Quando arrivano i Netanyahu

Una sera d’inverno una famiglia arriva al Corbin College, a nord di New York. È il 1959. Benzion Netanyahu, oscuro studioso israeliano specializzato nell’Inquisizione spagnola, è in lizza per un incarico e a sorpresa si è trascinato dietro la moglie e i figli turbolenti. A occuparsi controvoglia degli ospiti sarà il professor Ruben Blum, che si occupa di storia delle tasse ma in qualità di unico ebreo della facoltà è stato cooptato nella commissione che valuta il candidato.
Da qui The Netanyahus (New York Review Books, 248.pp.), il nuovo romanzo di Joshua Cohen, rimescola fatti e fantasia in una commedia vertiginosa che fra una risata e un’invettiva illumina un intreccio micidiale di politica, identità, pregiudizi e umane assurdità. Il libro prende spunto da un episodio raccontato all’autore dal celebre critico Harold Bloom. A suo tempo Bloom, il difensore del canone letterario occidentale, si era trovato a fare da chaperon a Benzion Netanyahu in visita alla Cornell University dove quest’ultimo, specializzato in storia ebraica del Medioevo e autore di un’opera monumentale e discussa sull’Inquisizione, insegnerà dal 1971 al 1975. La famiglia farà ritorno in Israele l’anno dopo, quando il figlio Yonathan sarà ucciso nell’operazione Entebbe.
Nella finzione letteraria Harold Bloom – ammiratore di Joshua Cohen tanto da includere il suo Il libro dei numeri (Codice Edizioni, 2019) nell’elenco dei 48 romanzi da leggere e rileggere – diventa il professor Ruben Blum a cui tocca valutare Netanyahu malgrado la sua specialità non abbia niente a che fare con l’Inquisizione spagnola. “Sono uno storico ebreo, ma non uno storico degli ebrei”, precisa nelle prime pagine a chiarire che le dinamiche in ballo poco hanno a che fare con il merito accademico.
Appena si addentra nelle ricerche di Netanyahu, Blum si rende però conto che stonano con la versione della storia che conosce. Secondo lo studioso israeliano, l’Inquisizione spagnola non discenderebbe infatti dalla volontà di convertire gli ebrei ma dal tragico destino del popolo ebraico, comunque votato alla sofferenza.
Sionista revisionista, vicino a Jabotinsky e ferocemente contrario a ogni compromesso con il mondo arabo, Benzion Netanyahu considerava di fatto l’intera storia ebraica “una storia di olocausti”. Alla sua morte, nel 2012 a 102 anni, molti critici hanno sottolineato che “sembrava guardare a casi di antisemitismo di epoche precedenti con il filtro dell’Olocausto”, come scrive il New York Times. Nel romanzo, il professor Blum concluderà che c’è poco di accademico in questa teoria che, dice, rasenta il “dogma”. Malgrado ciò non riesce a staccarsene e si avvita in notti insonni che per la prima volta lo vedono riflettere su se stesso, la sua storia e il significato del suo essere ebreo nell’America laica.
Negli Stati Uniti The Netanyahus: An Account of a Minor and Ultimately Even Negligible Episode in the History of a Very Famous Family, come suona il titolo completo, è stato accolto da recensioni entusiastiche. “Nessuno che oggi scriva in inglese è più dotato di Joshua Cohen”, sostiene Nicole Krauss. A partire da una trascurabile scheggia di verità, queste pagine compongono una ricognizione feroce e brillante degli interrogativi che segnano l’identità ebraica fra passato e presente, Israele, l’America e la diaspora – il genere di libro in cui la luce dell’attualità si carica di nuove preziose sfumature.

Daniela Gross – Pagine Ebraiche luglio 2021

(Nell’immagine in alto Benzion Netanyahu insieme ai figli Benjamin e Jonathan e alla moglie Tzila)