche e non solo. Ma la pandemia ha accentuato tutte le difficoltà. Per questo la fine dell’ultimo prolungato lockdown – da Hannukkah fino a Purim – le ha tolto un peso dalle spalle. “Ho come ricominciato a respirare. Una sensazione di rinascita. Anche solo il barbecue con gli amici a Yom HaAtzmaut, senza ansia di contagio, senza lo stress del distanziamento, tutti vaccinati, tutti sorridenti. Ho sentito che finalmente qualcosa è cambiato”.

Dall’altro lato, aggiunge, quando finalmente è tornata a incontrare di persona gli amici, seduta a tavola in uno dei locali di Mahane Yehuda stracolmi di giovani, si è resa conto di quanta ruggine si fosse accumulata nei mesi di distanziamento. “Ho avuto una prima sensazione di difficoltà a socializzare, come se avessi perso ogni naturalezza nel ridere e scherzare con gli amici. Poi tutto è tornato al suo posto, ma quella prima impressione mi ha fatto effetto”.
Tutti e tre raccontano la sensazione di sollievo dopo aver ricevuto il vaccino. “So che in Italia non è così, – racconta Sierra – io ho avuto la possibilità di vaccinarmi presto perché ho ricevuto una dose che altrimenti non sarebbe stata utilizzata. L’ultima della giornata”. Dagli anziani ai giovani, sottolinea, la vaccinazione in Israele ha funzionato alla perfezione e ha permesso la progressiva riapertura in sicurezza del paese (il 60 per cento ha ricevuto almeno la prima dose). “Noi al Tempio italiano di Gerusalemme preghiamo ancora all’aperto. Abbiamo deciso così anche se le disposizioni ora permettono di riunirsi al chiuso, seppur in numero un po’ più ridotto e solo per chi ha il famoso tav yarok (il pass verde per chi è vaccinato o è guarito dal covid)”. Per Sierra l’esperienza di questi mesi di preghiera all’aperto è stata un’occasione per riflettere. “Ti rendi conto di come in fondo il luogo non sia importante. Di quanto sia vero che quel che conta è il minian (la partecipazione alla preghiera di dieci uomini adulti) e, di fatto, lo stare insieme. In più, ed è un tema su cui c’è una discussione in corso, a me è piaciuto che non ci fosse una separazione fisica con le donne. Eravamo sempre divisi, ma tutti all’aperto e mi ha dato una sensazione di maggior partecipazione”.

Il segher – chiusura in ebraico – è stato anche un momento di grandi cambiamenti. In particolare per Stern. “Appena iniziato il segher, ho perso il lavoro. Ero nel settore del turismo, abituata a portare a spasso una ventina di persone e di colpo mi sono trovata sola davanti a un computer. È stato un inizio traumatico, poi ho trovato un altro lavoro e la situazione ha cominciato a stabilizzarsi. E mi sono abituata”. Nel mentre, ha fatto l’aliyah, diventando ufficialmente cittadina israeliana. E potendo così votare alle ultime elezioni del 23 marzo. “È stata veramente un’emozione. Qui è vissuto come una festa. Si fa di martedì, la gente va a votare e poi ha la giornata libera”. Una festa della democrazia che però si è ripetuta un po’ troppo spesso negli ultimi due anni, con ben quattro elezioni in questo breve lasso di tempo. “Ci sono mie amiche americane – racconta – che due anni fa hanno fatto l’aliyah e hanno già votato più volte in Israele che negli Stati Uniti”. Il voto, in ogni caso, è stato un ulteriore passo per sentirsi pienamente parte della società israeliana, che, almeno a Tel Aviv – la città dei giovani, la città che non dorme mai – sembra già aver dimenticato il covid. “Ora la situazione è quasi surreale, sembra che il corona (come lo chiamano gli israeliani) non ci sia mai stato: baci, abbracci, party ovunque. – racconta Stern – Io però se dove scegliere, preferisco ancora una cena tranquilla con sei amici che un locale con 300 persone”.
Il pensiero di tutti è poi rivolto all’Italia. “Io da un anno e mezzo non vedo la mia famiglia lì – spiega Avrilingi – Prima davamo per scontata la possibilità di viaggiare, ma ora abbiamo rivalutato il significato delle distanze”. L’auspicio di tutti e tre è che queste distanze tornino a cadere presto.

EBREI E MUSULMANI INSIEME PER IL RAMADAN

“Lavoriamo per rafforzare la convivenza”

Alti esponenti del mondo ebraico e islamico hanno partecipato a un’iniziativa congiunta in occasione del Ramadan. L’evento online, promosso dal World Jewish Congress e dalla Muslim World League, si è svolto nell’ambito della 16esima assemblea plenaria WJC e e ha visto tra i protagonisti il suo presidente Ronald Lauder e Muhammad bin Abdul Karim Issa, che della Lega Musulmana è il segretario.
“Le relazioni tra le comunità, in particolare quelle religiose, purtroppo non sono sempre facili. Ma quando ci sforziamo di unirci come stiamo facendo oggi, di lavorare insieme e di riconoscere il valore della differenza, attiviamo un processo che genere fiducia reciproca”, la riflessione proposta da Lauder nell’ambito di questo appuntamento. “Sono convinto – ha poi aggiunto – che una collaborazione tra le nostre due realtà possa dare un prezioso contributo alla sfida della convivenza”.
Una speranza condivisa dall’ex ministro della Giustizia saudita, premiato per il suo impegno contro l’antisemitismo e recentemente intervistato da Pagine Ebraiche: “Al giorno d’oggi – il suo pensiero – ci sono numerose opportunità per favorire la coesistenza. Mai come oggi, visto che il mondo è diventato un piccolo villaggio in cui i figli della famiglia abramitica vivono fianco a fianco”.

L'AMMINISTRAZIONE DI NETANYA DEDICA UNA PIAZZA ALLA CITTÀ LIGURE

“Sanremo, tappa importante nella nascita d’Israele”

Il 26 aprile del 1920 si concludeva la Conferenza di Sanremo con la spartizione del Medio Oriente in tre mandati territoriali sotto il controllo di Gran Bretagna e Francia. Alla prima il compito di dare attuazione alla Dichiarazione Balfour che favoriva, in quella che è passata alla storia come Palestina mandataria, la “creazione di un focolare nazionale per il popolo ebraico”. Focolare nazionale che sarebbe diventato, meno di 30 anni dopo, uno Stato vero e proprio: Israele. La Conferenza di Sanremo fu dunque un passaggio importante per la sua creazione e per questo la città di Netanya ha deciso di intitolare una delle sue piazze alla città ligure, con una cerimonia alla presenza del sindaco
Miriam Fierberg-Ikar e dell’ambasciatore d’Italia in Israele, Gianluigi Benedetti. “L’importanza di quello che fu deciso in quell’incontro – ha sottolineato Benedetti – è sotto ai nostri occhi in tutta la sua portata storica. Che la città di Sanremo e, per estensione, l’Italia intera, abbia ospitato un incontro internazionale rivelatosi cruciale per la fondazione dello Stato di Israele è per noi motivo di profondo orgoglio”.  

QUI TORINO - L'INCONTRO CON FURIO COLOMBO ORGANIZZATO DALL'ASSET

“Libertà e democrazia, conquiste da difendere”

Come tradizione anche quest’anno l’Asset, l’associazione ex allievi e amici della Scuola ebraica di Torino, ha organizzato un evento per celebrare il ricordo e il significato del 25 aprile. Ospite della conferenza “Questo 25 aprile. Il valore della libertà, il valore della democrazia”, svoltasi in digitale, un protagonista di queste battaglie: il giornalista ed ex senatore Furio Colombo.
In apertura d’incontro Giulio Disegni, Presidente dell’Asset, ha sottolineato come il nome a cui la scuola media ebraica torinese è intitolata, Emanuele Artom, catturato il 25 marzo 1944 da una pattuglia di SS italiane e morto il 7 aprile a seguito di torture e sevizie indicibili, costituisca un simbolo imperituro della lotta partigiana e della Resistenza al nazifascismo. Ha inoltre ricordato l’impegno civile e il contributo essenziale di Colombo perché venisse istituita, con la legge 20.7.2000 n. 21, il Giorno della Memoria.

PAGINE E SVOLTE CON DAVID BIDUSSA

L'importanza del collettivo, la lezione di Diderot

Cosa lega un professore di liceo, una voce dell'Enciclopedia di Denis Diderot e Pagine Ebraiche? Lo spiega, nella nuova puntata di pagine e svolte lo storico sociale delle idee David Bidussa. “Diderot nel suo testo - anticipa Bidussa - dice alcune cose, poche, ma molto utili per capire come si costruisce qualcosa che è destinato a rimanere anche per altri, non solamente per se stessi”. E ci ricorda, aggiunge lo storico, il valore del lavoro collettivo.

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LA MANIFESTAZIONE 

Milano, in piazza per Sarah Halimi 

Continuano le iniziative e gli interventi per chiedere giustizia per Sarah Halimi e protestare contro la sentenza francese che ha scagionato il suo assassino. A Milano, l'associazione Nuova Udai ha organizzato una manifestazione nei pressi del consolato francese, a cui ha preso parte il presidente della Comunità ebraica della città Milo Hasbani. Tra i presenti, anche Raffaele Besso, capolista di Wellcommunity.
Il console francese Charles Chapouilly ha incontrato alcuni rappresentanti dell'Udai a margine della manifestazione.

Il 25 aprile di chi non festeggia
Ad ogni 25 aprile c'è qualcuno che trova un pretesto qualsiasi per non festeggiare. C'è ancora chi non ama la data della liberazione perché avrebbe voluto che la guerra avesse un altro esito. Non si tratta di volontà di ricordare i morti di tutti, si tratta di volontà di non onorare la memoria di chi ha combattuto per la libertà, per rimpiangere, invece, chi la libertà l'ha conculcata dispensando persecuzione e morte. È la volontà di commemorare gli oppressori e i loro ideali aberranti anziché le vittime. 
Dario Calimani
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Spazi rimasti
In un articolo di autori cinesi, di sei anni fa (Enfu Cheng, Yexia Sun. Israeli Kibbutz: A Successful Example of Collective Economy, World Review of Political Economy, vol. 6, no. 2, 2015, p. 160 ss.) leggo che “gli ebrei hanno sempre attribuito molta importanza all'istruzione, e Ben-Gurion una volta disse che nessun traguardo può essere raggiunto senza educazione. Dopo aver attraversato 2.000 anni di esilio, gli ebrei in Israele attribuiscono molta importanza all'istruzione". 
Emanuele Calò
Valori perenni e ricorrenze sbiadite
Sono giorni significativi questi che ci portano dal 25 Aprile al 1° Maggio, giorni utili a riflettere sulle due fondamentali istanze di liberazione e di riscatto sociale a cui sono legate le due ricorrenze.
Il pensiero si sofferma giocoforza sull’evoluzione/involuzione che nel corso dei decenni hanno subito le due giornate, certo diverse per cronologia, genesi e carattere ma complementari nei contenuti, vincolate come sono entrambe alla libertà, alla dignità umana, alla giustizia e all’emancipazione dall’ingiustizia, alla solidarietà collettiva.
David Sorani
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