Dal Regno sabaudo allo Stato pontificio,
gli ebrei e la conquista dei diritti civili

Da un lato la figura di Carlo Alberto, il sovrano che nel 1848 concesse l’emancipazione agli ebrei del Regno sabaudo; dall’altra il controverso personaggio di Pio IX, tra le sue iniziali aperture, le sue incertezze e poi l’ostracismo nei confronti dell’acquisizione dei diritti civili e politici degli ebrei romani. L’intreccio tra queste due figure ha aperto il ciclo di conferenze intitolato “Vite parallele” organizzato dal Museo nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah (Meis) di Ferrara. Un’iniziativa che fa parte del più ampio progetto Italia Ebraica, che vede confrontarsi ad ogni appuntamento due musei ebraici italiani. In particolare, nell’incontro d’apertura, a raccontare il percorso che portò Carlo Alberto ad emanare il celebre Statuto Albertino è stata la direttrice dei Musei ebraici di Casale Monferrato, Claudia De Benedetti. Sul ruolo di Pio IX e il suo rapporto con l’ebraismo della capitale si è invece soffermata Giorgia Calò, co-curatrice della mostra “1849 – 1871. Ebrei di Roma tra segregazione ed emancipazione” del Museo ebraico di Roma. La direttrice di quest’ultimo, Olga Melasecchi ha poi concluso soffermandosi su due oggetti della mostra.

Molto articolato il percorso descritto da De Benetti rispetto a come si arrivò all’emancipazione degli ebrei sotto i Savoia. Tra i primi passi, l’instaurazione nel 1845 di una Commissione speciale per ottenere un miglioramento della vita degli ebrei all’interno dei ghetti dello Stato sabaudo. Per poi arrivare al 1848, anno in cui Massimo D’Azeglio firma il famoso Sull’emancipazione civile degli israeliti. “A Casale Monferrato – ha spiegato De Benenedetti – la situazione divenne ancor più interessante perché ci furono alcuni religiosi cattolici che si schierarono a favore del riconoscimento dei diritti civili degli ebrei. In particolare il canonico Gatti, intitolato la la rigenerazione politica degli israeliti in Italia”. Dunque diverse le voci che si mossero a favore dell’emancipazione ebraica. Particolare rilievo ebbe la mobilitazione di Roberto D’Azeglio, fratello di Massimo, che riuscì a raccogliere 600 firme di liberali piemontesi. Firme che chiesero al re “di far cessare l’ingiusta esclusione dai diritti civili degli ebrei e dei valdesi. E che si giungesse alla parificazione di tutti i sudditi sabaudi senza più distinguere per religione”. Nel frattempo, racconta De Benedetti, il mondo ebraico stesso si mobilita e chiede udienza al re Carlo Alberto, che inizialmente rifiuta. Poi concede, il 31 gennaio del 1848 solo a un esponente, il rabbino Lelio Cantoni, la possibilità di un incontro, che durerà solo quindici minuti. E in cui il sovrano non prenderà nessuna decisione. “Da qui il soprannome di re tentenna. Carlo Alberto dirà solo ‘mi occuperò dei loro affari’, ma non ci sarà nessun impegno”. Almeno inizialmente. Una dimostrazione di come il percorso per l’emancipazione degli ebrei piemontesi, poi grandemente celebrata, fu complessa e articolata.
Come complesso e faticoso fu il percorso che portò all’emancipazione degli ebrei romani, descritta nella mostra del Museo ebraico di Roma e dalla sua cocuratrice Giorgia Calò. “Gli ebrei parteciparono al processo di unificazione con un duplice scopo. – ha sottolineato Calò soffermandosi sul ventennio che porterà alla Breccia di Porta Pia – Da una parte mossi da uno spirito fortemente patriottico, quindi convinti sostenitori dell’unità d’Italia, dall’altro invece perché coscienti che solo attraverso l’unificazione avrebbero finalmente potuto rivendicare i propri diritti civili e politici”. Prendendo le mosse dall’esposizione, Calò ha mostrato attraverso le opere l’evoluzione del rapporto tra ebrei e potere, evidenziando le figure impegnate a favore dell’emancipazione e nelle lotte risorgimentali – tra cui il fascino delle storie di ebrei pittori e soldato – così come, guardando alla situazione romana, ha rimarcato la contraddittorietà degli atteggiamenti del pontefice Pio IX. Rispetto a quest’ultimo, l’opera presa in considerazione è Ippolito Caffi “Benedizione di Pio IX dal Quirinale di notte”. “Fervente patriota, Caffi restituisce un’atmosfera della città eterna straordinaria, accesa da bagliori infuocati. Il dipinto si riferisce alla notte del 10 febbraio ’48 quando la folla interpretò plaudente le parole di Pio IX: ‘Benedite, gran Dio, l’Italia’. Sembrava l’avvio verso una politica liberale, che ci fu ma durò molto poco”. Come dimostrato dall’atteggiamento papale nei confronti degli ebrei: nella notte di Pesach del 17 aprile 1948 ordinerà l’abbattimento delle mura del ghetto, a spese delle comunità. A sostenere la causa ebraica, tra gli altri anche il citato D’Azeglio, con l’influenza di Samuele Alatri, così come Giuseppe Garibaldi. Alla festa per l’abbattimento delle mura del ghetto seguirono però, ha evidenziato Calò, le quasi immediate retromarce papali, con il ritorno in auge di posizioni reazionarie.