Se non leggi correttamente questo messaggio, clicca qui     9 Luglio 2021 - 29 Tamuz 5781
LA PERICOLOSA INIZIATIVA DI FRATELLI D'ITALIA 

La Shoah, le foibe e quella legge
che calpesta la Storia

“Esistono ancora piccole sacche di deprecabile negazionismo militante. Ma oggi il vero avversario da battere, più forte e più insidioso, è quello dell’indifferenza, del disinteresse, della noncuranza, che si nutrono spesso della mancata conoscenza della storia e dei suoi eventi”.
Parole chiare quelle pronunciate, ne corso dell’ultimo Giorno del Ricordo, dal Capo dello Stato Sergio Mattarella. Un invito agli italiani: far proprie, in modo sempre più consapevole, storia e memoria delle foibe. Una “sciagura nazionale” e un monito “contro le ideologie e i regimi totalitari che, in nome della superiorità dello Stato, del partito o di un presunto e malinteso ideale, opprimono i cittadini, schiacciano le minoranze e negano i diritti fondamentali della persona”.
Una ferita ancora aperta, da conoscere in profondità ma cavalcata da alcuni in modo strumentale. È il caso di Fratelli d’Italia, che ha depositato in Senato un disegno di legge che punta ad intervenire sull’articolo 604 bis del codice penale accostando il negazionismo delle foibe a quello della Shoah. Un tentativo che ha suscitato allarme e pronte reazioni anche all’interno delle istituzioni ebraiche nazionali.
“Alla luce dell’attuale situazione parlamentare, è molto difficile che questo atto possa tradursi in un fatto concreto. Dal 2023, con le elezioni, il discorso potrebbe mutare” avverte lo storico Claudio Vercelli, grande esperto sia di Shoah che del tema foibe (cui ha dedicato uno dei suoi ultimi lavori: Frontiere contese a Nordest. L’Alto Adriatico, le foibe e l’esodo giuliano-dalmata, pubblicato da Capricorno editore). 
La guerriglia ideologica nel frattempo si è scatenata “con varie raccomandazioni, prese di posizione e atti dal valore normativo intrapresi localmente da Consigli regionali governati da maggioranze orientate a destra, talvolta rivolti anche contro la libertà di ricerca”. 
Il terreno è scivoloso. Anzi, scivolosissimo. “Gli storici – spiega Vercelli – hanno appurato ormai in modo chiaro quale sia la dimensione, anche quantitativa, di quel che accadde in quell’area tra ’43 e ’45 e in seguito con l’esodo. Le dinamiche e i numeri sono sufficientemente eloquenti: il concetto che lì sia avvenuto un genocidio, come alcuni sostengono, è del tutto fuorviante”. 
Un vizio grave di questi tempi: quello della “parificazione a tutti i costi”. Che vale per il discorso italiano foibe-Memoria della Shoah. Ma anche, a livello di Parlamento europeo, “per l’equiparazione sancita nel 2019 tra nazismo e comunismo”. Un modo di procedere sbagliato anche nel nome di una “fantomatica riconciliazione”: altro tema dal quale si ricava la pericolosità della china assunta, in certi casi, dal dibattito pubblico. “La riconciliazione c’è già stata”, ricorda infatti Vercelli. “Ed è avvenuta quando l’Italia ha scelto di essere Repubblica e di dotarsi di una Costituzione”. 
Lo storico ritiene sia il caso di mettere in rilievo un altro elemento: “Sta passando un po’ ovunque il principio che l’unico modo per colpire il negazionismo, di qualunque tipo, sia una legislazione sempre più punitiva. Non sono d’accordo. Il negazionismo è un fenomeno aberrante, ma per contrastarlo dobbiamo percorrere anche altre strade. Non è con la sola minaccia della galera che riusciremo a lasciare un segno. Le strategie esclusivamente proibizioniste, inoltre, rischiano sempre di generare una eterogenesi dei risultati”. 
Molte voci, in queste settimane, hanno offerto un contributo alla riflessione. Tra gli altri quella del giornalista ed ex parlamentare Furio Colombo, cui si deve l’introduzione del Giorno della Memoria celebrato ogni 27 gennaio nel giorno della liberazione del campo di sterminio di Auschwitz. “Il ricordo per le vittime della ferocia in un punto del mondo, come avviene ogni anno alle foibe, è umano ed è inevitabile”, ha scritto a metà giugno sul Fatto Quotidiano. “Ma fingere che ci sia una somiglianza o affinità con la Shoah, specialmente da parte di chi non ha mai voluto sapere della Shoah, è una squallida finzione giocata a carico di coloro che sono stati portati a morire in quel modo da Hitler e Mussolini”.
Di equazione “sbagliata sul piano storico e inappropriata su quello giuridico-politico” ha parlato Milena Santerini, coordinatrice nazionale per la lotta contro l’antisemitismo, in un precedente intervento su Repubblica. Se tale narrazione fosse accolta contribuirebbe infatti “a relativizzare e minimizzare l’evento Shoah, espressione del male senza uguali nella storia”. Il passato “può e deve essere incessantemente rivisto”, il messaggio di Santerini. Minimizzare la Memoria della persecuzione antiebraica andando nel solco di questa proposta avrebbe però come risultato quello di “indebolire l’impegno contro ogni forma di violenza, razzismo e antisemitismo oggi”. 
Sul tema ha detto la sua anche Paola Gargiulo, caposegretaria della commissione antidiscriminazione in Senato e stretta collaboratrice di Liliana Segre, esprimendo preoccupazione per l’iniziativa assunta dal partito di Giorgia Meloni. “L’Italia – il suo pensiero, esplicitato durante un recente evento romano – ha un grosso problema: non ha storicizzato la Memoria”.
Un tema già emerso più volte in questi anni, anche nel segno di inquietanti cortocircuiti. Come nel caso delle 13 “pietre d’inciampo” che il Comune di Trieste ha voluto dedicare, nel febbraio 2020, alle vittime delle foibe. “Un falso e un’idea folle” affermava allora Adachiara Zevi, che da anni coordina l’apposizione delle stolpersteine romane in ricordo delle vittime del nazifascismo. Alla base un’iniziativa volta a snaturare “il senso di un progetto”, con una prospettiva e un campo d’azione ben definiti. Ovviamente, precisava Zevi, “senza nulla togliere al dramma delle foibe”.
Quanto il campo sia complesso e quanto la consapevolezza talvolta scarsa anche a livello istituzionale lo dimostra un clamoroso infortunio occorso nel 2015, nel Giorno del Ricordo, con il conferimento di una medaglia d’oro a un combattente repubblichino agli ordini delle SS. Iniziativa maldestra che ha costituito un insulto, ricordava su queste pagine Anna Foa, alle stesse vittime delle foibe, ma anche “alla memoria degli oltre settecentomila militari italiani imprigionati dai nazisti per non aver voluto aderire a Salò, e a quella dei 9500 militari italiani assassinati dall’esercito tedesco a Cefalonia”. Resasi conto dell’errore, la Presidenza del Consiglio ha fatto marcia indietro. Resta comunque, a distanza di anni, una vicenda significativa e al tempo stesso istruttiva. 

Adam Smulevich twitter @asmulevichmoked

(Nell’immagine del Quirinale il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e il suo omologo sloveno Borut Pahor insieme a Basovizza, nel luglio del 2020)

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LA VISITA DELLA GIUNTA 

"Regione-Meis, valori condivisi"

La Giunta della Regione Emilia-Romagna in visita al Museo Nazionale dell'Ebraismo Italiano e della Shoah di Ferrara. Nel corso dell’incontro, il Presidente Stefano Bonaccini e gli assessori hanno visitato gli spazi del percorso permanente “Ebrei, una storia italiana”, la mostra multimediale “1938: l’umanità negata” e l’esposizione temporanea “Mazal Tov! Il matrimonio ebraico”.
L’occasione anche per parlare della legge, recentemente approvata, che ha fatto della Regione uno degli enti partecipanti del Meis. “La scelta giusta, soprattutto alla luce degli anni che stiamo vivendo. Abbiamo aderito con entusiasmo a questa visita al museo portatore di valori che condividiamo completamente”, ha dichiarato il presidente Bonaccini.
Un “onore” e una “gioia” la visita compiuta ieri, ha affermato il presidente del Meis Dario Disegni. Segnalando come la legge regionale abbia “rafforzato ancora di più questo legame così importante per il Museo”. Il Meis, ha aggiunto Disegni, “vuole essere un fiore all’occhiello per il territorio emiliano, un luogo capace di accogliere turisti da tutto il mondo e di offrire cultura, formazione, intrattenimento e occasioni di incontro e dialogo”.
Così il direttore rav Amedeo Spagnoletto: “Accogliamo la visita come il segno del ruolo importante che il Meis è chiamato a svolgere non solo sul piano nazionale, ma anche a favore del territorio e soprattutto delle scuole della regione. La nostra missione di divulgare la presenza millenaria degli ebrei in Italia e la memoria della Shoah si integra con la conoscenza di cosa ha rappresentato l’Emilia-Romagna per l’ebraismo italiano”.

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Dialogo e Bibbia
In questi giorni al Monastero di Camaldoli, in provincia di Arezzo, stanno accadendo alcune cose. Per i pochi lettori che non lo sapessero quel luogo incantevole situato da quasi un millennio nei boschi del Casentino ha ospitato negli ultimi decenni intellettuali di grande levatura che sono stati protagonisti di numerose iniziative di dialogo interreligioso, in particolare sul versante ebraico-cristiano. A conclusione di un’intensa settimana di studi nella quale si è affrontato il tema dell’incontro fra ebrei e non ebrei nella storia d’Italia, è stata organizzata una tavola rotonda dedicata a una riflessione sul futuro di questa esperienza di dialogo. Un evento che farà da preludio alla fondazione della sezione giovanile dell’associazione che, appunto, si dedica all’amicizia ebraico-cristiana. I temi sul tappeto sono molti. A un sessantennio dalla dichiarazione Nostra Aetate, che ha determinato una prima radicale svolta sullo sguardo che la Chiesa cattolica riserva all’esperienza ebraica nella storia, ci si interroga sui momenti di luce come su quelli più problematici che hanno segnato questi decenni di incontri e di confronto.
Gadi Luzzatto Voghera
Il destino del popolo 
Davanti alla richiesta delle due tribù – Gad e Reuvèn – di non attraversare il Giordano per motivi logistici, Moshè si inquieta violentemente accusandoli di mettersi in disparte dal resto del popolo. I maestri della Mishnà ci insegnano che ogni singolo ebreo deve seguire il destino del suo popolo, in ogni evenienza.
“Al tifrosh min ha tzibbur – non separarti dalla collettività” (Avòt 2;4)
Il destino di ogni ebreo è inesorabilmente legato a quello del resto del popolo, così tutto il popolo è garante anche di ogni suo singolo componente.
 
Rav Alberto Sermoneta
Vietare la verità
La legge recentemente approvata dal Parlamento ungherese mi sembra terribilmente inquietante non solo per la sua omofobia. A mio parere c’è qualcosa di ancora più grave. Mi terrorizza in particolare l’idea che per proteggere i bambini si proibisca di dire in loro presenza che esistono determinate categorie di persone. È vero, a quanto pare la legge vieta specificamente la propaganda, ma in molti casi dire che una persona o una cosa esistono a qualcuno che fino a quel momento ne ignorava l’esistenza può essere senza dubbio considerato una forma di propaganda. Dunque si vieta di dire ai bambini la verità e di conseguenza si impone per legge di presentare loro una realtà addomesticata, in sostanza una non verità.
 
Anna Segre
Il giallo di Mishani
“Lo sa perché non ci sono romanzi polizieschi in ebraico? Perché in Israele nessuno scrive libri sul genere di Agatha Christie o di “uomini che odiano le donne”? Perché qui non esistono delinquenti del genere. Niente serial killer, niente rapimenti, pochissimi stupratori che aggrediscono le donne per strada. Qui da noi, quando c’è un delitto, di solito è stato il vicino, lo zio, il nonno e non ci vogliono grandi indagini per scoprire il colpevole e sciogliere il mistero. Quello che manca qui da noi è proprio il mistero. La soluzione giusta è immancabilmente la più semplice.”
Queste affermazioni sono tratte dall’inizio del libro, ormai fuori edizione, Un caso di scomparsa (Guanda, 2011) dell’autore ed ex editorialista di Haaretz Dror Mishani.
 
Francesco Moises Bassano
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