IL PRESIDENTE RIVLIN IN VISITA AD ACRI

"Israele casa comune, riportiamo la calma interna"

“Sono arrivato ad Acri per ascoltare la leadership locale e lottare insieme per calmare i venti. Mi ha riempito d’orgoglio e di forza incontrare queste persone meravigliose. Questa è la casa di tutti noi. Non con mazze e coltelli, non con pietre e armi da fuoco che seminano distruzione e rovina. Custodiamola, prima di tutto, mantenendo la legge e l’ordine”.
Così il Presidente Reuven Rivlin in visita nella città di Acri, nel nord d’Israele, teatro di scontri tra ebrei e arabi. Incontrando rappresentanti delle due comunità, Rivlin ha sottolineato l’importanza di riportare la calma all’interno di un paese segnato dalle tensioni e contrapposizioni.
“Se permettiamo a qualsiasi catalizzatore esterno di scuotere la nave presto questa andrà alla deriva”, ha osservato Rivlin. “Tutti noi, leader pubblici a tutti i livelli, e soprattutto leader spirituali, siamo responsabili di ciò che accade nelle nostre comunità. Dobbiamo fermare il ciclo della violenza. Questo è l’ordine del giorno”.
In queste ore, insieme alla polizia, il Servizio di sicurezza dello Shin Bet ha annunciato di aver arrestato decine di persone, tra cui quelle sospettate di aver compiuto un linciaggio anti-arabo nel villaggio di Qana e Umm al-Fahm. Le autorità hanno spiegato di essere pronte a condurre altri arresti sia all’interno del mondo ebraico che di quello arabo.

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IL PORTAVOCE DELL'ESERCITO NEL CONFRONTO CON LA STAMPA

"Cessate il fuoco, troppo presto per parlarne:
prima Hamas interrompa il lancio di missili"

“È impossibile separare in modo chirurgico le infrastrutture dove operano i terroristi e gli spazi occupati dai civili. Chi conosce un minimo la realtà di Gaza lo sa bene. Ciò detto, il nostro sforzo per impedire vittime innocenti è totale e passa dalle migliori capacità di intelligence e dall’utilizzo di armi di massima precisione”.
Jonathan Conricus, il portavoce dell’esercito israeliano, risponde alle domande dei giornalisti internazionali. Una conferenza stampa di aggiornamento sul conflitto in corso con i terroristi di Hamas cui ha partecipato anche la redazione di Pagine Ebraiche.
Tra i molti temi caldi affrontati il bombardamento e la distruzione del palazzo di Gaza dove avevano sede gli uffici di corrispondenza di al-Jazeera e Associated Press. Le reazioni, nel mondo, sono state numerose. Per Conricus parlare di “torre dei giornalisti” o “palazzo dei giornalisti”, diciture spesso usate in queste ore, sarebbe però fuorviante. “Hamas e in misura minore la Jihad islamica – le sue parole – lo hanno utilizzato per propri fini. Come sede della loro intelligence. E come base per ricerca e sviluppo di armi e tecnologie contro Israele”.
Conricus ha poi sottolineato come ai giornalisti e a tutti gli inquilini del palazzo sia stato dato “il tempo necessario per evacuare, ben consapevoli che ciò avrebbe dato anche ad Hamas il tempo di organizzarsi, di portar via il più possibile”. Ma un valore non è né mai sarà in discussione: il tentativo di tutelare al massimo delle possibilità ogni vita umana esterna al conflitto. “Il nostro unico scopo – ha affermato il portavoce – è colpire i terroristi”.
“Per immaginare come andrà a finire – ha poi evidenziato Conricus – bisogna aver chiaro come tutto è iniziato: con il lancio di missili su Israele. Un cessate il fuoco potrà avvenire solo quando questa minaccia sarà rientrata. Solo allora, forse, si potrà iniziare a parlarne”.

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L'INTERVENTO DEL RAV ROBERTO DELLA ROCCA 

I soldati, gli intellettuali e la difesa di Israele

La Torah (Bemidbar, 32; 5) ci racconta che alla vigilia dell’ingresso in Eretz Israel le tribù di Reuvén e Gad e una parte di Menashè decidono, in ragione di legittimi interessi economici, di rimanere fuori dalla Terra Promessa. Moshè pone delle condizioni: queste due tribù devono partecipare alla guerra di conquista della terra e solo alla fine della conquista potranno tornare a vivere fuori da Israele, nei luoghi più consoni alle loro scelte di vita. Possiamo immaginare, anche se la Torah non ce lo dice, la reazione delle altre dieci tribù: se non vogliono vivere in Israele, non ci aiutano nella guerra, se ne stanno a casa loro al sicuro, perché dovremmo spartire con loro la terra conquistata? Che ci piaccia o meno, noi facciamo parte di un popolo che, nel bene e nel male, condivide la stessa storia e lo stesso destino. Se i figli di Gad e quelli di Reuven preferiscono vivere nella terra di Ghilàd (attuale Transgiordania), fuori da Israele, l’unico modo che hanno per farlo è sottolineare e dimostrare pubblicamente la loro fedeltà al popolo combattendo per la terra degli altri. Queste due tribù non hanno modo di uscire dal popolo d’Israele così come qualsiasi ebreo non può essere estromesso, né abiurare al proprio ebraismo. Se Israele è in guerra si può distinguere tra quelli che militano nelle file dell’esercito e quelli che lo fanno rimanendo nella diaspora. Certo i militari, come gli abitanti di Eretz Israel, hanno degli oneri e dei rischi di gran lunga maggiori degli altri. Ma una guerra per la difesa del popolo ebraico e della sua terra non è mai una guerra che riguarda solo i soldati perché da sempre si tratta di salvaguardare l’incolumità fisica e spirituale della propria gente. E questa difesa è uno dei precetti fondamentali della Torah che non contempla l’obiezione di coscienza e che riguarda, con le debite differenze, i soldati come gli intellettuali. 
Spero che questi giorni di Shavuot aiutino ognuno di noi a riflettere, a sentire la responsabilità delle nostre azioni e delle parole che usiamo, per rivivere quell'unità di intenti e sentimenti di fronte al Dono della Torah.  

Rav Roberto Della Rocca,
direttore dell’Area Formazione e Cultura dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane

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CONTINUANO LE INIZIATIVE IN TUTTA L'ITALIA EBRAICA

"Israele ha diritto a esistere e difendersi"

Prosegue, nell’Italia ebraica, la mobilitazione in solidarietà ad Israele. 
In piazza dei Martiri a Napoli molte adesioni al presidio indetto dalla Comunità ebraica cittadina in collaborazione con l’associazione Italia-Israele e l’associazione Bezalel. Ad intervenire, tra gli altri, la presidente della Comunità ebraica Lydia Schapirer, il presidente della sezione napoletana dell’associazione Italia-Israele Amedeo Cortese, il presidente nazionale della Federazione Italia-Israele Giuseppe Crimaldi e il presidente di Bezalel Francesco Lucrezi. 
“Oggi – ha sottolineato Schapirer – siamo qui per affermare il diritto di Israele ad esistere e a difendersi. Non si possono chiudere gli occhi davanti a quanto sta accadendo. Immaginate cosa sarebbe successo se missili fossero stati lanciati su New York, Parigi o Roma”. Schapirer ha parlato di informazione spesso distorta su Israele ed espresso rammarico, con riferimento alla recente sollevazione di parte della comunità arabo-israeliana, “per il crollo di un’illusione: che la coesistenza interna a Israele potesse fiorire e dare una prospettiva di pace al Paese”. Un tema toccato anche dal rabbino Ariel Finzi, che ha sottolineato come i cittadini arabo-israeliani oggi al centro delle cronache “abbiano pari diritti rispetto al resto della popolazione”. Una sollevazione quindi pretestuosa in un momento in cui, ha aggiunto, è fondamentale “manifestare la nostra solidarietà a un Paese attaccato da una organizzazione terroristica che riceve molti finanziamenti”.
Nelle stesse ore la Comunità di Torino si è raccolta in un momento di riflessione e preghiera online, con interventi del suo presidente Dario Disegni, del rabbino capo rav Ariel Di Porto e di rav Alberto Somekh.
“Dopo un durissimo lockdown che ha costretto tutti i cittadini nelle proprie case – ha affermato Disegni – non c’è stato neppure il tempo di riabituarsi alla maggiore libertà di movimento conseguita dopo grandi sacrifici: le sirene che hanno ripreso a sibilare nelle città israeliane hanno richiamato tutti più volte in questi giorni e in queste notti a rinchiudersi nelle stanze blindate dei propri appartamenti o nei rifugi anti-missili”. A ciò, ha poi evidenziato, “si aggiunga un fenomeno sostanzialmente nuovo e foriero di grandissima preoccupazione: il coinvolgimento di parte della popolazione arabo-israeliana in scontri armati contro cittadini ebrei e in incendi appiccati a sinagoghe, che hanno innescato una spirale di violenza che difficilmente si arresterà prima di una cessazione delle ostilità”.

(Nell'immagine la manifestazione organizzata dalla Comunità ebraica di Napoli)

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Libertà d'espressione
La minaccia alla libertà di espressione è un tema che oggi in gran parte sollevano i pensatori di destra, convinti che questa libertà vada tutelata e garantita contro il conformismo. Come si applica questo schema di gioco al mondo ebraico?
 
                                                                          David Bidussa
L'omaggio di Primo Levi agli ebrei di Libia
Il brano in cui Levi descrive il lutto degli ebrei di Tripoli e le loro preghiere funebri prima della deportazione da Fossoli è di una bellezza unica, con una grande valenza poetica e letteraria. Un brano intenso e carico di empatia verso delle famiglie trascinate dalla periferia dell’Impero, quando il regime era ancora solido, e che dopo essere passate per diversi luoghi erano stati trasferite a Fossoli per essere deportate in Germania.
David Meghnagi
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Il cancellino
Sul cosiddetto «politicamente corretto», e su quel complesso di pratiche che sono state definite come «cancel culture», da tempo si è aperto un vero e proprio kulturkampf che, se ne può stare certi, proseguirà nei mesi e negli anni a venire.
 
Claudio Vercelli
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