Dialogo e Bibbia

In questi giorni al Monastero di Camaldoli, in provincia di Arezzo, stanno accadendo alcune cose. Per i pochi lettori che non lo sapessero quel luogo incantevole situato da quasi un millennio nei boschi del Casentino ha ospitato negli ultimi decenni intellettuali di grande levatura che sono stati protagonisti di numerose iniziative di dialogo interreligioso, in particolare sul versante ebraico-cristiano. A conclusione di un’intensa settimana di studi nella quale si è affrontato il tema dell’incontro fra ebrei e non ebrei nella storia d’Italia, è stata organizzata una tavola rotonda dedicata a una riflessione sul futuro di questa esperienza di dialogo. Un evento che farà da preludio alla fondazione della sezione giovanile dell’associazione che, appunto, si dedica all’amicizia ebraico-cristiana. I temi sul tappeto sono molti. A un sessantennio dalla dichiarazione Nostra Aetate, che ha determinato una prima radicale svolta sullo sguardo che la Chiesa cattolica riserva all’esperienza ebraica nella storia, ci si interroga sui momenti di luce come su quelli più problematici che hanno segnato questi decenni di incontri e di confronto. Come sempre quando si tratta di questioni religiose io credo che il tempo vada considerato con cautela, senza fretta. La storia della Chiesa, come la storia dell’Ebraismo, si misura in secoli e millenni, e pretendere svolte repentine e cambiamenti radicali è impensabile. In questa prospettiva è evidente che la dimensione del dialogo continua ad essere un gesto di buona volontà da cogliere per il suo valore intrinseco. Ogni incontro non può che produrre buoni frutti, mentre l’indifferenza non può che generare sospetto e paura reciproche. Quindi decisamente meglio l’incontro. Ma su quali basi? Io penso che uno dei terreni su cui si potrebbe agevolmente trovare una forma di collaborazione e di lavoro solidale dovrebbe essere quello connesso all’insegnamento della Bibbia nel percorso scolastico italiano. In passato su questo tema sono state attivate altre iniziative, ma sembra ancora lontano l’obiettivo – sempre più decisivo – di introdurre quella disciplina, quella conoscenza nel curriculum di studio dei giovani e delle giovani del nostro paese. Naturalmente non sto parlando dell’insegnamento confessionale. Su quel terreno ogni componente religiosa ha i suoi canali: i cattolici hanno i corsi di catechismo, gli ebrei formano i loro ragazzi per prepararli al Bar o Bath mitzwah. Ma non è questo il tema. La questione ha a che vedere con un paese che fonda la sua civiltà letteraria, la sua arte, la sua cultura musicale e perfino il suo territorio su elementi che rimandano in maniera fondamentale alla Bibbia e ai suoi elementi costitutivi. Chi fra i nostri studenti studia Dante, o si interroga sugli affreschi delle chiese, o ascolta le melodie di tanta parte della nostra produzione musicale non potrà avere piena coscienza di quel che vede e sente se non conosce almeno a grandi linee la struttura, le storie e i luoghi fondamentali della scrittura biblica. Gli stessi fondamenti della nostra morale condivisa e dell’etica attorno cui tutti dicono di volersi conformare provengono da lì, o per lo meno “anche” da lì. Ho sempre trovato scandalosa l’ignoranza della Bibbia che domina le giovani generazioni (cristiane come ebraiche), e trovo che sia giunto il momento di porre rimedio con un’azione culturale e politica concreta in questo senso. Forse – è questo il senso della mia proposta – il futuro del dialogo ebraico cristiano dovrebbe lavorare a fondo in questa direzione. Certo, le resistenze non saranno poche. Da un diffuso fondo culturale neogiacobino che imperversa nelle nostre accademie alla tendenza delle gerarchie religiose che nello stesso tempo tendono a non privarsi di questo terreno “loro”, ma fanno poco per promuovere una vera e profonda conoscenza della Bibbia a livello diffuso. Tuttavia si tratta di una battaglia che va combattuta, forse prendendo le mosse proprio da Camaldoli e dalla sua atmosfera di dialogo.

Gadi Luzzatto Voghera, Direttore Fondazione CDEC

(9 luglio 2021)