L'ANNUNCIO DEL MINISTRO DEGLI AFFARI RELIGIOSI MATAN KAHANA

"Casherut in Israele, è il momento di una riforma 
Rivoluzioneremo il sistema delle certificazioni"

Il sistema del rilascio delle certificazioni casher in Israele è stato a più riprese criticato e oggetto di proposte di riforma. Ad essere contestato è il monopolio che esercita in questo settore il Gran Rabbinato d’Israele, l’autorità nel paese per tutte le questioni legate alla Legge ebraica. Secondo i critici, il sistema attuale è troppo oneroso per le imprese che si occupano di ristorazione (dai ristoranti ai locali), non è trasparente, non tutela il consumatore e ha portato a diversi casi di illeciti. Per questo deve essere riformato. A provare a farlo ora, dopo i diversi tentativi naufragati, sarà l’attuale ministro per gli Affari religiosi Matan Kahana, che ha presentato un piano per introdurre una parziale privatizzazione delle licenze casher. "Il sistema della casherut dello Stato di Israele ha bisogno di essere significativamente semplificato. - ha dichiarato Kahane presentando il suo piano ai giornalisti -  La rivoluzione che sto conducendo rafforzerà il Gran Rabbinato e creerà una concorrenza che migliorerà la casherut, così come abbasserà il prezzo delle certificazioni per le imprese”. 
La riforma, spiegano i media israeliani, dovrebbe portare alla creazione di una serie di agenzie private di certificazione casher, che dovranno garantire gli standard religiosi stabiliti dal Gran Rabbinato. Solo in questo caso potranno rilasciare licenze che indicano che sono sotto la supervisione di quest'ultimo. Nella direzione delle agenzie dovrà poi esservi un rabbino che ha ottenuto il via libera dal rabbinato locale della città di riferimento.
Il piano proposto vedrebbe anche la creazione di un organo di supervisione generale del Gran Rabbinato per monitorare le agenzie private e assicurare che mantengano gli standard che hanno promesso di rispettare.

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L'INCONTRO TRA IL MINISTRO BIANCHI E IL RABBINO SERMONETA

“Scuola pubblica, luogo di crescita”

Lo studio non solo come diritto, ma anche come dovere. Quello dei genitori di insegnare ai propri figli, oppure di trovare un’alternativa all’altezza; quello dei figli di studiare; e quello dei maestri di insegnare. A fissare i cardini dell’istruzione come dovrebbe essere un Maestro vissuto ai tempi del Secondo Tempio di Gerusalemme, Yehoshua ben Gamla. Una lucida visione in grado di influenzare, nel suo riverbero, mondi anche lontani da quello ebraico.
Il punto di partenza di uno stimolante viaggio alle radici della scuola pubblica, dal Talmud ai giorni nostri, condotto dal ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi e dal rabbino capo di Bologna rav Alberto Sermoneta. “Nell’ebraismo tutto è cultura e studio. La stessa parola Torah significa insegnamento” ha spiegato rav Sermoneta, intraprendendo per primo questo viaggio.
Un insegnamento “mai passivo”. Ma anzi “volto a stimolare la curiosità di chi studia, a farne un soggetto in grado di agire”. Come nel caso, emblematico, del Seder di Pesach. “Un’occasione – ha ricordato – in cui sono i più giovani ad essere protagonisti”. Un Maestro è, in questa prospettiva dinamica, “colui che provoca nell’alunno una domanda, una voglia anche sana di competizione”. Da qui il celebre detto rabbinico: “Fatti un Maestro e acquistati un compagno”.
Un discorso valido in un contesto ebraico, naturalmente. Ma, ha ricordato rav Sermoneta nel corso dell’incontro online coordinato dalla figlia Jael, anche in ambito di scuola pubblica. Un’istituzione, le sue parole, “fondamentale per la crescita”. E questo per via della possibilità “di confrontarsi e conoscere realtà diverse” da quella d’origine. Un arricchimento prezioso in tutti i sensi, “senza mai rinunciare alla propria identità, a quello che si è”.
Linee di valore antiche, quelle ebraiche, evocate anche nell’intervento del ministro Bianchi. Tra le bussole cui guardare per colmare le lacune di un sistema, quello italiano, in ritardo rispetto a quello dei paesi del Nord Europa (e bene ha spiegato il ministro perché) e “con davanti a sé una conquista difficile: evitare la dispersione di ciascuno dei suoi figli, perché tali dobbiamo sentire tutti i nostri studenti”. Tema complesso tornato d’attualità al tempo del Covid, con sperequazioni evidenti e un tasso d’abbandono allarmante. “Stiamo lavorando – ha detto Bianchi – per una scuola che dia ad ognuno il diritto di essere uguale e al tempo stesso diverso. Una sfida impegnativa, non lo nascondo. Anche per le molte barriere che stiamo incontrando”.
Al centro un principio, quello di un reciproco obbligo che sembra ispirato esso stesso all’azione, compiuta due millenni fa in un contesto molto differente, da ben Gamla: “Dei singoli di appartenere a una comunità più vasta. E dello Stato di garantire le condizioni per esercitare questa appartenenza”.
 

(Nelle immagini il ministro Bianchi e il rav Sermoneta)

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CALCIO, IL PRESIDENTE DELLA LAZIO A PAGINE EBRAICHE

Lotito: "Mi impegno in prima persona
Non ci facciamo intimidire dai violenti"

Non si è ancora spenta, nel mondo del calcio, l’eco per l’infame striscione neofascista a firma di alcuni tifosi della Lazio. Vittima l’albanese Elseid Hysaj, nuovo acquisto della squadra capitolina, prodottosi in ritiro in una performance canora di “Bella Ciao”.
Un pugno in un occhio per una parte della galassia ultrà, tradizionalmente orientata verso la destra estrema. E così è arrivato questo minaccioso avvertimento, esposto sul ponte di Corso Francia: “Hysaj verme. La Lazio è fascista”.
Non la prima intemperanza del genere nella storia biancoceleste. La dirigenza del club, non sempre adeguata nel contrasto a un razzismo da curva spesso declinato anche nel segno dell’antisemitismo, ha risposto con fermezza. “Noi – si legge nella nota ufficiale diffusa ieri – non saremo mai dalla parte di chi nega i valori dello sport”. E ancora: “Non ci faremo intimidire da chi usa toni violenti ed aggressivi: per loro non c’è alcuno spazio nel nostro mondo che invece è ispirato ai sani valori sportivi della lealtà e della competizione, del rispetto reciproco e della convivenza civile ed indirizzato al superamento di tutti gli steccati di carattere sociale, culturale, economico e razziale”.
Il presidente Claudio Lotito, raggiunto da Pagine Ebraiche, sostiene di averlo scritto “personalmente, parola per parola”. Nessuno, afferma, “ha il coraggio di esporsi così”. Peccato per l’antico vizio di sminuire un problema significativo e che si trascina da anni: “Son quattro scemi”, dice a proposito degli autori dell’esecrabile gesto. “Ma – aggiunge – non li considero parte della tifoseria”.
Il dubbio che siano ben più di “quattro scemi” resta, anche pensando ad altre manifestazioni di inciviltà che hanno suscitato allarme. Come il caso, tra i più noti e discussi, delle figurine con Anna Frank in maglia giallorossa. “Gli scemi sono dappertutto. Non solo tra i nostri tifosi. Non voglio che questa vicenda sia strumentalizzata, né a destra né a sinistra”, commenta Lotito. “Nel calcio la politica non deve esistere. Dobbiamo tenerci al riparo da situazioni ideologiche, di qualunque tipo”.
Il presidente laziale ritiene che sia necessario lavorare “per favorire un clima di convivenza”. Anche con il sostegno dei fan. La parte “sana” di quel tifo che ritiene l’assoluta maggioranza. “Da quando abbiamo diffuso il comunicato le reazioni ricevute sono state quasi esclusivamente positive”, tiene a dire a Pagine Ebraiche.

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IL CONVEGNO ONLINE ORGANIZZATO PER IL 22 LUGLIO

Italia ed Est Europa, intrecci di identità ebraica

Quella tra Italia ed Europa orientale è una storia fatta di molti incontri. Di scambi costanti e su diversi piani in entrambe le direzioni. Un processo che, nel corso dei secoli, ha visto gli ebrei protagonisti. Lo ricorderà un prestigioso convegno internazionale in programma domani, organizzato dalla Fondazione per i Beni Culturali Ebraici in Italia e dal Center for Jewish Art della Università Ebraica di Gerusalemme: “Jewish Crossroads: Between Italy and Eastern Europe”, curato da Vladimir Levin e Andrea Morpurgo, sarà l’occasione di un viaggio ampio. Partendo da “migrazioni, economia e Halakhah”, per poi soffermarsi su “architettura e scultura” e approfondire il capitolo relativo a “manoscritti e libri stampati”. Con uno sguardo infine sull’Italia “moderna e contemporanea”.
Al via alle 12, sulla piattaforma Zoom e in streaming anche sulla pagina Facebook della Fondazione, il convegno segna l’inizio di una collaborazione che porterà, si annuncia, “alla costruzione di futuri progetti di studio, salvaguardia e valorizzazione del ricchissimo patrimonio storico artistico ebraico italiano, presente sul nostro territorio e all’estero”.
Tra gli esempi più noti di questi intrecci tra Italia ed Est Europa, ha sottolineato Morpurgo su Pagine Ebraiche, la costruzione di numerose sinagoghe in Polonia e Lituania da parte di architetti italiani. Ad esempio la sinagoga Izaak, “costruita da Francesco Olivieri nello storico quartiere Kazimierz di Cracovia nel 1644, e che prende il nome dal suo donatore Izaak Jakubowicz, banchiere del re Ladislao IV di Polonia”.

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Ticketless - Darsela Agamben
Va rimandata al mittente, con sdegno (e sorpresa, data l’autorevolezza dell’autore), la tesi sostenuta nel suo ultimo blog da Giorgio Agamben: «Come avviene ogni volta che si istaura un regime dispotico di emergenza e le garanzie costituzionali vengono sospese, il risultato è, come è avvenuto per gli ebrei sotto il fascismo, la discriminazione di una categoria di uomini, che diventano automaticamente cittadini di seconda classe. A questo mira la creazione del cosiddetto green pass». Non è la prima volta che le leggi contro gli ebrei sono prese come un test per misurare tutto e il contrario di tutto, ci si abitua a fatica a queste morbose comparazioni, ma che un intellettuale del calibro di Agamben arrivi al punto di considerare il green pass una specie di stella gialla lascia senza fiato e non fa che alimentare il dubbio che non da oggi pavento. La pandemia ha addormentato le coscienze e annebbiato il pensiero. Meglio darsela Agamben.
Alberto Cavaglion
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Come il leggendario Ricardo Zamora
Dal 10 al 17 maggio 1940 i Paesi Bassi subirono l’invasione militare tedesca; l’occupazione fu devastante e penalizzò profondamente il ricco assetto artistico-musicale del Paese.
Il Reich istituì la Nederlandsche Kultuurkamer (equivalente della Reichskulturkammer), le scelte dei musicisti in merito non furono univoche; occorreva difendere la dignità ma c’era altresì bisogno di far musica per alleggerire gli animi provati dalla Guerra e, non ultimo, urgeva lavorare per vivere. 
Il contralto olandese Maartje Offers si rifiutò di diventare membro della Kultuurkamer, ciò segnò definitivamente la fine della sua carriera; nel maggio 1943 la sua casa a L’Aja fu requisita dall’autorità tedesca, pertanto riparò in una piccola fattoria a Eerbeek [Veluwe] dove viveva in solitudine.
Francesco Lotoro
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