Se non leggi correttamente questo messaggio, clicca qui               15 Luglio 2021 - 6 Av 5781
LA STORICA NOMINA

Commissario anti-Covid, Israele sceglie un druso  

Qualche settimana fa un sito specializzato sul dinamismo della società israeliana faceva il suo nome tra "i sei leader drusi che stanno trasformando in meglio il Paese".
Figure selezionate tra le più rappresentative di una minoranza che è, da sempre, tra le più integrate e attive del complesso mosaico nazionale.
Direttore del Ziv Medical Center di Safed, il 57enne Salman Zarka è da qualche ora il nuovo commissario anti-Covid d'Israele. Nel momento in cui non solo i suoi connazionali, ma tutto il mondo torna a guardare verso Gerusalemme e la sua capacità di confrontarsi con il virus come a un possibile modello globale, un incarico di enorme responsabilità.
Zarka, che è un epidemiologo e coadiuva il governo dall'avvento dell'epidemia, ha raccolto la sfida con queste parole: "Lavorerò in piena collaborazione e con professionalità sia con gli esperti che con i leader politici". La pandemia, ha poi aggiunto, "è un problema complesso che non ha ricadute solo in ambito sanitario, ma anche sulla sicurezza del paese: ogni implicazione sarà oggetto di approfondimento".
Laureatosi presso il Technion, Zarka insegna alla Bar-Ilan e all'Università ebraica di Gerusalemme. In passato è stato colonnello dell'esercito israeliano, dove ha servito per 25 anni. Un fronte che l'ha visto protagonista anche dell'azione di soccorso, impiantata sul Golan, ai civili siriani in fuga dalla drammatica guerra civile ancora in corso.
Salman è nato in un villaggio della Galilea, in una famiglia che parlava solo arabo e con modeste possibilità economiche. Ma che, racconterà in seguito, l'ha sempre incoraggiato a inseguire i suoi sogni. "I drusi sono legati alla comunità ebraica ben prima della fondazione dello Stato", ha dichiarato in una intervista. Un legame ulteriormente rafforzato con questa nomina.

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IL ROMANZO CHE STA APPASSIONANDO L'AMERICA

La grande saga dei Netanyahu

Una sera d’inverno una famiglia arriva al Corbin College, a nord di New York. È il 1959. Benzion Netanyahu, oscuro studioso israeliano specializzato nell’Inquisizione spagnola, è in lizza per un incarico e a sorpresa si è trascinato dietro la moglie e i figli. A occuparsi controvoglia degli ospiti sarà il professor Ruben Blum, che si occupa di storia delle tasse ma in qualità di unico ebreo della facoltà è stato cooptato nella commissione che valuta il candidato.
Da qui The Netanyahus (New York Review Books, 248.pp.), il nuovo romanzo di Joshua Cohen, rimescola fatti e fantasia in una commedia vertiginosa che fra una risata e un’invettiva illumina un intreccio micidiale di politica, identità, pregiudizi e umane assurdità. Il libro prende spunto da un episodio raccontato all’autore dal celebre critico Harold Bloom. A suo tempo Bloom, il difensore del canone letterario occidentale, si era trovato a fare da chaperon a Benzion Netanyahu in visita alla Cornell University dove quest’ultimo, specializzato in storia ebraica del Medioevo e autore di un’opera monumentale e discussa sull’Inquisizione, insegnerà dal 1971 al 1975. La famiglia farà ritorno in Israele l’anno dopo, quando il figlio Yonathan sarà ucciso nell’operazione Entebbe.
Nella finzione letteraria Harold Bloom – ammiratore di Joshua Cohen tanto da includere il suo Il libro dei numeri (Codice Edizioni, 2019) nell’elenco dei 48 romanzi da leggere e rileggere – diventa il professor Ruben Blum a cui tocca valutare Netanyahu malgrado la sua specialità non abbia niente a che fare con l’Inquisizione spagnola. “Sono uno storico ebreo, ma non uno storico degli ebrei”, precisa nelle prime pagine a chiarire che le dinamiche in ballo poco hanno a che fare con il merito accademico.
Appena si addentra nelle ricerche di Netanyahu, Blum si rende però conto che stonano con la versione della storia che conosce. Secondo lo studioso israeliano, l’Inquisizione spagnola non discenderebbe infatti dalla volontà di convertire gli ebrei ma dal tragico destino del popolo ebraico, comunque votato alla sofferenza.
Sionista revisionista, vicino a Jabotinsky e ferocemente contrario a ogni compromesso con il mondo arabo, Benzion Netanyahu considerava di fatto l’intera storia ebraica “una storia di olocausti”. Alla sua morte, nel 2012 a 102 anni, molti critici hanno sottolineato che “sembrava guardare a casi di antisemitismo di epoche precedenti con il filtro dell’Olocausto”, come scrive il New York Times. Nel romanzo, il professor Blum concluderà che c’è poco di accademico in questa teoria che, dice, rasenta il “dogma”. Malgrado ciò non riesce a staccarsene e si avvita in notti insonni che per la prima volta lo vedono riflettere su se stesso, la sua storia e il significato del suo essere ebreo nell’America laica.
Negli Stati Uniti The Netanyahus: An Account of a Minor and Ultimately Even Negligible Episode in the History of a Very Famous Family, come suona il titolo completo, è stato accolto da recensioni entusiastiche. “Nessuno che oggi scriva in inglese è più dotato di Joshua Cohen”, sostiene Nicole Krauss. A partire da una trascurabile scheggia di verità, queste pagine compongono una ricognizione feroce e brillante degli interrogativi che segnano l’identità ebraica fra passato e presente, Israele, l’America e la diaspora – il genere di libro in cui la luce dell’attualità si carica di nuove preziose sfumature.

Daniela Gross – Pagine Ebraiche luglio 2021

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STORICO DELL'AFRICA E CAMPIONE PARALIMPICO  

Yekutiel Gershoni (1943-2021)

Una vita all’insegna del coraggio e della determinazione, più forte di ogni ostacolo. È scomparso all’età di 78 anni Yekutiel Gershoni, autorevole storico israeliano, esperto in particolare di Africa e Medio Oriente. Già presidente dell’associazione internazionale per gli studi sulla Liberia, ha insegnato in Israele e prestigiosi atenei internazionali come la Stanford University ma è stato, a prescindere da ciò, anche e soprattutto un grande esempio di vita.
Nel 1969 – durante un’operazione militare per disinnescare alcuni ordigni nella valle del Giordano, collocati di proposito da gruppi terroristici per insanguinare le celebrazioni del Balfour Day – lo scoppio di una mina avrebbe avuto conseguenze drammatiche sulla sua esistenza. A Gershoni saranno amputate entrambe le braccia. Oltre a ciò ne risentiranno significativamente sia vista che udito.
Iniziava, da quel giorno, la sua nuova vita. Con molti handicap, ma senza nessuna voglia di alzare bandiera bianca. Un brillante percorso di studi, proseguito con una cattedra alla Tel Aviv University. Ma anche la passione immutata per lo sport, portata a frutto con varie partecipazioni (e molte medaglie) alle Paralimpiadi. Nel salto in lungo, ma anche nella corsa sia su breve che lunga distanza. Un talento versatile, un esempio indelebile. Come dimostra anche l'immagine scelta da Ynet per ricordarlo. 
Sia il suo ricordo di benedizione.

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SEGNALIBRO 

Da Einstein a Dylan, il destino nei nomi

Una lunga serie di “omaggi” (oltre 30) a grandi personaggi della scienza e della letteratura, della musica e dell’arte, in prevalenza vissuti nel Novecento. Autore dell’itinerario l’artista Piero Nissim, che firma Il sasso di Einstein di recente pubblicazione con Pontecorboli Editore.
Versi ispirati dal significato dei nomi presi in esame. Quasi a cercare in questi, spiega Nissim, “una essenza, un percorso di vita, a volte un presagio, un destino.
Così Einstein, che dà il nome alla silloge, diventa “un sasso”, il fisico Mandelbrot “pan di mandorle”, Isaac B. Singer “il cantore” del mondo yiddish e così via. Molti dei “grandi” presi in esame sono ebrei come l’autore: oltre ai già citati, troviamo Freud, Zamenhof, Amos Oz e anche Bob Dylan, il cui vero nome fa Zimmerman, dal tedesco il carpentiere (Bob carpentiere Zimmerman/più noto come Dylan, se Dio vuole/ha costruito case di canzoni/ con la “calce” di musica e parole….).
Molti sono i nomi tedeschi data la familiarità dell’autore con la lingua ma non mancano altre “residenze”, da Oscar Wilde (selvaggio) a Nazim Hikmet (in turco: saggio) a Maskim Go’rkij (che ebbe una vita amara).

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Israele e Giordania
I media italiani hanno trascurato a torto il recente incontro “segreto” tra il primo ministro israeliano Naftali Bennett e re Abdallah di Giordania. A torto, intanto perché aver ritrovato un accordo sull’acqua è sempre un fatto importante nei rapporti tra i due Stati che si affacciano sul Giordano e per i quali l’uso delle acque del fiume è di vitale importanza.
Ma il significato politico dell’incontro è ancora maggiore. Dalla morte di re Hussein nel 1999 i rapporti tra Israele e Giordania si erano andati progressivamente raffreddando, per volontà in particolare del nuovo sovrano che voleva ritagliarsi un’immagine non appiattita su quella del padre e mettere in evidenza che la Giordania, pur in pace con Israele, non dimenticava i “fratelli” dell’altra sponda e soprattutto si ricordava che la maggioranza della sua popolazione è di origine palestinese. Da qui anche una certa freddezza verso l’Accordo di Abramo e gli accordi successivi che avevano ignorato il permanere della questione palestinese.
Valentino Baldacci
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