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LA PRESENTAZIONE DEL PROGETTO EDITORIALE UCEI 

Da Bereshit a Devarim, la Torah spiegata ai ragazzi

Quasi 700 pagine ricche di informazioni, eventi, stimoli. Oltre 200 illustrazioni appositamente realizzate per incuriosire e affascinare ancora di più i giovani lettori. Numeri già di per sé eloquenti che ci introducono nel mondo della collana “La mia Torah”, il progetto di trasmissione della Bibbia ebraica ai ragazzi curato dalle insegnanti Anna Coen e Mirna Dell’Arriccia per conto dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane. Un impegno che si dipana nell’arco di vari anni ed è giunto ora al termine con la pubblicazione dell’ultimo dei cinque libri: Devarìm / Deuteronomio. Fresco ancora di stampa quando ieri sera ha fatto la sua prima apparizione al Centro Bibliografico dell’Unione dove, sotto il coordinamento di Odelia Liberanome, un evento dedicato ha permesso di elaborare il grande sforzo educativo e valoriale compiuto anche attraverso una collaborazione strategica con l’editore Giuntina.
“Si tratta di un lavoro di gruppo che ha messo a frutto diverse competenze. L’UCEI ha sempre creduto nel valore di un progetto del genere”, il pensiero espresso in apertura di serata dalla presidente UCEI Noemi Di Segni. “L’obiettivo – ha poi aggiunto – è di essere forti nella propria identità: saper attingere dai testi antichi e avere da questi le risposte necessarie per affrontare le tante sfide e fatiche del presente”. Un progetto, ha poi ribadito Livia Ottolenghi assessore all’Educazione UCEI, “su cui l’Unione ha investito con persone e saperi” e che si presenta come “un prodotto di alta qualità, estremamente accurato anche per quanto riguarda gli strumenti pedagogici”. Merito in particolare delle due autrici, “figure importantissime per l’educazione ebraica”.


La parola è poi toccata a loro. A Dell’Arriccia per prima, che ha ricordato come tutto è nato: “Avevo sentito l’esigenza di scrivere delle parashot per bambini. In seguito a un incontro con Anna, durante uno Shabbat al Tempio di via Balbo, è arrivata l’idea di strutturare un progetto vero e proprio. Il primo cui ci siamo rivolte è stato rav Benedetto Carucci Viterbi, che entusiasta ci ha spronato ad andare avanti. Lo stesso ha fatto poi rav Roberto Della Rocca. Incoraggiamenti decisivi che ci hanno portato all’UCEI, dove nostra referente è stata Odelia Liberanome. Un ringraziamento, per la loro consulenza, va anche a due altri rabbini: rav Gadi Piperno e rav Amedeo Spagnoletto”.
“Un prodotto come La mia Torah mancava nell’Italia ebraica”, ha poi spiegato Anna Coen. “Se ne sentiva il bisogno soprattutto in classe, dove si parlava naturalmente della parashah settimanale ma senza materiale adeguato a supporto”. Devarim rappresenta la conclusione di un impegno di molti anni: “Un libro speciale e particolare, una sorta di compendio dei quattro precedenti. La sfida è stata quella di trasmettere questa peculiarità senza essere pesanti”.Si è parlato poi di metodo di lavoro e obiettivi. A trasparire, in entrambe le autrici, una forte emozione. E la consapevolezza che un cerchio si chiude, ma un nuovo inizio è all’orizzonte. La Torah d’altronde “non si finisce mai di studiarla, ma si ricomincia sempre da capo: uno stimolo anche per noi”.
Una speranza che è anche quella del rav Della Rocca, direttore dell’Area Formazione e Cultura UCEI: “Dobbiamo esser pronti a ricominciare, non solo nel lavoro ma anche nello studio”. Il rav ha sottolineato come un tempo “si studiasse su libri austeri”. La mia Torah rappresenta pertanto una svolta, quella cioè di “un libro colorato e al tempo stesso dagli ampi orizzonti”. Per l’ebraismo italiano “un riconoscimento importante, con tutti i numeri per essere esportato anche all’estero”. Apprezzamento anche dal rav Roberto Colombo, intervenuto in conclusione di serata. “Un progetto realizzato con grande cuore”, la sua valutazione. Cuore, ma anche attenzione scrupolosa a ogni dettaglio. “È la giusta paura che ciascun insegnante dovrebbe avere. I libri scritti con questa paura costruttiva sono quelli che, a differenza di altri, generalmente continuano a vivere”.

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PAGINE EBRAICHE - L'INTERVISTA AD ASAF HANUKA

“Raccontare Saviano con il fumetto, 
la più grande sfida della mia carriera"

"È stata la più grande sfida della mia carriera”. Nella bocca di un artista che sta presentando la sua ultima opera potrebbe sembrare una frase dettata dalle esigenze della promozione, ma quando la pronuncia Asaf Hanuka a proposito di Sono ancora vivo non puoi non credergli. Da 20 minuti stiamo parlando di questo lavoro firmato con Roberto Saviano e pubblicato da Bao Publishing in tempo per Lucca Comics 2021. Una chiacchierata per capire come hanno fatto ad incontrarsi due personalità, sì cosmopolite, ma ciascuna confinata in una diversa sfera personale ed emotiva, eppure destinate ad intersecarsi fino a diventare amicizia. Saviano ha parlato molto di questa opera. Ha dichiarato che il fumetto gli ha permesso di dare voce a quello che non sarebbe riuscito a dire in nessun altro modo: la sua infanzia, l’esigenza di raccontare il male… soprattutto i quindici anni sotto scorta, le critiche e l’assurdità di dover sentirsi in colpa “per essere ancora vivo”. Ora rimane la curiosità del legame tra uno scrittore vittima di fatwa camorristica e un mizrahi (ebreo proveniente dal mondo arabo) che si è fatto amare in Israele per storie che parlano di mutui e di incomunicabilità famigliare. Forse è ora di scoprire la versione di Asaf.
Forse cominciare un’intervista ricordando ad Hanuka che lui questo libro lo aveva annunciato per l’autunno 2017 non è il massimo per creare un clima confidenziale. Specie dopo aver visto il serissimo ufficio di Tel Aviv da dove ci risponde: persino la sansevieria sul davanzale fa fatica a non crescere in bianco e nero. “Il libro lo avevamo finito – spiega – ma abbiamo deciso di cambiarlo dopo la prima versione, ci siamo accorti che c’erano altre storie che volevamo raccontare, altre pagine da aggiungere, tante cose da rivedere”.
Infieriamo mostrandogli la foto che nel 2016 documentava l’inizio del sodalizio: c’è Saviano che con un entusiasmo partenopeo abbraccia Hanuka, decisamente più rigido. Comprensibile, visto che sul suo blog ‘The Realist’ (in Italia raccolto nei tre volumi di “K.O. Tel Aviv” di Bao) Asaf svela di non amare il contatto fisico. Quello con Saviano deve essere stato un incontro davvero speciale. “Un progetto come questo ti porta a sviluppare una vera amicizia – mette subito in chiaro Hanuka – le persone tendono a diventare molto sincere in una collaborazione artistica. Al nostro primo incontro, appena Saviano ha cominciato a raccontarmi la sua storia, mi sono sentito in sintonia con lui, anche sul piano personale. Ho sentito qualcosa di così forte, drammatico e autentico che mi sono detto: questo devo disegnarlo”. Ci immaginiamo Saviano sul divano di casa Hanuka, quello al centro della sua strip dove il figlio si trasforma in Sponge Bob, mentre discutono e disegnano. Lui ci riporta alla realtà: “Ci siamo visti a Milano e New York, Saviano era stato in Israele prima di conoscermi. Ha persino incontrato Shimon Peres”.
“Magari ci tornerà per la promozione del libro?”, la buttiamo lì. Sul fatto che Sono ancora vivo possa essere tradotto in ebraico Hanuka è ottimista e non solo per motivi letterari: “Penso che ci sia una buona possibilità: la storia di Roberto parla di libertà, di attaccamento alle radici e del prezzo che si paga per le proprie decisioni, sono temi molto sentiti qui. E poi Israele e l’Italia sono simili nel modo in cui affrontano le tensioni sociali. Certo i problemi di base sono differenti, ma la gente si sente molto coinvolta nel cercare di cambiare la società. La storia di Roberto, in qualche modo è quella di un uomo che sta pagando per questo tentativo”.
Oppure, come ha dichiarato di recente Saviano, il legame tra i due passa anche da una solida cultura mediterranea… “Sono parte di quel mondo: sono israeliano, mio padre è curdo, mia madre irachena. Sono cresciuto in una famiglia dove si parlava arabo”, ricorda con fierezza Hanuka.
Ma a prescindere dalla loro formazione è il modo in cui si sono interfacciati l’autore di Gomorra e quello di Divino a essere un esempio di libertà creativa. “Nessuno dei due si è dato un ruolo preciso – risponde Asaf quando gli chiediamo del metodo di lavoro – Roberto non è stato come uno sceneggiatore che ti dice ‘alla pagina tale succede questo’ e tu lo disegni seguendo lo script. Siamo partiti dalle sue parole, ma poi il lavoro ha preso forma tavola dopo tavola con il contributo di entrambi. Roberto mi mandava delle piccole frasi, io le trasformavo in schizzi e storyboard, su cui lui faceva commenti o aggiunte. Un vero pingpong di idee, un flusso continuo. Roberto più che uno scrittore è stato un regista. Molte delle immagini che vedete arrivano direttamente da lui”.



 

Un approccio che non è piaciuto ad alcuni critici italiani che hanno visto lo stile del fumettista israeliano troppo sacrificato al testo di Saviano. Lo diciamo ad Asaf strappandogli un sorriso. “Alla base del linguaggio del fumetto c’è la tensione tra il testo e il disegno. Per questo libro ho cercato di creare un delicato bilanciamento tra il realismo e l’onirico, a volte anche partendo da pochissimi input. Lo so che ad alcune persone potrà non piacere, ci sta, ma per me è stata la più grande sfida della mia carriera. Perché quando all’inizio Saviano mi ha raccontato la storia: ho pensato: wow è fantastico, è potente, quasi un poema, un messaggio dove tutto è connesso in modo brillante, adesso cosa posso fare per rendere ancora più interessante quel racconto attraverso il mio medium? Volevo dare la sensazione di entrare nell’anima di qualcuno”.
Però la scena in cui Saviano e Salvini tirano di boxe deve essere per forza un’idea sua, visto quanto questo sport è onnipresente nelle sue storie. “Sì, amo la boxe, la trovo una perfetta metafora della battaglia della vita, delle fatiche del giorno, ma quella è stata un’idea di Saviano”. Ora Asaf si concentra di più su Hanuka, in senso letterale. “Sto cercando di finire un libro sulle origini della mia famiglia, dove si parla anche di un omicidio. Si intitola The Arab Jew ed è già uscito in ebraico sulla rivista Calicast a puntate settimanali, ma ora voglio condensarlo in un volume”.
Suo fratello gemello Tomer, come sempre, è della partita. Dopo quattro anni di pingpong di idee si merita di disegnare ancora un po’ il divano di casa.

Alberto Angelino - Pagine Ebraiche dicembre 2021 / Dossier Graphic&Jews

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LA NUOVA INSTALLAZIONE APERTA DA OGGI AL PUBBLICO 

Il Milite Ignoto e il complesso ritorno alla vita,
una mostra immersiva alla Casina dei Vallati

Immagini, narrazione, suono e musica. Dalla loro alchimia nasce la mostra immersiva dedicata al centenario del Milite Ignoto, curata dalla Struttura di Missione per gli anniversari nazionali della Presidenza del Consiglio dei Ministri e da oggi aperta al pubblico alla Casina dei Vallati sede della Fondazione Museo della Shoah. Un’installazione anche interattiva, realizzata in collaborazione con Comunità ebraica e Museo ebraico di Roma, per raccontare il “ritorno” del Milite Ignoto come possibile ritorno alla vita, in un viaggio che guida il visitatore tra memoria collettiva e flusso narrativo intimo e personale. “Oggi, il viaggio di tutti noi, di un’intera generazione, entra nel cuore dell’ex Ghetto di Roma, dove la persecuzione del regime colpì il senso d’identità nazionale che la Comunità ebraica contribuì a costruire prima col sacrificio risorgimentale e poi con quello della Prima Guerra Mondiale”, la riflessione del ministro per le Politiche Giovanili Fabiana Dadone. “Un luogo quindi denso di significato dove narrare, attraverso la vicenda simbolo di Antonio Bergamas, una storia di sofferenza, di rinascita, ma soprattutto di unità e fratellanza, di pace lontana dalle strumentalizzazioni ideologiche”. Un progetto abbracciato con entusiasmo da Mario Venezia, il presidente della Fondazione Museo della Shoah: “La Casina – afferma – è oggi un centro culturale dove le mostre e le attività della Fondazione si rivolgono all’intera cittadinanza romana e italiana, per raccontare le storie – spesso contraddittorie, complesse, difficili – del nostro Paese”. Il luogo quindi ideale “per narrare, attraverso le vicende del monumento al Milite Ignoto, una storia di sofferenza, di rinascita e, soprattutto, di unità”.
La mostra immersiva sarà visitabile fino al 12 gennaio.

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IL NUOVO CICLO DI INCONTRI DEL MEIS

Carlo Alberto, Pio IX e la sfida dell'emancipazione

Da un lato la figura di Carlo Alberto, il sovrano che nel 1848 concesse l’emancipazione agli ebrei del Regno sabaudo; dall’altra il controverso personaggio di Pio IX, tra le sue iniziali aperture, le sue incertezze e poi l’ostracismo nei confronti dell’acquisizione dei diritti civili e politici degli ebrei romani. L’intreccio tra queste due figure ha aperto il ciclo di conferenze intitolato “Vite parallele” organizzato dal Museo nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah (Meis) di Ferrara. Un’iniziativa che fa parte del più ampio progetto Italia Ebraica, che vede confrontarsi ad ogni appuntamento due musei ebraici italiani. In particolare, nell’incontro d’apertura, a raccontare il percorso che portò Carlo Alberto ad emanare il celebre Statuto Albertino è stata la direttrice dei Musei ebraici di Casale Monferrato Claudia De Benedetti. Sul ruolo di Pio IX e il suo rapporto con l’ebraismo della capitale si è invece soffermata Giorgia Calò, co-curatrice della mostra “1849 – 1871. Ebrei di Roma tra segregazione ed emancipazione” del Museo ebraico di Roma.

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UN BILANCIO DELLA RECENTE ESPERIENZA DI CAMALDOLI 

“Lotta all'antisemitismo, più fiducia nel Dialogo"

"Contro l’antisemitismo non sono sufficienti dichiarazioni sbrigative e spesso retoriche. L’antisemitismo lo si combatte, prima di tutto, facendo conoscere l’ebraismo”. È la filosofia che anima da anni l’impegno di Marco Cassuto Morselli, il presidente della Federazione delle Amicizie Ebraico-Cristiane. Per questo organismo e per tutti i cultori del Dialogo l’edizione da poco conclusasi dei Colloqui di Camaldoli ha rappresentato “la conferma della bontà del cammino intrapreso dalla dichiarazione Nostra Aetate in poi”. Un cammino disseminato anche di ostacoli “ma senz’altro stimolante e soprattutto necessario”. Una conferma nell’iniziativa più recente, presentata proprio nell’ambito degli ultimi Colloqui: le 16 schede per introdurre correttamente l’ebraismo che saranno ora a disposizione di editori e autori di libri di testo per i licei italiani. Un progetto che ha in Cassuto Morselli, tra gli esperti di parte ebraica coinvolti, uno dei protagonisti.

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SEGNALIBRO 

I Segre, una famiglia dentro la Storia

Roberto Segre fu uno dei più grandi militari del Novecento, il principale artefice della vittoria italiana in quella che è passata alla storia come la “Battaglia del solstizio”. E cioè l’evento decisivo per determinare, in quell’ultimo anno di Grande Guerra, un esito favorevole alle truppe del regio esercito contrapposte a quelle austro-ungariche che vanamente tentarono lo sfondamento del fronte. Vero Fazio, generale di divisione in pensione, si è imbattuto nella sua storia al tempo degli studi per diventare ufficiale di Stato maggiore: una folgorazione immediata. Non a caso ha scelto di dedicargli la tesi che ha concluso quel periodo così importante della sua formazione. “Parliamo di un profilo di altissimo livello. Di un innovatore, di un uomo dalla grande cultura e intelligenza”, racconta a Pagine Ebraiche. Qualità ereditate dal padre Giacomo, il capitano d’artiglieria il cui nome resta legato nella memoria nazionale (anche se con alcune inesattezze confutate con la forza delle evidenze storiche dallo stesso Fazio) alla Breccia di Porta Pia.
Per Fazio, promotore lo scorso anno dell’apposizione di una targa commemorativa in via Nomentana al civico 133, un interesse profondo che ha anche trovato la strada di un libro: Il seguito della storia. Giacomo e Roberto Segre tra Breccia di Porta Pia e Grande Guerra, appena pubblicato dall’editore Salomone Belforte.

(Nell'immagine del 1935 Roberto Segre insieme alla nipote Clelia, che vive oggi a Gerusalemme)

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CORDOGLIO TRA GLI EBREI MILANESI E ITALIANI 

Orna Serio (1964-2021)

Profondo cordoglio nel mondo ebraico italiano per la prematura scomparsa a Milano all’età di 57 anni di Orna Serio, insegnante della Scuola ebraica cittadina. Il Consiglio e la presidenza dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane hanno espresso in queste ore cordoglio e vicinanza al marito, Claudio Gabbai, Consigliere UCEI, alle figlie Micol, Viola e Nina e all’intera famiglia. “La ricorderemo sempre con il suo sorriso spontaneo, una persona tanto discreta quanto generosa, Orna lascia un vuoto nella nostra Comunità e la sua bontà d’animo sarà sempre un esempio per noi”, il messaggio di cordoglio del Consiglio della Comunità ebraica di Milano e del rabbino capo rav Alfonso Arbib. “L’ amore incondizionato che Orna ha sempre regalato ai suoi alunni, ai più deboli, la sua dedizione verso il prossimo, l’ha contraddistinta in tutta la sua vita, regalando questa sua spontanea e grande dote alla nostra Scuola e a tanti giovani”.
Sia il suo ricordo di benedizione. 

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Yehoshua e l'Italia
Abraham B. Yehoshua ha voluto fare un ultimo regalo ai suoi estimatori (ma la speranza è che non sia l’ultimo) pubblicando La figlia unica (Einaudi, Torino 2021). È un romanzo che ha almeno due singolarità rispetto alla precedente produzione: è ambientato in Italia e dà ampio spazio alla citazione di brani interi del deamicisiano “Cuore”.
Già l’ambientazione in Italia è qualcosa di singolare: quasi tutte le opere di Yehoshua hanno come luogo di svolgimento Israele, anzi è proprio attraverso la lettura dei suoi romanzi che molte persone sono riuscite a entrare nella realtà della vita quotidiana israeliana. 
Valentino Baldacci
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Guido De Benedetti (1929-2021)
Nel mezzo delle luci di Chanukkah si è spento a Genova Guido De Benedetti. Di famiglia torinese, da ragazzo aveva vissuto in diverse città dove il padre era direttore provinciale delle Poste. Tra queste Cuneo, dove ancora in anni recenti la famiglia era ricordata con gran calore e simpatia.
Nel 1938 il padre, licenziato dalle “Regie Poste” a causa delle leggi razziste, si era riunito alla famiglia della moglie che viveva a Genova, condividendo con loro una serie di fughe drammatiche per sfuggire ai nazifascisti. Alla fine della guerra aveva seguito la scuola di Economia e Commercio, che l’aveva portato a lavorare nel settore bancario. 
Roberto Jona
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