Se non leggi correttamente questo messaggio, clicca qui    15 Dicembre 2021 - 11 Tevet 5782

NUOVI STIMOLI DAL MUSEO EBRAICO DI BERLINO 

L'identità e la guarigione a pezzi

È in corso al Museo Ebraico di Berlino (fino al marzo 2022) la mostra fotografica di Frédéric Brenner intitolata “Zerheilt/Healed to pieces”, che si potrebbe tradurre “Guariti a pezzi” (Paul Celan a Ilana Schmueli, nel 1970, a proposito di come è uscito dalla Shoah: “Die Zerstörungen reichen bis an den Kern meiner Existenz. Man hat mich zerheilt”: ‘Le distruzioni arrivano fino al nucleo della mia esistenza. Mi hanno guarito facendomi a pezzi’). È una mostra fatta di immagini che ritraggono per lo più persone che rappresentano l’essere ebrei oggi in Germania, e in particolare nella Berlino multietnica e multiculturale odierna, ma forse non solo. Queste fotografie, molto efficaci ed emotivamente coinvolgenti, commoventi e persino laceranti, ci fanno vedere persone e cose che le riguardano immerse in contesti strani e a volte paradossali, onirici in virtù della tecnica fotografica iperrealista che li produce.

La carica simbolica è molto forte, come in una immagine chiave dell’intera mostra, quella che ritrae un giovane uomo diviso in due, a sinistra (di chi guarda) moderno cittadino, borghese, professionista, in camicia e cravatta, a capo scoperto, a destra chassid con barba fluente e payot, sul capo il cappello di pelliccia, lo shtreimel, e addosso la giacca damascata dei chassidim ashkenaziti o polacchi.

La tensione visiva indotta nello spettatore ebreo o quasi ebreo o che vorrebbe essere ebreo ma non ci si sente del tutto o che si sente ebreo ma non è riconosciuto come tale dal mondo ebraico ufficiale, dipende dalla fisicità espressiva delle persone ritratte, dalla sensazione di essere introdotti nell’intimità nuda del loro mondo e delle loro contraddizioni. La domanda che percorre l’intera mostra è: che cosa significa essere ebrei in un mondo come quello di oggi, ossessionato dalla fluidità identitaria e di genere, caratterizzato da un’ansia di conversione ossia di mutamento profondo o superficiale dell’identità che ci si porta addosso dalla nascita?
 

Giacomo Todeschini, storico e docente di Storia ebraica medievale 
del Diploma Universitario triennale in Studi Ebraici UCEI

IL GIORNALISTA EBREO ITALIANO CHE FECE CADERE IL MURO DI BERLINO

Riccardo Ehrman (1929-2021)

È scomparso all'età di 92 anni Riccardo Ehrman, il giornalista che con la sua celebre domanda avrebbe fatto cadere il Muro di Berlino. O almeno avrebbe significativamente affrettato quel processo. Nato a Firenze nel 1929, aveva vissuto sulla propria pelle l'infamia delle leggi razziste che l'avevano espulso dalla scuola e aveva dovuto affrontare, bambino, un periodo di internamento nel campo di Ferramonti. A Pagine Ebraiche, in occasione del suo 90esimo compleanno, aveva rilasciato una toccante testimonianza (che riportiamo di seguito). 
"Sul mio atto di nascita - raccontava Ehrman - c’è un timbro su cui è scritto ‘ebreo’. È un segno dell’odio fascista, di quella terribile stagione che fece di noi ebrei dei ‘non uomini’. Ma io non ho mai chiesto che fosse cancellato. Sono ebreo e sono ben contento di esserlo. Grazie a Pagine Ebraiche per avermi permesso di ricordarlo". Sia il suo ricordo di benedizione. 

 

"Così ho abbattuto il Muro di Berlino"

Alla conferenza stampa che l’avrebbe reso celebre in tutto il mondo arrivò con qualche minuto di ritardo: apparentemente sembrava un evento di routine, cui presenziare giusto per dovere di cronaca. In realtà ci si apprestava a una svolta epocale e Riccardo Ehrman, corrispondente dell’Ansa da Berlino, ebbe il merito, primo tra i suoi colleghi, di rendersene conto, di porre le domande giuste e di facilitarne l’esito. Nove novembre 1989, un tardo pomeriggio d’autunno a Berlino Est. Rivolgendosi alla stampa il portavoce della DDR Guenther Schabowski annuncia la possibilità in arrivo, per i cittadini della Germania orientale, di varcare tutte le frontiere senza bisogno di passaporto. “Vale anche per Berlino ovest’? chiede Ehrman. ‘Sì, per tutte le frontiere” risponde il portavoce. “E da quando?” torna a chiedere Ehrman. Dopo un attimo di esitazione ecco Schabowski asserire: “Su questo foglio non c’è scritto, però sicuramente da questo momento”.
Sembra l’ennesima sparata di un regime abituato a servirsi come tutti i regimi della propaganda. Ma così non è. Il corrispondente si precipita a dare la notizia, che viene tenuta ferma per alcuni minuti per timore di un abbaglio. Poi finalmente arriva il via libera. Il nome di Ehrman è nella Storia. Pochi istanti e il Muro crollerà fisicamente a pezzi. 
La sua vicenda professionale è inevitabilmente segnata da quella giornata, al centro nelle scorse settimane di molti ricordi e rievocazioni. Ma la sua è anche la storia di un ebreo italiano, di un ex perseguitato dal regime fascista che ha condotto una vita a testa alta, fiero delle sue origini e capace di trasformare le ferite del passato in opportunità di crescita e consapevolezza. 

A inizio novembre il suo telefono sarà stato molto caldo…

Beh, sì. Mi hanno cercato davvero in tanti. Mi ha fatto piacere. Fa sempre un certo effetto essere una notizia. Specie se le notizie le si è date in una lunga vita di lavoro appassionato. Come quella volta a Berlino, 30 anni fa. Mai avrei immaginato una cosa del genere, recandomi a quella conferenza stampa. Faccio quelle domande e ricevo quelle risposte. Chiamo subito Roma, li avverto. All’Ansa si domandano se per caso nel frattempo sia impazzito. C’è voluto qualche lunghissimo minuto per convincerli che ero nel giusto. 
 

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Qualcuno, in questi anni, ha cercato di toglierle la paternità di quelle domande. Lei ha però reagito con forza a tali insinuazioni.
Purtroppo l’invidia è una brutta cosa. Pensi che c’è stato chi ha persino sostenuto che io, in quanto italiano, non potessi averle formulate in perfetto tedesco. Poverini, non sanno che io il tedesco lo parlavo bene sin da piccolo. Che il tedesco per me, ebreo ashkenazita, è sempre stata una cosa di famiglia. Mi consolo con i riconoscimenti avuti, che sono l’attestazione inequivocabile di quanto avvenuto. Un giorno Willy Brandt, abbracciandomi in modo caloroso, mi disse: “Domanda breve, effetto enorme”. 

Lei nasce a Firenze, il 4 novembre del 1929. 
Esatto, sono un fiorentino. E ne sono orgoglioso. Però nell’autunno del ’38, anche nella mia bella città, accadde una cosa grave. In quanto ebreo, al pari dei miei correligionari, fui espulso da tutte le scuole del Regno. Andavo alle elementari, studiavo in un istituto in via Battisti di cui non ricordo il nome. Risolutivo fu un intervento del cardinale Elia Dalla Costa, futuro Giusto tra le Nazioni, che in qualche modo fece sì che io venissi iscritto a una struttura cattolica privata, le Scuole Pie Fiorentine. Nessuno, lo preciso e va a loro merito, cercò di convertirmi. 

Pochi anni dopo però la vita sua e dei suoi cari avrebbe subito una ulteriore svolta. 
Avevo 13 anni quando ai miei genitori, polacchi di nascita ma italiani d’adozione, fu tolta la cittadinanza. Fummo tutti arrestati e trasferiti con scorta armata nel Sud Italia. La nostra destinazione fu Ferramonti, in Calabria, in cui furono raccolti e costretti tanti apolidi come noi. Un’esperienza traumatica, anche perché ero solo un ragazzino. 

Cosa ricorda di quei giorni? 
Malgrado la penosa condizione in cui ci trovavamo, di quel periodo conservo diverse memorie positive. Non subimmo infatti alcun genere di maltrattamento e la popolazione locale, mossa da commovente generosità e altruismo, si tolse il pane di bocca per sfamarci.
Clandestinamente ci arrivavano pane e uova, che facevano passare sotto i reticolati del campo. Fu nutrimento del corpo e dell’anima. Purtroppo però ci trovavamo in zona malarica e l’effetto fu che mio padre si ammalò. Alcuni anni dopo sarebbe morto per i postumi di quella esperienza. 

Finita la guerra, conclusi gli studi, si getta subito nel lavoro. 
Sì, volevo fare il giornalista. Era il mio desiderio più forte. Feci diverse esperienze, poi l’Ansa mi assunse. Il punto di partenza è stato Firenze, il mio trampolino verso il Canada, New York e infine Berlino. 

Cosa ricorda di quella Firenze duramente provata dalla guerra e della sua Comunità ebraica? 
Mi piaceva essere dentro le attività comunitarie. Ero grande amico del rav Fernando Belgrado, storico rabbino capo della ricostruzione. Mi coinvolgeva di frequente, andavo in sinagoga per le feste e funzioni principali. A me di solito chiedeva di pronunciare il Kaddish, la preghiera per i morti. 

Tra le tante chiamate ricevute ce n’è stata una che le ha fatto particolarmente piacere. 
Per il mio novantesimo compleanno, curiosamente festeggiato pochi giorni prima del trentesimo anniversario dalla caduta del Muro, ricevo una telefonata da Firenze. È il Consiglio comunale che vuol farmi gli auguri per questo importante traguardo anagrafico. Mi passano in diretta nella sala, dove tutti sono riuniti per ascoltare quello che ho da dire. Spiego loro che sul mio atto di nascita c’è un timbro su cui è scritto ‘ebreo’. È un segno dell’odio fascista, di quella terribile stagione che fece di noi ebrei dei ‘non uomini’. Ma io non ho mai chiesto che fosse cancellato. Sono ebreo e sono ben contento di esserlo. Grazie a Pagine Ebraiche per avermi permesso di ricordarlo.  

Adam Smulevich - Pagine Ebraiche dicembre 2019

QUI ROMA - L'EVENTO SUL LIBRO CURATO DA PIERRE SAVY

"Storia degli ebrei, storia del mondo"

"Peregrinare attraverso delle date non significa realizzare una linea del tempo, di cui questo libro peraltro è sprovvisto: vuol dire invece proporre un viaggio in una lunga storia fatta di avvenimenti molto diversi sotto ogni punto di vista, con la loro eco, le loro conseguenze e la loro posterità”.
Lo evidenzia Pierre Savy, direttore degli studi per il Medioevo presso l’École française de Roma, nell’introduzione a quel suggestivo viaggio in 90 tappe che è la Storia mondiale degli ebrei di cui è il curatore, appena pubblicata in Italia da Laterza in una versione rivista e adattata sotto il coordinamento di Anna Foa.
Numerosi gli spunti emersi durante la presentazione dell’opera che si è svolta nelle scorse ore a Roma, a Palazzo Firenze sede della Società Dante Alighieri. Tra gli intervenuti anche il presidente della prestigiosa istituzione culturale Andrea Riccardi, il rabbino capo rav Riccardo Di Segni e Alessandro Masi, segretario generale della Dante Alighieri (che ha moderato l’incontro).
“Un capitolo nuovo di ricerca sull’identità ebraica e una sfida ai luoghi comuni. Non un’identità ‘à la carte’, ma ‘in costruzione’. Non qualcosa che c’è all’inizio che bisogna cercare di non smarrire, ma come offerta di ciò che lentamente nel tempo si accumula e si cerca” ha scritto David Bidussa, uno degli studiosi coinvolti in questa operazione editoriale dal grande fascino che dall’ingresso ebraico nella Storia (l’apparizione del nome “Israele” sulla stele del faraone Merenptah) ci porta, spaziando in numerosi contesti, fino ai giorni nostri. 

QUI TORINO - IL CONFRONTO

Dalla didattica alla sostenibilità,
i percorsi della scuola del futuro

I rapidi cambiamenti della società in questi anni – accelerati dal periodo pandemico – hanno mostrato la necessità di un adeguamento altrettanto veloce da parte della scuola al nuovo contesto. “C’è stato un processo piuttosto chiaro e forte di rinnovamento, stimolato dallo Stato, ma soprattutto dai ragazzi e dalle loro famiglie. Rispondere a questa esigenza ha un costo in termini di risorse e competenze e su questo è stato e sarà ancora necessario lavorare per avere una didattica al passo coi tempi”. È la considerazione da cui Marco Camerini è partito per spiegare il lavoro svolto in questi anni alla Scuola ebraica di Torino, di cui è Coordinatore didattico uscente. Occasione per parlarne l’incontro online promosso dall’associazione culturale Anavim che ha visto confrontarsi, assieme a Camerini, Mario Montalcini fondatore di Brainscapital e Claudia Segre presidente della Global Thinking Foundation.

 

DIAMANTE E LA CANDIDATURA A CAPITALE DELLA CULTURA PER IL 2024

"Cedro, il nostro simbolo di accoglienza"

Una sostenitrice d’eccellenza per la candidatura del borgo calabrese di Diamante a Capitale della cultura 2024 formalizzata quest’oggi nel corso di un convegno che si è svolto nella sede Inps di Palazzo Wedekind.
Presidente onorario del comitato è infatti la senatrice a vita Liliana Segre. Una scelta, è stato evidenziato dal sindaco Ernesto Magorno, che va nel segno di una valorizzazione dell’antica radice ebraica di queste terre ma anche del legame vivo che si rinnova ogni anno – grazie al cedro “straordinario veicolo di unione tra i popoli” – per la festa di Sukkot. Una parte del dossier – spiega Lucia Serino, project manager della candidatura – è ispirata proprio “ai valori dell’accoglienza” che fanno della Riviera dei cedri un luogo speciale per l’ebraismo non soltanto italiano.

L'EVENTO IN STREAMING

La Torah raccontata ai più giovani

Si completa, con la pubblicazione di Devarim, la collana La mia Torah curata dall’UCEI e volta ad offrire ai più giovani la lettura del testo biblico con un riadattamento rigorosamente fedele all’originale, affiancata da note, chiarimenti e glosse, nonché testi di letteratura midrashica e commenti dei saggi. 
Scandito in cinque tappe come i cinque libri della Torah e frutto di una collaborazione con l’editore Giuntina, il progetto sarà al centro di un evento in programma quest'oggi alle 18 con diretta streaming sul canale Facebook e sulla webtv UCEI.
Interverranno, coordinati da Odelia Liberanome, la Presidente UCEI Noemi Di Segni, l’assessore all’Educazione Livia Ottolenghi, il direttore dell’Area Cultura e Formazione rav Roberto Della Rocca, le autrici Anna Coen e Mirna Dell’Ariccia.

Ticketless - Studiare il fascismo
Chi crede che agli italiani importi davvero comprendere che cosa sia stato il fascismo sbaglia di grosso. Per rendersene conto bastava questa settimana guardare la passerella alla festa di Atreju di Giorgia Meloni, dove abbiamo visto sfilare le stesse persone che l’altro ieri gridavano al pericolo di un’ondata nera. È sempre accaduto così, dagli anni sessanta in avanti: studiare sul serio il legame fra gli italiani e il regime di Mussolini interessa a nessuno, rispetto ai molti (politici e non) che si servono del capitolo più oscuro della storia d’Italia per fini contingenti variabili a seconda delle occorrenze.
Alberto Cavaglion
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Periscopio - Giudecca
Col nome di Giudecca, com’è noto, sono indicati, in alcune città d’Italia, i quartieri dove un tempo vivevano gli ebrei. Nella maggioranza dei casi, in tali luoghi la presenza ebraica è completamente scomparsa, in quanto gli ebrei emigrarono per altre destinazioni, spesso cacciati con la forza, a volte anche spontaneamente, alla ricerca di migliori condizioni di vita. E, anche nelle località dove resta ancora una percentuale di abitanti di religione o origine israelita, è oggi raro che essi vivano ancora, al giorno d’oggi, in quelle antiche zone.
 
Francesco Lucrezi
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Una chitarra a sette corde
Nel 1930 l’avvocato e musicista Nikolay Ivanovich Chelyapov (nato nel maggio 1889 a Pronsky, nella Russia zarista) assunse l’incarico di direttore dell’Accademia statale di Storia dell’Arte di Mosca e dal 1933 al 1936 fu presidente del consiglio di amministrazione dell’Unione dei Compositori sovietici di Mosca; arrestato il 14 agosto 1937 con l’accusa di partecipazione a una fantomatica organizzazione terroristica controrivoluzionaria, nel gennaio 1938 fu condannato alla fucilazione.
Francesco Lotoro
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