I soldati, gli intellettuali
e la difesa di Israele
La Torah (Bemidbar, 32; 5) ci racconta che alla vigilia dell’ingresso in Eretz Israel le tribù di Reuvén e Gad e una parte di Menashè decidono, in ragione di legittimi interessi economici, di rimanere fuori dalla Terra Promessa. Moshè pone delle condizioni: queste due tribù devono partecipare alla guerra di conquista della terra e solo alla fine della conquista potranno tornare a vivere fuori da Israele, nei luoghi più consoni alle loro scelte di vita. Possiamo immaginare, anche se la Torah non ce lo dice, la reazione delle altre dieci tribù: se non vogliono vivere in Israele, non ci aiutano nella guerra, se ne stanno a casa loro al sicuro, perché dovremmo spartire con loro la terra conquistata? Che ci piaccia o meno, noi facciamo parte di un popolo che, nel bene e nel male, condivide la stessa storia e lo stesso destino. Se i figli di Gad e quelli di Reuven preferiscono vivere nella terra di Ghilàd (attuale Transgiordania), fuori da Israele, l’unico modo che hanno per farlo è sottolineare e dimostrare pubblicamente la loro fedeltà al popolo combattendo per la terra degli altri. Queste due tribù non hanno modo di uscire dal popolo d’Israele così come qualsiasi ebreo non può essere estromesso, né abiurare al proprio ebraismo. Se Israele è in guerra si può distinguere tra quelli che militano nelle file dell’esercito e quelli che lo fanno rimanendo nella diaspora. Certo i militari, come gli abitanti di Eretz Israel, hanno degli oneri e dei rischi di gran lunga maggiori degli altri. Ma una guerra per la difesa del popolo ebraico e della sua terra non è mai una guerra che riguarda solo i soldati perché da sempre si tratta di salvaguardare l’incolumità fisica e spirituale della propria gente. E questa difesa è uno dei precetti fondamentali della Torah che non contempla l’obiezione di coscienza e che riguarda, con le debite differenze, i soldati come gli intellettuali.
Spero che questi giorni di Shavuot aiutino ognuno di noi a riflettere, a sentire la responsabilità delle nostre azioni e delle parole che usiamo, per rivivere quell’unità di intenti e sentimenti di fronte al Dono della Torah.
Rav Roberto Della Rocca, Direttore dell’Area Formazione e Cultura dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane
(16 maggio 2021)